mercoledì 31 marzo 2021

I giovani uccidono (The blue lamp) – Basil Dearden

un giovane Dirk Bogarde nel ruolo di un delinquente, in un film che sembra quasi una pubblicità per Scotland Yard, almeno all'inizio.

la seconda parte è davvero splendida, con le scene dell'inseguimento e alle corse da film di serie A.

cercatelo e godetene tutti, gran bel film - Ismaele



 

Realizzato con la collaborazione di Scotland Yard, film campione di incassi in Gran Bretagna che riprende il taglio documentaristico dei coevi noir americani (sempre interessante la Londra postbellica). Sottolinea l'anacronismo di una polizia disarmata a fronte di una delinquenza sempre più sfrontata, ma la prima parte si dilunga troppo sul cameratismo degli agenti, mentre la seconda è molto più tesa e coinvolgente. Nel cast, manco a dirlo, spicca Bogarde nel ruolo, per lui non inusuale a inizio carriera, di un giovane criminale nevrotico.

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Dramma a tinte noir-poliziesche, connotato da "inserti" quasi documentaristici (in questo caso sulla polizia ed il suo lavoro) com'era di moda a quell'epoca. La cosa più interessante del film è l'ambientazione nella Londra post bellica, di cui si vedono scorsi inediti e molto interessanti. La storia è poca cosa: prevedibile negli assunti, negli sviluppi e nell'ovvio (visto il periodo in cui fu girato) epilogo. Ma non ci si annoia di certo e per l'epoca doveva anche essere meno banale di quanto appaia oggi. Bogarde mostrava già sprazzi del suo talento.

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It’s a fast-moving, dynamic and enjoyable crime thriller. After all these years it is still both exciting and involving, while significantly taking time to paint a valuable portrait of a now long-vanished world of post-war austerity London working-class society. It established firmly in the British national consciousness the cosy ‘evening all’ idea of the trustworthy, fair London bobby of the Fifties, an image eroded then finally smashed by 60s, 70s and 80s TV and cinema thrillers (Z-Cars, The Sweeney) as the post-war age of friendly innocence was destroyed  for ever by the swinging sixties and cynical seventies…

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lunedì 29 marzo 2021

Mississippi Blues - Robert Parrish, Bertrand Tavernier

Bertrand Tavernier e Robert Parrish girano un film nel Mississippi, razzismo, linciaggi, musica e umidità in un film con l'anima blues.

da non perdere - Ismaele


ps: a seguire un ricordo di Martin Scorsese e la storia di James Meredith (raccontata nel film)


 

QUI una versione ridotta del film, in italiano, dalla rete

 

 

Interessante ma discontinuo documentario firmato da un regista francese profondo conoscitore dell'America e da un cineasta statunitense amante della cultura europea. La passione civile (esplicitata nel racconto sincero e commosso del caso Meredith, primo studente nero ammesso all'università del Mississippi nel 1963), l'amore per il cinema (in particolar modo per Jean Renoir e John Ford) e per la musica sono evidenti e raccontati con piglio originale e curioso, ma a mancare è una sintesi coerente che riesca ad amalgamare le varie anime del prodotto in un'opera più bozzettistica, prevedibile e sfilacciata di quanto non vorrebbe apparire. Va detto che il film è il risultato di un significativo ridimensionamento del documentario concepito per la distribuzione televisiva Pays d'octobre, quasi quattro ore di girato divise in quattro episodi. In questo modo Mississippi Blues si presenta come un progetto sostanzialmente monco in cui alcuni aspetti sono più approfonditi di altri.

