hai tutto e dopo un minuto non hai niente, ti resta solo l'umanità, se dura.
mentre Hereafter, di Clint Eastwood, partiva dallo tsunami e poi il film cambiava direzione, The Impossible è incentrato tutto su quei giorni.
protagonista straordinario è Tom Holland, Lucas, che deve diventare grande in poche ore, al suo confronto Naomi Watts ed Ewan McGregor sono attori normali.
il film non è perfetto (cosa c'entra Geraldine Chaplin?), ma è proprio in gran film, dove gli esseri umani al grado zero della sopravvivenza riescono ancora ad essere umani.
Juan Antonio Bayona è davvero bravo, non perdete questo film - Ismaele
Chi avesse vissuto con apprensione, per non dire puro terrore,
le sequenze girate da Clint Eastwood nelle Hawaii
all’epoca di Hereafter è caldamente invitato
ad astenersi dalla visione di The Impossible…
…La volontà di aderire il più possibile alla
verosimiglianza degli eventi (eccezion fatta per la nazionalità dei personaggi,
mutata per probabili esigenze distributive, nonché per la scelta della Watts da
parte di Maria Belòn) è anche prerogativa registica dello stesso Bayona,
che anziché servirsi esclusivamente degli effetti di grafica digitale per
ricreare la marea montante dello tsunami, si avvale di strumentazioni più
“tradizionali” e, per sua stessa ammissione, “folli”, come l’uso di miniature
ricostruite in studio e l’impiego di vere ondate d’acqua sul set spagnolo.
Il risultato è stupefacente e agghiacciante al tempo
stesso. Complice l’interpretazione della Watts e del
giovanissimo esordiente Tom Holland nei panni di
Lucas, e il ricorso alternato a campi lunghi (con ripetute panoramiche
dall’alto) e ravvicinati (fino al lunghissimo dettaglio sugli occhi sofferenti
di Maria), è letteralmente impossibile astrarsi dagli avvenimenti e non
partecipare al terrore sperimentato dai personaggi in balia delle onde, e di
tutto ciò che di letale e misterioso si aggira nelle loro profondità.…
…The
film’s most dramatic sequences focus on Lucas, assigning himself the role of
his mother’s lifeguard and protector. Now again, at another holiday season,
this film becomes a powerful story of a family’s cohesive strength.
Director Juan Antonio Bayona and
writer Sergio G. Sanchez combine visual effects in this
film that are doubly effective because they strive to do their job without
calling undue attention. It is a mark of great acting in a film when it
succeeds in accomplishing what it must precisely when it is required. “The
Impossible” is one of the best films of the year.
…Lo imposible contiene unas espectaculares e
impresionantes escenas del tsunami, el mar invadiendo la tierra y consigue
personalizar la experiencia de los protagonistas a través del sonido y con un
planteamiento visual y una planificación que prolonga en duración e intensidad
ese breve apunte del asunto que nos diera Clint Eastwood en Más allá de la
vida. Durante diez minutos asistimos a la brutal experiencia de ser arrastrados
por el agua con María, la madre que interpreta Naomi Watts, y su hijo Lucas, interpretado
por Tom Holland. El sonido y las imágenes se alían para hacernos sentir dentro
del agua.
Pero
pronto queda claro que, al contrario de lo que ocurre en el cine de catástrofe,
aquí la propia catástrofe no es la protagonista, sino el detonante de la
verdadera historia, que es una aventura de supervivencia y superación de la
adversidad sin lágrimas fáciles ni resonancias épicas. Muy al contrario. Bayona
elige una planificación visual espectacular en la que no cae en la trampa de
dejarse llevar por la enorme magnitud de la catástrofe hasta convertirla en un
espectáculo. Porque su tema son en todo momento las personas, y no sólo
personajes.
