mercoledì 1 gennaio 2020

The Farewell - Una bugia buona – Lulu Wang

un piccolo film che non delude, pieno di migranti che stanno nel nuovo paese e hanno le nonne nella terra d'origine.
sembra una favola ai tempi d'oggi, tempi nei quali è impossibile migrare dai paesi sottosviluppati, se non sei già ricco.
i figli e nipoti di una vecchietta che sta per morire vogliono vederla un'ultima volta, senza dirle che sta morendo, e si inventano una storia da commedia all'italiana, cioè da commedia di tutto il mondo.
strepitose la nonna Nai nai e la nipote Billi (che nella vita, è una rapper bravissima, anche se non è nera e non è bianca, ma brava davvero.
insomma, un film tutto da scoprire, non è un capolavoro, ma merita ampiamente il prezzo del biglietto, promesso - Ismaele




...Commovente, ironico e straziante non ci sono eclatanti difetti per non consigliarvi la pellicola di Lulu Wang. La sua semplicità e la sua voglia di raccontarvi come vivere la perdita vi conquisteranno a patto di non essere il tipo di spettatore che cerca in tutti i film finali risolutori e impensabili colpi di scena.

Un'aria 'familiare', il ritorno di una cultura rimossa (nelle forme di una famiglia amata) che produce un quieto terremoto e lascia dietro di sé un nuovo e fertile squilibrio. Conciliata commedia di confronto etnico, The Farewell - Una bugia buona muove dall'America verso la Cina, riscaldando il folclore in un viaggio verso le origini. La diaspora della famiglia Wang, divisa tra Stati Uniti e Giappone, rientra e stringe i suoi 'esuli' al capezzale di una nonna malata. Ed è il protocollo etico-normativo 'della cura', basato in Cina sul "principio della beneficialità" (nell'interesse del paziente in certe circostanze è meglio tacere la verità), il nodo da sciogliere di un racconto che assume in pieno il modello della commedia familiare con la circolazione sentimentale tra i personaggi e il disegno delle loro vite private.

Ed è qui che si gioca la novità, l'audacia e la singolare tenerezza di The Farewell, una commedia sorprendente non per il soggetto ma per il tono. Se lo sfondo dell'incontro-scontro tra culture è sovente il disagio, Lulu Wang sceglie la serenità risolta ma non semplificata del rapporto tra prole espatriata e matriarca 'radicata', che ha accettato il destino (straniero) dei propri figli ma non transige sulla Tradizione.

Lontano dal dramma quanto dalla parodia, The Farewell è una scelta di campo che pesca nella biografia dell'autrice e afferma un nuovo discorso. Il suo punto di osservazione e di ascolto è Billie, quello di attrazione è Nai Nai, ex combattente che chissà quante cose ha visto accadere, che ha capito quasi certamente tutto prima degli altri e prima degli altri ha accettato.
Lulu Wang non manca il banchetto di nozze con le sue ricadute umoristiche e il suo svolgimento chiassoso e lievemente degradato. Ma è la malattia, la fragilità del congiunto, l'opportunità (o no) di sapere o di 'forzarlo' all'informazione, l'architrave solido ma mai ingombrante di una costruzione che sa dare rilievo ai pensieri e alle azioni di ogni personaggio. Nel percorso formativo che conduce Billi dall'America alla Cina e ritorno, la ragazza si scoprirà finalmente pronta alla vita, incarnando nel grido (di forza e intenzione) di un'arte marziale interiore tutta lo splendore della confusione etnica e della commistione di generazioni e costumi. Perché non c'è riscatto e nemmeno 'guarigione' in un orizzonte culturalmente univoco. Sono le dinamiche e le collisioni di una società aperta a produrre esiti (e film) decisamente felici.

Lulu Wang alla regia è ancora parecchio acerba, inquadrature troppe convenzionali vengono oltretutto penalizzate da diversi errori del montaggio. La colonna sonora alterna a piacevoli arie liriche l’uso di un soft melodico moderno che a noi italiani ricorda un po' troppo quello di commedie nostrane degli anni Settanta. Ci si annoia anche durante la proiezione, le idee a volte sono già state sfruttate in troppi altri lavori, per non parlare della barzelletta sulla nonna morta, che circola da circa trent’anni e che già trent’anni fa faceva ridere poco. Forse l’unica trovata originale è quella del sottotitolo che afferma: "basato su una bugia vera". Ma è poca cosa e soprattutto è disarmante pensare che qualcuno si senta gratificato da un ritorno a una cinematografia acerba, semplice, "delle origini". Già cento anni fa si facevano capolavori nella settimana arte, ci piacerebbe che nel terzo millennio si vada avanti e si inventino nuovi linguaggi, nuove idee e nuove maniere di raccontarle.

