si fanno le domande di oggi, mica tutte e tutti, ma allora nel mondo non si osava fare quelle domande, non era ancora normale, ma il mondo stava, piano piano, iniziando a cambiare.
la quattro sorelle (anzi tre e mezza, che una muore presto) sono strepitose, e chi le interpreta è da applausi, e Saoirse Ronan e Florence Pugh sono da premio Oscar.
il film è luminoso, speciale, indimenticabile, mom perdetevelo - Ismaele
…Greta Gerwig ha saputo creare un adattamento
intelligente e moderno di una storia nota a tutti ed è proprio questa
felice intuizione il punto di forza del film. La regista e sceneggiatrice ha
trovato e rivisto sé stessa nelle parole della Alcott,
regalandoci così una visione assolutamente personale del grande classico senza
però stravolgerlo o snaturarlo.
Piccole
donne non è quindi l’ennesimo e
banale remake ma, al contrario, è un film che porta sul grande schermo un
classico di centocinquanta anni fa rendendolo emozionante e più attuale che
mai. Un’opera realizzata con rigore e rispetto, che riflette anche le scelte
artistiche, le idee e gli ideali della stessa Gerwig.
…Piccole
donne è, innanzitutto, «un
capolavoro di astuzia femminile» che per «centocinquant’anni è riuscito a farsi
stampare, tradurre e raccomandare come un romanzo di formazione per giovinette
di buona famiglia» e che «intanto riesce ad annunciare la fine del
patriarcato». Lo ha scritto la filosofa Luisa Muraro. E ancora: «Si tratta
della storia di quattro sorelle che crescono sotto la guida di una madre e in
assenza del padre. Il padre è andato volontario in guerra, nella terribile
guerra di Secessione che insanguinò gli Stati Uniti intorno al 1860. Louisa May
Alcott dice la cosa giusta: gli uomini si stanno autoeliminando a forza di
guerre. Resta vivo il simbolico delle donne».
Le poche figure maschili del libro – il padre
che è in guerra o Laurie – si affacciano su un mondo di sole donne «e non hanno
il potere di turbare la sua vita né di istallarsi nel suo centro focale»
(questo è reso molto bene in una scena del
film, quando Laurie riaccompagna a casa da una festa Jo e Meg che si è slogata
una caviglia, restando sulla soglia a guardare, ammirato e intimidito, un
esempio di sorellanza).
Le quattro sorelle, dice Muraro, sono tipe fra
loro molto diverse «e tutta la trama si sviluppa dal gioco libero delle loro
differenze». E viene soprattutto da questo gioco libero, spiega, il grande
successo del libro: «Viene cioè dal ritratto della differenza femminile che si
manifesta attraverso le differenze fra donne: non dipende solo né soprattutto
dalla figura di Jo, come ho sentito dire».
Il film di Gerwig – che è stato candidato
all’Oscar, ma lei come regista incredibilmente no – non è un semplice
adattamento cinematografico del libro. Riesce a raccontarne il senso, restando
accanto al testo con rispetto e cura, ma arrivando a rendere il fatto che al di
là dell’epoca in cui fu scritto, qui non c’è niente di datato, e nulla di
superato. Parla di lei, di Louisa May Alcott, di donne, di (in)dipendenza economica,
di arte e anche di cinema, facendosi beffe di come, anche attraverso il cinema,
l’esistenza femminile sia stata piegata e deformata (ci arrivo). È mainstream e
radicale allo stesso tempo…
…«Ho sempre
avuto un’idea ben chiara di ciò di cui il libro parlava», ha dichiarato Gerwig
in un’intervista, «delle donne come artiste e del loro rapporto con il denaro».
