martedì 3 luglio 2018

Free fire - Ben Wheatley

se siete di quelli a cui piacciono i film dove non succede niente, o al massimo due spari, lasciate perdere questo film.
in confronto nei film di Tarantino non succede quasi niente.
la scena è quasi tutta in un magazzino sgarrupato, e parlano le armi, e spesso gli attori agiscono, si muovono, parlano, fanno ironia, dicono bugie, se non fosse che si tratta di una sparatoria del tipo mors tua vita mea sembrerebbe tutto teatro (e cinema).
bravo Ben Wheatley e tutti gli attori (e gli scrittori dei dialoghi).
insomma, un film rumoroso ma non ti annoi.
buona visione - Ismaele







…Fa piacere leggere il sostegno produttivo di un colosso americano come Martin Scorsese, che nel progetto di Wheatley avrà intravisto qualcosa di fresco, ma dal fascino vintage, disegnato nei completi anni Settanta indossati con stile da Sharlto Copley, Armie Hammer, Cillian Murphy, Sam Riley e la deliziosa e risoluta Brie Larson. Senza ombra di dubbio la cosa migliore e vero elemento di disturbo in un cast tutto al maschile. La contemporaneità passa anche, e soprattutto da qui d’altronde, nella rivalutazione e nell’incidenza del ruolo femminile in un genere come questo.
Raffinata l’arte dell’insulto, con pagine e pagine di battute scelte con cura, precisa la regia di Ben Wheatley (il ragazzo ha studiato, e si vede), insomma niente viene lasciato al caso in Free Fire. Nemmeno l’ordine delle uccisioni, il numero dei colpi, la stretta finale che a forma di imbuto inghiotte i malcapitati criminali lasciandone libero soltanto uno. O una, chissà.
Ciò che resta, ed è una certezza assoluta al termine del film, è la gioia di aver assistito ad uno spettacolo di genuina bontà, divertito della sua stessa spiazzante credibilità ma verosimile quando affronta – anche in maniera sgangherata – le complesse sfumature dell’animo umano, i desideri, gli istinti primordiali e lo spirito di sopravvivenza in situazioni ostili. E l’epilogo, e qui ci fermiamo, è ancora più inaspettato e formidabile di quanto avremmo immaginato.

El proceso creativo que Wheatley ejecuta, desde el cine objetual al cine conceptual, tiene un claro motor narrativo: la violencia, que estará siempre apoyada en la ironía como catalizador dramático. El director promueve un estilo provocativo hacia los cánones del cine de acción, con una clara intención de sensibilización dirigida al espectador como parte del procedimiento reestructurador y sarcástico de las estrategias propias del cine clásico. Por ello nos enfrentamos a una gran amplitud estilística, sujeta a un excesivo tiempo de aparición de la crueldad física en pantalla, y a un alto grado de explicitud dialéctica. Se trata, por lo tanto, de una visión formalista de la violencia posmoderna que, desde la abstracción argumental, deriva en el minimalismo escénico. Esto provoca un evidente rechazo en cierto tipo de público no interesado en la austeridad fílmica, aunque el realizador es consciente de ello y lo afronta con naturalidad, siguiendo las palabras del crítico Craig Owens, quien argumentó que “no todo lector de arte está capacitado intelectualmente para leer un tipo de discurso. En segundo lugar, no está interesado en ello”. Lo cierto es que este tipo de películas incomodan en demasía el discurso hegemónico de la crítica más conservadora, pues sugiere que la proyección narrativa no es una característica indispensable para que la obra fílmica sea considerada como composición artística, proponiendo una clara ruptura entre el posmodernismo y esa fase de indeterminación estética en la que nos encontramos…

quando si sceglie di aderire a un canone così sfruttato nella storia recente della settima arte ci si attende qualcosa di epocale, qualche elemento di radicalità che porti a ripensare il canone stesso. Wheatley invece sceglie il più puro cinema di genere, quello di Sam PeckinpahScorseseJohn Woo e naturalmente di Quentin Tarantino. Con le consuete battute, le consuete caratterizzazioni macchiettistiche dei gangster, la pupa contesa tra i vari galli da combattimento.
Forse ancor più di 
Tarantino e delle sue Iene, è Guy Ritchie il principale riferimento, per citare il più famoso tra i britannici folgorati sulla via del "pulp", attento allo stereotipo del gangster dall'accento curioso e dalla gag scurrile sempre pronta (qui è il personaggio di Vernon a incarnare entrambi i cliché). Quindi perché girare Free Fire, dopo la discussa ma audace trasposizione di Condominio di Ballard in High Rise? Per cimentarsi con un esercizio di stile, probabilmente, o per misurarsi con Martin Scorsese, come a quanto pare ogni regista desidera fare più o meno inconsapevolmente…