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…Les musiques noires du vieux Sud américain ne constituent cependant pas l’unique objet de Mississippi BluesBertrand Tavernier et Robert Parrish envisagent aussi le blues et le gospel comme les révélateurs de la civilisation bâtie par les Noirs d’un Sud autrefois esclavagiste. Là encore fidèle aux attendus du genre documentaire, le film combine aux captations de prestations musicales - restituant le réel de manière brute - des séquences d’entretiens donnant sens au dit réel. Durant ces interviews, menées par les deux réalisateurs, s’expriment notamment des intellectuels - là un sociologue, ici un écrivain - qui mettent à jour les contextes historique, politique ou encore social dont blues et gospel sont à la fois les produits et les reflets. Et c’est ainsi que Mississippi Blues, sous ses allures de balade admirative à travers l’univers musical de la communauté noire, offre in fine un portrait global de celle-ci…

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dice Bertrand Tavernier:

  • Il cinema e la letteratura di genere permettono delle audacie che non si riconoscono, talvolta, se non molto tempo dopo, tanto esse sono intimamente compenetrate al genere stesso.
  • Tutto ciò che intensifica e drammatizza l'emozione e la realtà mi interessa. Questo si avvicina forse molto alla maniera in cui amo mettere in scena: una messa in scena basata sull'emozione che, lo spero, non è mai artificiale.

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Martin Scorsese ricorda Bertrand Tavernier

Conobbi Bertrand Tavernier a inizio anni ’70. Lui e il suo caro amico Pierre Rissient avevano visto Mean Streets parlandone molto bene pubblicamente, e questo per me significò molto. Ho subito capito che Bertrand conoscesse la storia del cinema da cima a fondo. E ne era profondamente appassionato a tutti i livelli – riguardo ai film che amava e a quelli che odiava, appassionato nel segnalare nuove scoperte così come nel rivalutare figure dimenticate (fu Bertrand a condurre l’importante riscoperta di Michael Powell), appassionato dei film che lui stesso ha fatto. Come cineasta aveva una voce così peculiare, simile a nessun altro. In particolare ho amato un suo film del 1984, Una domenica in campagna, curato in maniera così attenta che sembrava uscisse fuori dal mondo dell’impressionismo. Ho amato tutti i suoi film in costume, come Che la festa cominci… e Capitan Conan, nonché i suoi adattamenti di Simenon (L’orologiaio di Saint-Paul, il suo film d’esordio) e di Jim Thompson (Coup de Torchon, adattato da Pop. 1280). Ero seduto al loro tavolo quando Bertrand ed Irwin Winkler trovarono l’accordo per il suo bel Round Midnight – A mezzanotte circa, e ricordo con piacere la mia piccola parte nel ruolo dell’agente di Dexter Gordon. Bertrand conosceva intimamente ogni angolo del cinema francese, e penso che dobbiamo ritenerci fortunati che sia riuscito a completare il suo epico documentario, un viaggio attraverso la sua storia, qualcosa di rara bellezza. Altrettanto intimamente conosceva il cinema americano, tanto che lui e Jean-Pierre Coursodon scrissero, aggiornandolo di frequente, un dizionario dei registi americani, che a questo punto sarebbe opportuno venisse tradotto in inglese. Una cosa riguardo a Bertrand, nota a tutti i suoi amici e i suoi cari: era talmente appassionato che poteva condurti allo sfinimento. Era capace di stare seduto ore e ore, dibattendo a favore o contro un film o un regista, un musicista, un libro o una posizione politica, tanto che a un certo punto veniva da chiederti: da dove viene tutta quella energia? È difficile credere che non avrò più l’opportunità di stare dall’altra parte, di ricevere tutto ciò. O di avere un’altra visita da parte di quest’uomo straordinario e insostituibile.

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qui e qui qualcosa su James Meredith

qui e qui ne cantano Bob Dylan e Phil Ochs


domenica 28 marzo 2021

Il giorno degli zombi – George A. Romero

questa volta siamo in un bunker sotterraneo, un microcosmo dominato dai militari, con gli scienziati che vorrebbero essere razionali, cercando soluzioni al problema dei problemi, gli zombie che hanno invaso il pianeta.

il dottor Logan fa degli esperimenti, per (ri)educare gli zombi, preso in giro dai militari, in un clima non favorevole.

protagonista una scienziata donna, in una lotta contro il tempo, in un mondo, quello fino ad allora conosciuto, con i giorni contati.