Certo, è innegabile, c’è anche questo. Ma la bellezza di Jo risiede altrove,
nella complessità dei suoi desideri. Quando abbiamo iniziato a credere che per
una donna libera, un’artista, l’amore fosse solo un codice, un’imposizione
sociale come lo è un cappellino? Nel romanzo nessuna delle sorelle March è un
modello di donna, seppure ognuna sia chiamata a plasmarsi sotto la spinta delle
scelte e delle rinunce. È nel compromesso, nella distanza dalle aspirazioni infantili, che
si consuma la crescita. Sotto il peso degli inciampi che la vita ha in serbo per
loro, ognuna delle sorelle è costretta a tornare sui propri passi, ed è in
questa scintilla che si risolve il passaggio all’età adulta. Nello scarto fra
ciò che sarebbe potuto essere e quello che davvero sarà. Forse non sbagliava
chi ha scritto che il film di Gerwig è una rilettura moderna di Piccole donne, a patto che si concordi su quanto la modernità sia
invischiata nel manicheismo stolido di chi pensa il mondo come una semplice
contrapposizione fra opposti. Un sistema binario in cui se sei carnefice non
sei vittima (neanche di te stessa) e, soprattutto, se sei libera e per di più artista non puoi che considerare
l’amore e il matrimonio e i figli come un ostacolo ai tuoi progetti. C’è il
sospetto che “post-ideologico”, da riferirsi ai nostri tempi, sia un rigurgito
di ottimismo.
…Greta Gerwig decide di risolvere il cuore del romanzo, e
cioè l’enigma del desiderio di Jo: tanto volitiva, aggressiva e pronta a
combattere quando si tratta della vita pubblica e della sua carriera di
scrittrice, quanto timida e incerta quando si tratta di interrogare sé stessa e
capire la natura del suo desiderio. “Lo ami Laurie?”, le chiede la madre; “Se
mi chiedesse di nuovo di sposarlo, credo che gli direi di sì” risponde lei; “ma
questo non vuol dire amare”. Ed è proprio quando Jo scopre che è troppo tardi
per tornare indietro e che le scelte sono irreversibili, che la scrittura,
frenetica e inarrestabile, entra nella sua vita a suturare quello che
altrimenti sarebbe l’esposizione di un vuoto radicale (che è forse una delle
migliori definizioni di ciò che nella modernità si è definito come soggetto).
Lì mischiando tutti i piani, e chiudendo la distanza che separa la storia dalla
vita, Greta Gerwig scioglie le aporie soggettive su cui si sono identificate
generazioni di lettori e lettrici con quello che ha il sapore un po’ di un
gioco delle tre carte. È una fuoriuscita che più che peccare di poca fedeltà
alla lettera del romanzo – come qualcuno le ha fatto poco generosamente notare
– rischia di depotenziarne un po’ lo spirito e di inventarsi una soluzione
magari esteticamente efficace ma forse un po’ frivola. Una tentazione a cui
spesso ha rischiato di soccombere il suo cinema anche in altri episodi. D’altra
parte che importa – ci sembra dire la Gerwig – di come va a finire: non si
trattava alla fine soltanto di un libro? Forse – ci verrebbe da rispondere –
non si tratta mai solo di un libro.
…La
rievocazione adolescenziale delle vicende delle quattro sorelle, il calore di
una stagione che si vorrebbe prolungare indefinitamente, si accompagna
costantemente alla consapevolezza – direttamente portata sullo schermo – della
sua finitezza. Un’operazione certamente coraggiosa e tutt’altro che
“commerciale”, specie per un prodotto mainstream, infarcito di star e pensato
anche in chiave-Academy. E in questo senso – così come in un finale pieno di
ironia, in cui la Gerwig sembra giocare direttamente con le aspettative dello
spettatore – il film si ricollega direttamente all’esordio della regista, a
quel Lady Bird che vedeva la stessa Saoirse Ronan affrontare un analogo
percorso di crescita, sullo sfondo non più di un conflitto territoriale, ma di
una muta guerra tra classi sociali. Altro contesto, stessa sensibilità. Il
risultato, che della sua fonte preserva comunque tutto il carattere di puntuale
spaccato umano e sociale, resta certamente impresso.
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