Ese
respeto es también el origen de tres momentos que marcan el tono de madurez y
la solidez de la película. El primero nos muestra una reacción de terror del
hijo al ver el destrozo en el cuerpo de su madre e inmediatamente después un
momento de pudor al ver el seno desnudo. El segundo consigue ponernos el nudo
en la garganta cuando el padre llama al abuelo de sus hijos. El tercero es una
especie de canto funeral por los que perecieron en la catástrofe, los que nunca
fueron encontrados, el recuerdo a los caídos que cada protagonista llevará
siempre a través de esas frases y objetos. Es la memoria, que tan frágil se muestra
en el público general en cuanto pasan unos días de la tragedia y otra nueva
tragedia estalla en algún otro sitio, porque incluso en esto de compadecernos
del prójimo nuestra sociedad se cansa pronto de llorar a los mismos muertos y
se muestra ávida y voraz en la búsqueda de nuevas catástrofes.
Esos
tres momentos recogen el verdadero acierto de Lo imposible junto con la
resolución visual de otras secuencias y el talento del director para trabajar
con el encuadre y la cámara borrando la distancia que separa al público y los
personajes hasta situarnos casi dentro de la propia película. Hay que destacar
aquí el trabajo de dirección de actores, que ha conseguido sacar la máxima
naturalidad incluso de los integrantes más jóvenes del reparto. En ese sentido los
dos hermanos pequeños son un ejemplo de sencillez en la que no se aprecia la
afectación que a veces marca la interpretaciones infantiles en el cine. Los
niños de esta película realmente parecen niños, no monstruitos sabihondos. En
cuanto a Tom Holland forma con Naomi Watts un dúo perfecto, capaz de meternos
totalmente dentro de los momentos más duros que viven los personajes que
interpretan. Holland me ha recordado otros dos grandes trabajos de jóvenes
actores, Christian Bale en El imperio del sol y Jamie Bell en Billy Elliott…
…Il regista Bayona ha dimostrato di
saperci fare bene con il linguaggio cinematografico e soprattutto con l’horror,
suo genere d’esordio. Con The Impossible realizza
un film molto lineare, che tende al drammatico, genere connaturato al tipo di
storia che si vuole raccontare, ma che tuttavia viene declinato con uno stile
registico che si avvicina molto a quello dell’horror. I meccanismi, i tempi e
soprattutto il montaggio sonoro del film mirano a costruire una tensione così
palpabile che sembra davvero di assistere ad un film dell’orrore. Tale
accostamento non è difficile da immaginare né tantomeno fuori luogo dal momento
che la situazione che si sono trovati a vivere i sopravvissuti alla terribile
onda distruttrice ha senza dubbio rasentato l’incubo più nero…
L’horror, per Bayona, più che un genere
da frequentare è uno «sguardo» da adottare.
La grammatica dei film di fantasmi e di paura, per lui, è solo un pretesto che sta a monte dell’atto di narrare.
El Orfanato, ad esempio, i suoi spettri che cercavano consolazione li calava nelle tinte fosche e fiammeggianti del melodramma familiare più puro. Più che incutere paura, muovevano a pietà e toccavano, come dita su un’arpa, le corde più dolenti dell’intera condizione umana. Il brivido non era, come spesso avviene in operazioni analoghe, punto d’arrivo del racconto, ma condizione del suo essere. Una delle tre parole, in fondo, con le quali costruire tutto un mondo d’immaginazione che, però, mantiene con quello dello spettatore, un rapporto a suo modo peculiare e ambiguo. Sicché le porte scricchiolanti, i sospiri nelle tenebre, lo sferragliare di catene e il freddo che s’attacca fin dentro le ossa, sono, come in James, atmosfere che nascono dentro al cuore umano. Non cose, ma impressioni che permangono nell’aria lasciando un’eco ch’era cominciato nel più profondo del nostro essere e che lì ritorna a simulare un vuoto che sgomenta.