mai banali i film di Romero, da non perdere - Ismaele

 

 

 

 

è un feroce atto d'accusa sulla natura violenta del potere che coinvolge, in definitiva sullo stesso piano, tanto i militari quanto gli scienziati. Gli uni perché ottusi esecutori della logica della guerra; gli altri perché idealisti e fideistici servitori di un concetto astratto di scienza che, nei crudeli esperimenti condotti sui prigionieri (non a caso il dottor Logan è soprannominato "Frankenstein"), si rivela sadica ed efferata quanto la guerra stessa. Il capitano Rhodes è presentato come un esaltato reazionario che capisce soltanto la ragione delle armi e il dottor Logan è tratteggiato ad immagine e somiglianza dell'efficiente scienziato dei lager nazisti. Privo di speranze e di certezze, il discorso di Romero sembra inevitabilmente scivolare nel nichilismo. Meno applaudito delle due precedenti pellicole, il film presenta comunque una ricchezza stilistica considerevole: la claustrofobica ambientazione del bunker e la crescente tensione che ritmano il racconto, trasmettono - più dei prevedibili effetti splatter elaborati dalla squadra di Tom Savini - il senso di un incubo postapocalittico di solitudine e di paura al cui fascino morboso è difficile sottrarsi.

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È sempre una donna a condurci dentro l'apocalisse zombi: dopo un incipit dalla forza d'urto devastante, tra i più belli dell'intera produzione romeriana, l'opera precipita in luoghi ctoni, profondi, uterini, gironi d'inferno dove la violenza è prima nelle relazioni che nelle atrocità iperrealiste di Savini. Mentre la donna si emancipa verso un'ambigua mascolinizzazione, ci addentriamo nella fisiologia dei morti viventi, ormai espressione di un mutamento epocale, nascita di una nuova progenie - con riferimenti cristologici ed escatologici - destinata a sovvertire il primato dell'umano. Plumbeo.

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Il Giorno degli Zombi è un lucidissimo affresco della società degli anni ’80 (ma non solo), che si distingue anche per la maestria tecnica con la quale è stato realizzato: il trucco tocca vette irraggiunte dai due episodi precedenti della saga, così come gli effetti speciali, che nulla hanno da invidiare a quelli, pionieristici, mostrati da Un Lupo Mannaro Americano a Londra quattro anni prima. In definitiva, una vera pietra miliare del cinema anni ’80, in cui Romero, oltre che l’indiscusso Maestro del cinema zombie, dimostra una volta di più di essere un regista in grado di intrattenere, ma anche di portare lo spettatore attraverso un processo di consapevolezza e di ragionamento utile a comprendere il mondo nel quale vive: ed oggi più che mai, un cinema di questo genere deve necessariamente essere salvaguardato.

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…L'impressione degradante che viene data dei militari è facilmente leggibile come una critica alla violenta politica estera della presidenza Reagan, attuativa di quel neoimperialismo deprecato da Romero. Nel mezzo, si colloca il Dr. Logan, personaggio ambiguo disposto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, ovvero il controllo degli zombi. Gli zombi, certo. Il film si chiama Il giorno degli zombi, ma si sarebbe potuto chiamare "La notte degli esseri umani": una notte spirituale, ovviamente, che porta a quel sonno della ragione che, com'è noto, genera mostri. Perchè nel corso del film gli zombi si vedono molto meno di quanto ci si possa aspettare: nella prima ora quasi non compaiono se non nella sequenza iniziale, e solo nel finale avranno davvero un ruolo determinante. Ma se nell'economia della trama essi si ritrovano quasi ai margini, possiedono invece una valenza morale estremamente importante: rappresentano quella purezza impossibile da ravvisare negli umani, e che sullo schermo viene mostrata soprattutto da Bub, lo zombi del Dr. Logan che mostra una seppur primitiva capacità intellettiva, ed anche (e soprattutto) emozionale, di fronte al cadavere del dottore. Il finale chiude perfettamente il cerchio…

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venerdì 26 marzo 2021

Canadian bacon – Michael Moore

Michael Moore fa da comparsa nel film, che non è un documentario.

trama un po' folle con qualche idea che verrà ripresa in futuro, per esempio sui canadesi che non chiudono le porte a chiave.

