domenica 26 gennaio 2020

Piccole Donne - Greta Gerwig

le piccole donne sono quattro, tutte diverse e tutte solidali, come i quattro moschettieri.
si fanno le domande di oggi, mica tutte e tutti, ma allora nel mondo non si osava fare quelle domande, non era ancora normale, ma il mondo stava, piano piano, iniziando a cambiare.
la quattro sorelle (anzi tre e mezza, che una muore presto) sono strepitose, e chi le interpreta è da applausi, e Saoirse Ronan e Florence Pugh sono da premio Oscar.
il film è luminoso, speciale, indimenticabile, mom perdetevelo - Ismaele








Greta Gerwig ha saputo creare un adattamento intelligente e moderno di una storia nota a tutti ed è proprio questa felice intuizione il punto di forza del film. La regista e sceneggiatrice ha trovato e rivisto sé stessa nelle parole della Alcott, regalandoci così una visione assolutamente personale del grande classico senza però stravolgerlo o snaturarlo.
Piccole donne non è quindi l’ennesimo e banale remake ma, al contrario, è un film che porta sul grande schermo un classico di centocinquanta anni fa rendendolo emozionante e più attuale che mai. Un’opera realizzata con rigore e rispetto, che riflette anche le scelte artistiche, le idee e gli ideali della stessa Gerwig.

Piccole donne è, innanzitutto, «un capolavoro di astuzia femminile» che per «centocinquant’anni è riuscito a farsi stampare, tradurre e raccomandare come un romanzo di formazione per giovinette di buona famiglia» e che «intanto riesce ad annunciare la fine del patriarcato». Lo ha scritto la filosofa Luisa Muraro. E ancora: «Si tratta della storia di quattro sorelle che crescono sotto la guida di una madre e in assenza del padre. Il padre è andato volontario in guerra, nella terribile guerra di Secessione che insanguinò gli Stati Uniti intorno al 1860. Louisa May Alcott dice la cosa giusta: gli uomini si stanno autoeliminando a forza di guerre. Resta vivo il simbolico delle donne».
Le poche figure maschili del libro – il padre che è in guerra o Laurie – si affacciano su un mondo di sole donne «e non hanno il potere di turbare la sua vita né di istallarsi nel suo centro focale» (questo è reso molto bene in una scena del film, quando Laurie riaccompagna a casa da una festa Jo e Meg che si è slogata una caviglia, restando sulla soglia a guardare, ammirato e intimidito, un esempio di sorellanza).
Le quattro sorelle, dice Muraro, sono tipe fra loro molto diverse «e tutta la trama si sviluppa dal gioco libero delle loro differenze». E viene soprattutto da questo gioco libero, spiega, il grande successo del libro: «Viene cioè dal ritratto della differenza femminile che si manifesta attraverso le differenze fra donne: non dipende solo né soprattutto dalla figura di Jo, come ho sentito dire».
Il film di Gerwig  – che è stato candidato all’Oscar, ma lei come regista incredibilmente no – non è un semplice adattamento cinematografico del libro. Riesce a raccontarne il senso, restando accanto al testo con rispetto e cura, ma arrivando a rendere il fatto che al di là dell’epoca in cui fu scritto, qui non c’è niente di datato, e nulla di superato. Parla di lei, di Louisa May Alcott, di donne, di (in)dipendenza economica, di arte e anche di cinema, facendosi beffe di come, anche attraverso il cinema, l’esistenza femminile sia stata piegata e deformata (ci arrivo). È mainstream e radicale allo stesso tempo…