Billi and her father, Haiyan (Tzi Ma), experience a moral dilemma related to the family’s decision not to tell Nai Nai about her death sentence. Although Haiyan won’t violate the majority opinion, he is unsure that the best course is to keep his mother in the dark. Billi is more conflicted; she finds it difficult to maintain her composure when around her beloved grandmother. When she remarks that hiding a diagnosis from a patient would be illegal in America, she’s reminded that “this isn’t America.” The way writer/director Wang presents Nai Nai’s reactions, we’re left to wonder if she may suspect the truth. This suspicion is strengthened when we learn that she similarly hid her husband’s terminal illness from him. She knows how things work and may suspect that her sickness is less benign than she is being led to believe.
The Farewell skillfully addresses inherent cultural differences without feeling the need to turn didactic. In the West, the rights of the individual – to know, to act, to be informed – are viewed as preeminent. In the East, however, as is mentioned by one of the characters, family concerns take precedence over personal ones. If the family believes it’s in the best interests of the patient to withhold information (or lie about it), that is proper within the cultural context. Billi fights two struggles throughout the film – how to gain closure and how to honor the context in which Nai Nai’s final days are unfolding…

Il film di Lulu Wang si giova comunque di uno sguardo tutt’altro che plumbeo o privo di aperture umoristiche, a dispetto (e forse proprio in virtù) del suo tema: The Farewell – Una bugia buona mescola infatti per buona parte della sua durata – integrandoli nel migliore dei modi – toni da melò familiare a decisi accenni di commedia; lo fa, il film di Wang, facendo emergere spesso questi ultimi dal contrasto tra il carattere ormai “globalizzato” della famiglia e la fissità di un luogo – l’interno della casa e i suoi rituali – rimasto artificialmente atemporale. C’è, nel film, una levità di fondo che (in questo caso) sposa il punto di vista dell’anziana Nai Nai, espressione di una saggezza che vede nel carattere trascendente della struttura familiare, pur dispersa, un argine concreto a qualsiasi difficoltà. Un ottimismo di fondo che sarà capace di far breccia nello spaesamento e nel dolore dipinto in modo così plastico sul volto della protagonista. Ed è proprio questa mescolanza – per una volta felice ed equilibrata – di toni, suggestioni e riferimenti culturali, a costituire il vero punto di forza del film di Lulu Wang, espressione di un talento di cui auspichiamo senz’altro ulteriori manifestazioni.

The Farewell – Una bugia buona è un’opera apolide, che riflette il disagio di chi, come la Wang e Billi, è condannato, per la sua particolare storia di emigrazione, a sentirsi straniero in ogni situazione e in ogni luogo. Il viaggio della protagonista dalla caotica New York alla sua madrepatria è un percorso prima di tutto interiore, che la porta a confrontarsi con due culture agli antipodi. Da una parte quella americana, alla disperata ricerca di nettezza e verità. Dall’altra quella orientale, che si muove sulle sfumature, sul non detto, arrivando ad accettare e normalizzare le bugie bianche, dette per alleviare le sofferenze di chi le ascolta.
La Wang mette in scena un cancer movie atipico, che non concentra la narrazione sul dolore e sulla malattia, ma al contrario utilizza la condizione di Nai-Nai per diversi spassosi siparietti, incentrati sugli sgangherati tentativi da parte della famiglia di tenere la donna all’oscuro di tutto. Si respirano le atmosfere di commedie etniche come Il mio grosso grasso matrimonio greco (con il quale The Farewell – Una bugia buona condivide uno sposalizio dai risvolti tragicomici), con la regista che si rivela abilissima nel miscelare, senza mai sbilanciare il racconto, gli aspetti della cultura cinese che possono risultare più bizzarri per gli spettatori occidentali con una riflessione lucida e intima sul ritorno a casa e sulla progressiva riappropriazione delle proprie origini da parte della protagonista…

The Farewell será una propuesta pequeña y humilde, de esas que llegan sin hacer demasiado ruido a nuestras vidas, pero su visionado no deja de ser absolutamente reconfortante, removiendo ideas, pensamientos y emociones en un espectador que, ya sea oriental u occidental, no podrá evitar empatizar con las desventuras de una familia excéntrica y encantadora como pudiera ser la de cualquiera, con sus grietas internas y sus errores, pero, también, solidaria y unida ante la adversidad.







qui il testo della canzone di Awkwafina

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