è il primo film di Moore, non è un cult, ma alcune parti sono molto divertenti.

a me è piaciuto abbastanza, siate indulgenti - Ismaele 

 

 

Il primo lungometraggio a soggetto di Michael Moore (e ultimo film dell’indimenticabile John Candy) si colloca tematicamente nel genere della commedia fantapolitica. Dietro l'impostazione satirica e apparentemente svagata, presenta i tratti distintivi dell'impegno civile che avevano già animato il precedente documentario-inchiesta Roger and Me e che informeranno le successive opere del regista, ma a differenza di questi ultimi lavori, in Operazione Canadian Bacon, la denuncia contro la politica della corruzione, del militarismo, della manipolazione dell'opinione pubblica appare soffocata e frammentaria e, nella incertezza di cogliere un preciso bersaglio, finisce per strizzare l'occhio in maniera accomodante al grosso pubblico in cerca di pura evasione.

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Gli Stati Uniti hanno bisogno di un nuovo nemico e si rivolgono al vecchio e tranquillo Canada. Alcuni perfetti idioti non vedono l'ora di andare a combattere...

Satira politica un po' surreale, semplice e qualunquista e non esente da esagerazioni. Più che per il suo presunto impegno civile, funziona perché diverte e fa ridere.

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Sette anni prima di "Bowling For Columbine" e nove prima di "Fahrenheit 9/11", Michael Moore ha già chiari i suoi obiettivi, che mette in farsa in uno dei suoi pochi film a soggetto. L'ossessione americana per le armi da fuoco (lo stesso Moore compare nel breve cammeo di un "redneck" che inneggia all'uso delle armi contro i canadesi), un presidente stupido (notevole Alan Alda: "quando hanno abolito Miss Canada???") nelle mani di consiglieri cinici e avidi (il personaggio di Kevin Pollak non differisce poi molto da Condoleezza Rice), la moderazione canadese, la loro ossessione per l'ordine e il bilinguismo (persino le scritte offensive devono essere tradotte in francese) sono tutti gli obiettivi di questa satira/farsa piuttosto riuscita, nello spirito delle commedie alla National Lampoon, con un tocco in più di cattiveria ed impegno politico. Azzeccatissime molte macchiette, a cominciare dallo sceriffo Boomer, interpretato, per contrappasso dal canadese (e compianto John Candy). Stupenda la satira sull'ignoranza geopolitica degli americani: "Dove hanno portato l'ostaggio?" "Nella capitale" "Ah, l'hanno portata a Toronto?" "No, no, a Ottawa" "Ottawa? Ma chi credi di prendere in giro? La capitale è Toronto!". Figuriamoci se questa gente sa dove si trovi l'Iraq.

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martedì 23 marzo 2021

Dark Days - Marc Singer

Marc Singer ci porta nei sotterranei della ferrovia, dove, a New York, sopravvivono degli esseri umani, senza niente, se non pochi spiccioli di carità o lavoretti.

poi un giorno si scopre che le ferrovie vogliono sfrattare quei poveracci, a volte tossicodipendenti, e miracolosamente quelle persone riescono a ottenere un appartamento.

c'è tanta roba che merita nel film, ma basterebbe il loro sorriso per una casa vera per non perdere il film, promesso - Ismaele



 

The dwellers journey to the surface for food and treasure. "Kosher restaurants are the best," one says, "because the food isn't all mixed up with coffee grounds." They look for cans and bottles that can be redeemed. Sometimes they find things they can sell: "Gay porno is the best." Watching this movie, I was reminded of George Orwell's Down and Out in Paris and London, his memoir of 18 months spent living in abject poverty. What he learned, he said, was that tramps were not tramps out of choice, but necessity. Hard luck and bad decisions had led to worse luck and fewer choices, until they were stuck at the bottom. To call a homeless person lazy, he said, was ignorant, because the homeless must work ceaselessly just to stay alive. To tell them to get a job is a cruel joke, given their opportunities. "Dark Days" is the portrait of men and a few women who stubbornly try to maintain some dignity in the face of personal disaster. You could call them homemakers.