«Ho sempre avuto un’idea ben chiara di ciò di cui il libro parlava», ha dichiarato Gerwig in un’intervista, «delle donne come artiste e del loro rapporto con il denaro». Certo, è innegabile, c’è anche questo. Ma la bellezza di Jo risiede altrove, nella complessità dei suoi desideri. Quando abbiamo iniziato a credere che per una donna libera, un’artista, l’amore fosse solo un codice, un’imposizione sociale come lo è un cappellino? Nel romanzo nessuna delle sorelle March è un modello di donna, seppure ognuna sia chiamata a plasmarsi sotto la spinta delle scelte e delle rinunce. È nel compromesso, nella distanza dalle aspirazioni infantili, che si consuma la crescita. Sotto il peso degli inciampi che la vita ha in serbo per loro, ognuna delle sorelle è costretta a tornare sui propri passi, ed è in questa scintilla che si risolve il passaggio all’età adulta. Nello scarto fra ciò che sarebbe potuto essere e quello che davvero sarà. Forse non sbagliava chi ha scritto che il film di Gerwig è una rilettura moderna di Piccole donne, a patto che si concordi su quanto la modernità sia invischiata nel manicheismo stolido di chi pensa il mondo come una semplice contrapposizione fra opposti. Un sistema binario in cui se sei carnefice non sei vittima (neanche di te stessa) e, soprattutto, se sei libera e per di più artista non puoi che considerare l’amore e il matrimonio e i figli come un ostacolo ai tuoi progetti. C’è il sospetto che “post-ideologico”, da riferirsi ai nostri tempi, sia un rigurgito di ottimismo.

…Greta Gerwig decide di risolvere il cuore del romanzo, e cioè l’enigma del desiderio di Jo: tanto volitiva, aggressiva e pronta a combattere quando si tratta della vita pubblica e della sua carriera di scrittrice, quanto timida e incerta quando si tratta di interrogare sé stessa e capire la natura del suo desiderio. “Lo ami Laurie?”, le chiede la madre; “Se mi chiedesse di nuovo di sposarlo, credo che gli direi di sì” risponde lei; “ma questo non vuol dire amare”. Ed è proprio quando Jo scopre che è troppo tardi per tornare indietro e che le scelte sono irreversibili, che la scrittura, frenetica e inarrestabile, entra nella sua vita a suturare quello che altrimenti sarebbe l’esposizione di un vuoto radicale (che è forse una delle migliori definizioni di ciò che nella modernità si è definito come soggetto). Lì mischiando tutti i piani, e chiudendo la distanza che separa la storia dalla vita, Greta Gerwig scioglie le aporie soggettive su cui si sono identificate generazioni di lettori e lettrici con quello che ha il sapore un po’ di un gioco delle tre carte. È una fuoriuscita che più che peccare di poca fedeltà alla lettera del romanzo – come qualcuno le ha fatto poco generosamente notare – rischia di depotenziarne un po’ lo spirito e di inventarsi una soluzione magari esteticamente efficace ma forse un po’ frivola. Una tentazione a cui spesso ha rischiato di soccombere il suo cinema anche in altri episodi. D’altra parte che importa – ci sembra dire la Gerwig – di come va a finire: non si trattava alla fine soltanto di un libro? Forse – ci verrebbe da rispondere – non si tratta mai solo di un libro.
La rievocazione adolescenziale delle vicende delle quattro sorelle, il calore di una stagione che si vorrebbe prolungare indefinitamente, si accompagna costantemente alla consapevolezza – direttamente portata sullo schermo – della sua finitezza. Un’operazione certamente coraggiosa e tutt’altro che “commerciale”, specie per un prodotto mainstream, infarcito di star e pensato anche in chiave-Academy. E in questo senso – così come in un finale pieno di ironia, in cui la Gerwig sembra giocare direttamente con le aspettative dello spettatore – il film si ricollega direttamente all’esordio della regista, a quel Lady Bird che vedeva la stessa Saoirse Ronan affrontare un analogo percorso di crescita, sullo sfondo non più di un conflitto territoriale, ma di una muta guerra tra classi sociali. Altro contesto, stessa sensibilità. Il risultato, che della sua fonte preserva comunque tutto il carattere di puntuale spaccato umano e sociale, resta certamente impresso.

Nessun commento:

Posta un commento