L’uomo, in fondo, è così piccola cosa nell’economia del Creato. È lui il vero fantasma che abita un’Eternità indifferente. E il suo sforzo è darle un Senso, come un albero che resiste all’onda di mare di uno tsunami.
L’horror, in fondo, è questa onda anomala densa di presagi e di paure. È l’incomprensibile che arriva da dentro il nostro stesso cuore a scuotere le fondamenta sulle quali avevamo avuto l’ardire di costruire le nostre misere esistenze. È un rimosso dolorante, umidiccio e freddo che ci lascia col sospetto che la nostra impronta sulla spiaggia della vita sia così piccola da non reggere al primo bacio di risacca.
A fronte dell’incomprensibilità del creato, l’Uomo può costruire solo piccoli gusci di vita familiare. Affetti leggeri, impalpabili, spesso fondati su piccole bugie, ma che restano veri e saldi fintanto che il Mistero, che sempre preme ai bordi dell’inquadratura, non giunge a reclamare i suoi possessi.
L’horror è come lo tsunami di The impossible. Giunge inatteso, ma dopo aver tanto sussurrato all’orecchio dei sordi. Irrompe nel Creato, inesplicabile, e mangia tutto, riportando l’uomo, in terribile balia dei flutti del caso, nella sua condizione infima nei piani di un creato che non ha mai avuto grandi progetti per lui…
La grammatica dei film di fantasmi e di paura, per lui, è solo un pretesto che sta a monte dell’atto di narrare.
El Orfanato, ad esempio, i suoi spettri che cercavano consolazione li calava nelle tinte fosche e fiammeggianti del melodramma familiare più puro. Più che incutere paura, muovevano a pietà e toccavano, come dita su un’arpa, le corde più dolenti dell’intera condizione umana. Il brivido non era, come spesso avviene in operazioni analoghe, punto d’arrivo del racconto, ma condizione del suo essere. Una delle tre parole, in fondo, con le quali costruire tutto un mondo d’immaginazione che, però, mantiene con quello dello spettatore, un rapporto a suo modo peculiare e ambiguo. Sicché le porte scricchiolanti, i sospiri nelle tenebre, lo sferragliare di catene e il freddo che s’attacca fin dentro le ossa, sono, come in James, atmosfere che nascono dentro al cuore umano. Non cose, ma impressioni che permangono nell’aria lasciando un’eco ch’era cominciato nel più profondo del nostro essere e che lì ritorna a simulare un vuoto che sgomenta.
L’uomo, in fondo, è così piccola cosa nell’economia del Creato. È lui il vero fantasma che abita un’Eternità indifferente. E il suo sforzo è darle un Senso, come un albero che resiste all’onda di mare di uno tsunami.
L’horror, in fondo, è questa onda anomala densa di presagi e di paure. È l’incomprensibile che arriva da dentro il nostro stesso cuore a scuotere le fondamenta sulle quali avevamo avuto l’ardire di costruire le nostre misere esistenze. È un rimosso dolorante, umidiccio e freddo che ci lascia col sospetto che la nostra impronta sulla spiaggia della vita sia così piccola da non reggere al primo bacio di risacca.
A fronte dell’incomprensibilità del creato, l’Uomo può costruire solo piccoli gusci di vita familiare. Affetti leggeri, impalpabili, spesso fondati su piccole bugie, ma che restano veri e saldi fintanto che il Mistero, che sempre preme ai bordi dell’inquadratura, non giunge a reclamare i suoi possessi.
