esce per il primo giorno da una comunità di recupero per tossicodipendenti, sembra sia tutto a posto, deve anche fare un colloquio di lavoro.
come Pollicino ripercorre le tappe della sua vita, amici, la ex ragazza, è solo, disperato, rassegnato.
nella sua testa è un fallito, un incapace, un perdente. e allora perde, come sa fare lui.
chi interpreta Anders è bravissimo, sembra uno che abbiamo conosciuto, non vi lascia indifferente.
e qual maledetto 31 agosto, a Oslo, non c'è niente da fare.
un gran film, che vi farà soffrire, se siete ancora vivi.
non perdetevelo - Ismaele
…Trier gira un film apparentemente lineare e scarno sul quale, però, mette
dentro 3 sequenze molto particolari.
La prima è l'incipit, con quei "ricordi di Oslo" che forse
rappresentano la felicità di un tempo del nostro protagonista.
La seconda è una cosa molto simile, ovvero sempre una voice off (quella di
Anders) che racconta di come erano i suoi genitori, di quello che facevano per
lui, della sua infanzia.
Sono due parti molto veloci e intense che, a leggerle poi, paiono quasi una
specie di testamento.
Ma la scena forse più particolare è quella con Anders nella caffetteria.
Il ragazzo prova a captare la vita degli altri cercando di "isolare"
l'audio di ogni tavolo.
Problemi di vita, aspirazioni, sogni, banalità, tutto finisce nelle
orecchio di Anders che intanto, con gli occhi, segue anche dei personaggi fuori
dal locale (che buffo che abbia visto questo film dopo il sogno-racconto che ho
scritto, gli somiglia tanto questa scena).
L'ho trovati 5 minuti bellissimi, quelli di un ragazzo che si sente ormai
morto dentro, fallito, senza futuro, incapace di far progetti e allora prova
disperatamente a "sentire" e vedere la vita degli altri, non so se
per crederci ancora, per tornare a capire come funziona o come ultimo
abbeverarsi di qualcosa che si vuole lasciare per sempre…
…Anders aveva tutti gli elementi per poter provare ad uscirne.
Un possibile lavoro, un amico vero, una sorella che lo ama e voleva solo
prender tempo, una famiglia che aveva fatto tutto per lui.
E una ragazza che voleva conoscerlo.
E un'alba che prometteva tutto.
Ma se un uomo dà le spalle all'alba allora è un uomo che ormai non vuole
essere più bagnato dalla luce.
E se ne va dalla parte opposta, verso le tenebre.
…"Oslo, August 31st" is
quietly, profoundly, one of the most observant and sympathetic films I've seen.
Director Joachim Trier and actor Anders Danielsen Lie, working together for
the second time, understand something fundamental about their character. He
believes the ship has sailed without him. He screwed up. He lost years in
addiction and recovery. Life has moved on. His old friends like Thomas have
stayed on board the ship, and Anders feels adrift. Even the much-loved city
that surrounds him is an affront, a reminder of the days not lived, the
experiences missed. How can he begin again? Above all, Anders is angry with
himself and in despair, although he's so inward as he tries to conceal that…
…I know what he should do. He should leave Oslo,
even Norway. With the English that all Norwegians speak, he could live
anywhere. He could take any kind of a job, no matter what, and cast his past
adrift. His memories of Oslo only inspire regrets. His old friendships are all
over. Day after day, he could rebuild his interest in things. The drugs haven't
destroyed his body but they have taken away his hope. He could walk and walk
and walk, and one day even pick up a book or go to a movie. But Anders has no
faith in a new beginning. The last sound we hear from him is a sigh.
…E’ un film
pesante, Oslo. Un film che mette sotto la
lente d’ingrandimento non solo gli effetti della tossicodipendenza, ma anche il
destino di una generazione persa, che nasconde i propri demoni e le proprie
insicurezze dietro ad una facciata di normalità e svago. E’ una riflessione che
assume un peso ancora maggiore se applicata alla realtà norvegese e della sua
capitale, città apparentemente perfetta ma che sembra non curarsi del malessere
dei suoi abitanti.
La storia di Anders (un
bravissimo Anders Danielsen Lie) di base non ha
nulla di originale: è la storia di un ragazzo perduto che non riesce
a trovare il suo posto nel presente (il futuro non lo concepisce nemmeno) e che
cerca nel passato improbabili ancore di salvezza. Sarebbe un errore
considerare Oslo come un semplice film sulla
tossicodipendenza. E’ molto, molto di più. Joachim Trier senza fare troppo
rumore e mantenendo un profilo basso e delicato riesce a farci empatizzare come
non mai con il protagonista del suo film, regalandoci sequenze di una potenza
lirica incredibile (il finale in piscina, la sequenza del pianoforte).
Guardate Oslo, 31. august: le ore
passate assieme ad Anders vi lasceranno un segno profondo.
…Cinquante ans après Louis Malle, le
norvégien Joachim Trier adapte une nouvelle fois à l’écran le roman de Pierre
Drieu la Rochelle Le Feu follet. Il parvient à le moderniser de façon étonnante
et lui donne une dimension encore plus grande. Alors que chez Louis Malle,
Maurice Ronet était surtout dépressif, le personnage d’Anders est ici très
lucide mais, à l’heure où il peut, ou plutôt il doit, remettre toutes les
pendules à zéro, il s’interroge sur le sens de l’existence, du moins de son
existence. Sur une journée entière, il va être confronté à plusieurs situations
susceptibles de lui apporter des réponses. Ce questionnement assez large donne
une dimension philosophique au film, ce qui lui enlève au passage toute
noirceur. Si on veut bien le voir ainsi, Oslo, 31 août n’est
en rien déprimant. Le personnage d’Anders est certes dépressif mais reste
capable d’analyse, son tort étant, entre autres, d’analyser trop froidement
(d’où son constat final). Le film de Joachim Trier n’est pas sans défaut, avec
quelques longueurs (notamment dans la scène d’anniversaire et dans la boite de
nuit), mais comporte aussi de belles trouvailles comme celle où Anders, seul à
la terrasse d’un café, écoute les conversations des tables qui l’entourent, un
kaléidoscope d’exemples de sens de vie. Oslo, 31 août a
l’avantage de faire partie de ces trop rares films qui portent en eux une
réflexion que l’on se surprend à prolonger une fois la projection terminée.
…il
regista, i suoi occhi sono nell’impossibile spazio tra il protagonista e ciò
che gli sta attorno, le strade che percorre, il giorno e la notte che si
avvicendano, la vita degli altri, una città che l’uomo attraversa; sono luoghi,
immagini, voci e volti che gli scivolano, scorrono accanto, ma che non
può possedere, sentire. Anche il desiderio, qui, in
fondo, è una menzogna, non si fa mai esperienziale, è una corrispondenza
mancata, un segno ambiguo, un tratto incompleto, negato. Ma quello di Trier non
è, però, freddo referto, come potrebbe suggerire il titolo del film; uno
sguardo che non “medicalizza” il racconto, né tantomeno espone tesi o irride il
suo personaggio. È, piuttosto, un filmare come se non si sapesse davvero nulla
del mondo che entra nell’obiettivo della macchina cinema, nonostante una certa
“geometria” della storia, è un osservare limpido eppur partecipe, è lo sguardo
di chi non aderisce a quella storia, ma a quello che le manca, a ciò che è
rimasto oltre i margini, fuori, dallo spazio e dal tempo. Fuori da Oslo,
31. august.
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