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…Singer clearly has a melancholic nostalgia for his time spent in the tunnels, living with his subjects, immersed in their experience. This is more evident in the "Life After the Tunnel" featurette, a collection of stills from the movie with Singer narrating. The documentarian has kept in touch with most of the people in the movie and tracked their journeys. For the most part, the main people featured in Dark Days have gotten on well with their lives above ground. They got clean, got jobs, and rebuilt their existences, flying in the face of conventional cynicism and the misconception that people living on the streets don't want change or help. Granted, the move wasn't 100% successful, but nothing ever is. Even so, humanity is perhaps the most resilient natural resource we have.

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Singer was a former resident of the tunnels, and it shows: his closeness to his subjects, both literal and emotional, is apparent in every scene. They’re as comfortable with Singer and his camera as he is with them, and this allows him an access to material which most ‘professional’ documentarists – i.e. outsiders – would struggle to match. And Singer is clearly a gifted film-maker, though this isn’t necessarily to Dark Days‘ advantage. Despite its zero budget, it looks amazing, full of atmospheric black-and-white shots of the tunnels, the trains, the streets and the people…

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domenica 21 marzo 2021

La tigre bianca - Ramin Bahrani

è da molto che seguo Ramin Bahrani, e diventa sempre più bravo.

è il quinto suo film che vedo e sono d'accordo con Roger Ebert, che qui scriveva: "Bahrani is the new great American director".

con La tigre bianca riesce ad arrivare al grande pubblico, via Netflix, e tutti potranno apprezzare questo film.

per chi ancora non lo sa, è tratto da un bel romanzo indiano ed è un film che ricorda sia The Millionaire, sia Parasite, ha molti elementi dell'uno e dell'altro, entrambi film memorabili.

come in Parasite la dialettica servo-padrone è in primo piano, è l'asse portante del film.

tutti gli attori sono bravissimi, ma Adarsh Gourav, il protagonista, più di tutti.

buona, imperdibile, visione - Ismaele



 

 

Hoy me van a tolerar no hacer referencias cinéfilas, solo dos palabras, para entrar en un grupo más amplio de la colmena.

Balram (Adarsh Gourav), si digo magnífico me quedo corto, aunque sola sea por esa progresiva perdida de la inocencia, de la que casi el espectador no se da cuenta hasta que la tiene delante de sus ojos, en vidrio ensangrentado.

Pinky (Priyanka Chopra), cuanto con tan poco, magnifica en sus cortas intervenciones, revelándose contra un mundo que la abraza pero al que odia, ella ya perdió la inocencia, por eso se lo intenta hacer comprender a Balram.

El resto de la colmena es amplio.

El rico marido de Pinky, con menos personalidad que los Teletubbies y dispuesto a entrar en el juego de sus asesinos padre y hermano mayor.

La abuela de Balram, una víbora sin sentimientos que arrastra con ella a toda su familia.

La clase política corrupta y asquerosa, encarnada en el ejemplo de La gran socialista.

El gremio de chóferes, que viven en un aparcamiento subterráneo en la más absoluta de las miserias y encima se consideran con un cierto status social.

Y la miseria, maldita miseria que domina la cinta de principio a fin.

El Tigre blanco (The White Tiger) es solo una metáfora, que comprenderán ustedes perfectamente cuando visionen la cinta.

El director (Ramin Bahrani), director de cine y guionista estadounidense. Con varios éxitos y premios en el cine independiente.

Un café en cualquier esquina (2006), Chop Shop (2007), Goodbye Solo (2008) o las más reciente 99 Homes (2015).

Excelente en la dirección de actores, sobre todo en los dos indicados, le da a Tigre blanco (The White Tiger) un tono de tragicomedia y de amargor que casi se convierten en obsesión en toda la película.