L’horror è come lo tsunami di The impossible. Giunge inatteso, ma dopo aver tanto sussurrato all’orecchio dei sordi. Irrompe nel Creato, inesplicabile, e mangia tutto, riportando l’uomo, in terribile balia dei flutti del caso, nella sua condizione infima nei piani di un creato che non ha mai avuto grandi progetti per lui…
…La principal razón del fiasco discursivo de Lo
imposible reside en su pereza –y/o incapacidad– por afrontar un
relato más que insólito (de hecho, si no estuviera basado en hechos reales, no
habría quien se lo creyera) una vez sosegada la acción. Tras el tsunami se da
pie a una interesante trama de supervivencia que el texto no se esfuerza en
explotar (algo parecido a la lamentable deriva que oscureció, a partir de su
segunda temporada, el éxito alcanzado por el arranque de la serie The
Walking Dead ). Aquí cabrían dos justificaciones. La primera alegaría
que, quizá al ceñirse muy literalmente al testimonio de la familia, no hubiera
mucho más que contar. Pero si de algo puede presumir el cine es de una oferta
infinita de posibilidades narrativas, por lo que se antoja mucho más plausible
la opción de no querer contar, sustentada en la teoría de los no-personajesdel
crítico Juan Sardá, quien expone que no hay una presentación al uso de
personajes, que solo son elementos compositivos con el único objetivo de lograr
armonía visual; en palabras de Sardá, “a Bayona no le interesan tanto
las personas de carne y hueso, las personas concretas con sus defectos y
virtudes, sino su posición en el plano y su condición de símbolos de ‘lo
humano'”.
Por culpa de la contextualización física y
tremendamente elíptica (otro recurso contrario a lo que suele funcionar en este
tipo de filmes: la dilatación del clímax) de la división familiar, el
desencuentro no supone un trauma tan jugoso como delicado a nivel emocional, y
la única incertidumbre de todo el filme se concentra en el estado de salud de
la madre, trama que aprovecha su morbo para (ahora sí) estirarse hasta la
extenuación del espectador, es decir, hasta el final de la película. Bayona
intercala en tan parsimonioso desarrollo redundantes planos generales de los
estragos; sin embargo, más que disolver el cansinismo de una
intriga muerta, parece que pretenda justificar a sus productores un dinero bien
invertido.
Sin que
implique una percepción insensible, cabe decir que Lo imposible no
solo no conmueve, sino que llega a aburrir en aquellos momentos en los que, se
entiende busca la lágrima (a excepción de pequeños detalles, como la escena de
Geraldine Chaplin o el descubrimiento de la nota de la familia que murió en la
playa). Las falsas expectativas –generadas en buena medida por la abrumadora
campaña promocional a la que aludíamos antes– de que podríamos
encontrarnos con una Titanic nacional, se esfumaron
para albergar la sensación de estar viendo un largo capítulo de House en
pantalla grande (y no es mala serie, ojo). Eso, sí, ya ha petado la
taquilla.
…la trampa que te mete
Bayona para que pienses que Watts ha muerto; porque vamos a ver, narrativamente
¿qué sentido tiene que Watts meta la cabeza en el agua y se desplace unos
metros? ¿Qué, le entraron ganas de echar un vistazo al fondo del mar? Eso es
ser poco honrado con el espectador.
Y así es toda la
película. Watts se desgarra la pierna y Bayona se detiene a mostrarte lo mucho
que le cuesta trepar un árbol; McGregor aparece, y se pega un trompazo con una
mesa; la vecina de cama de Watts se pone a vomitar sangre y acto seguido lo
hace ella (y está rodado como si estuviera muriéndose); y más y más y más. Y cuando
hay una pequeña pausa, es para que te emociones (como cuando el niño se pone a
buscar a personas desaparecidas, o cuando McGregor logra un móvil).
Y como no podía ser de
otra forma, el final está estirado hasta el infinito. Para llegar al reencuentro,
Bayona no hace más que dar giros y giros inverosímiles, y cuando debería
haberse acabado la película, todavía se detiene a contarte una operación. Yo
pensaba que ya solo faltaba que cogieran un avión de regreso a casa, pero
entonces se quedarían sin gasolina en medio del océano y tendrían que hacer un
aterrizaje forzoso en una isla desierta y al piloto le daría un infarto y
comenzaría la tormenta más fuerte del siglo…
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