La pellicola di Wheatley si prende gioco da sola e invoglia lo spettatore a seguirlo in un carnaio, un mattatoio dove la polvere del terreno contribuisce, paradossalmente, ad evitarci l’apnea respiratoria. La salita, il paradigma dell’altezza=salvezza attuato dai due boss, si configura, secondo fonti immortali, come la sola maniera di scampare al soffocamento geografico. Ma pure una scrittura cadenzata da nuovi ingressi, progressi, un bacino di possibilità risolutive, distolgono l’attenzione da un effetto chiusura. Cecchini, vittime, tutti partecipiamo tanto all’eleganza folle del dandy Armie Hammer quanto alla tossicità irriverente di Sam Riley. Una molla in cui perfino la fase di compressione non lascia spazio alla tranquillità. Eppure, inaspettatamente, il monumentale cantautore John Denver fà il suo ingresso con i suoi scorci di montagna, i suoi laghi cristallini tanto amati, e ci riconduce ad una dimensione di leggerezza: un sognante galleggiamento capace di farci astrarre dalla pericolosità degli eventi e del loro reale significato. Free Fire gioca addirittura con i paradigmi del noir, vedi la femmina fatale, ma non li incanala in toto, forse per la manifesta intenzione di ibridarsi il più possibile e non cedere il passo a cornici prestabilite. Un’ammucchiata esilarante da rivedere. Chiaro come il sole.

Con un'azzeccata colonna sonora che riprende alcuni classici di John Denver e un cast delle grandissime occasioni (Brie Larson, Cillian Murphy, Armie Hammer, Sharlto Copley, Noah TaylorSam Riley tra i tanti) che dà vita a personaggi grotteschi o raziocinanti a seconda delle occasioni, l'operazione si pone come istintivo e riuscito divertissement forse poco adatto ai gusti contemporanei (come dimostra lo scarso successo ai botteghini worldwide) ma di indubbio fascino retrò.

…è un giocattolo godibile, marchingegno che riesce a evitare la stasi e avanza per la sua ora e mezza di durata – di più sarebbe stato fisiologicamente difficile resistere – senza alcun intoppo. Certo, l’impressione forte è che nelle mani di un autore di maggior spessore (il nome che viene naturale pensare è quello di Quentin Tarantino, uno che a trielli, duelli e situazioni simili ha abituato il pubblico) Free Fire si sarebbe dimostrato un oggetto in grado di coniugare il ludico al teorico, con una riflessione sua coazione a ripetere i medesimi gesti e sulla prigionia all’interno dei codici del genere, riflessioni che Wheatley riesce solo a sfiorare, senza addentrarvisi. Nulla di tragico, ma un leggero amaro in bocca al termine della visione rimane…

il casting è stato perfetto; nel gruppo dell’IRA, una serie di attori di grande spessore capeggiati dal talentuoso Cillian Murphy (Transcendence, 2014, Il cavaliere oscuro – Il ritorno, 2012, Inception, 2010), mentre nella gang dei trafficanti emerge invece senza dubbio il personaggio di Vernon, interpretato alla perfezione da un esilarante Sharlto Copley (District 9, 2009). Un personaggio, il suo, che riesce a infastidirti e a farti desiderare di averlo a cena tutte le sere allo stesso tempo, indimenticabile come il suo strettissimo accento sudafricano. Proprio gli accenti, le inflessioni e i dialoghi in generale sono il nucleo del film, e difatti la colonna sonora non è mai invadente, bensì occasionalmente arricchita da alcuni grandi brani dell’epoca piazzati in modo geniale con risultati eccellenti. Free Fire è inoltre girato e montato in modo eccezionale, caratterizzato da un virtuosismo registico portato agli estremi, in cui in innumerevoli occasioni non si può fare a meno di restare incantati dal tipo di inquadratura scelta e dall’originalità della messa in scena. Girato in poco più di un mese, non si fa fatica a immaginare che Free Fire sia frutto in realtà di un’attenta progettazione da parte di Wheatley, in cui l’uso dello storyboard ha avuto un ruolo preponderante. Non c’è un dettaglio fuori posto, ogni particolare pare derivi da un’attentissima e maniacale attenzione verso ogni minuzia, dai costumi di scena con prevalenza dei colori giallo ocra e blu cobalto ai numerosi scontri fisici ripresi da più angolazioni, tanto da farlo paragonare a un altro famoso autore, Stanley Kubrick…

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