Muy bien filmada y con mucho aporte emocional por su parte, aunque a veces nos podamos perder un poco entre el drama y la sátira, que tampoco es malo hacer que pensemos un poco.

Ramin no respeta a nada ni a nadie, toca todos los palos y por supuesto la cultura Occidental también tiene su dosis.

Consigue desde el primer segundo que su protagonista, su héroe, atrape y mantenga la empatía del espectador, cosa harto difícil en un largo sendero rodeado de todo tipo de giros y manipulaciones…

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È caratterizzato da un montaggio rapido ed efficace – dal taglio decisamente hollywoodiano – questo La tigre bianca, da un ritmo narrativo vivace che non fa pesare i 125 minuti di durata, e da una scrittura attenta, che si concentra intelligentemente sulla figura del protagonista e ne descrive puntualmente l’evoluzione/trasformazione – aiutata dalla notevole prova attoriale di Adarsh Gourav. Il senso del titolo, spiegato in apertura, viene ribadito dall’ascesa sociale del protagonista con le sue caratteristiche di unicità, a trasmettere il senso di una positività (e di un paradossale ottimismo) che informa di sé tutto il racconto, compreso il finale meta-cinematografico. Il tutto si traduce in un lavoro accattivante per l’occhio e tematicamente di spessore, a cui si potrà forse contestare il carattere a volte esplicito e spesso sopra le righe del messaggio, ma di cui non si possono negare la lucidità e la buona tenuta spettacolare.

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sabato 20 marzo 2021

Equus – Sidney Lumet

un ragazzo cresce solo, con un padre incapace e una madre alienata dalla religione. Alan si costruisce un suo dio, il cavallo, ed è amore, fino a quando non succede il dramma. 

il dottore cerca di entrare nella psiche del ragazzo e di "curarla", scoprendo cosa si nasconde dietro il suo drammatico gesto.

il suo sentirsi inadeguato nella vita, sotto lo sguardo dei suoi dei, provoca il dramma per cui è in cura.

la sfida del dottore, le sue difficoltà, lo scontro/incontro con Alan, lo scavare nel passato e nella testa del ragazzo sono una corsa verso il senso delle cose e della vita di Alan, ma non solo.

un film davvero grande, che non si dimentica.

buona, imperdibile, visione - Ismaele

 

 

One of the most intense and thought-provoking movies ever made. A psychologist encounters a teenager who has created his own abnormal religion of horse-worship and unbridled passion. The jaded psychologist, acted powerfully by Richard Burton, already having doubts as to his work of 'normalizing' youths, reaches an intense state of self-doubt as he both respects, fears and psychologically manipulates the sick but vibrant youth who had a bloody eruption of passionate guilt that ended in violence. An unforgettable masterpiece.

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Molto complesso questo film di Lumet, ricco di simbologie in cui è facile perdersi. Lumet comunque riesce a risaltare nella giusta luce quella che probabilmente la tematica centrale del film e che si collega in qualche elemento e con un'estrema diversità di stile, molto teatrale, nel Family life di Loach. Rispetto al film del cineasta inglese che punta molto sul contesto sociale, Lumet si concentra maggiormente sugli effetti sulla psiche di un ragazzo schiacciato da genitori iperprotettivi, dall'autoritarismo paterno e l'ossessione religiosa della madre. Un ragazzo solo che costruisce un mondo parallelo al reale dove riesce a raggiungere vere estasi dionisiache, dove riesce ad avere quello sprazzo di libertà negato. In questo contesto si capisce la frustrazione di un medico curante costretto suo malgrado a ricondurlo verso quella normalità piccolo borghese del mondo reale, castrandolo a sua volta e consapevole di guarirlo più per il bene della società civile, rispetto ai bisogni del ragazzo stesso. Una coppia di attori formidabili (Burton e Firth), per un film complesso ma affascinante, che a tratti riesce a liberarsi della sua struttura molto teatrale per offrire squarci onirici di suggestiva bellezza.

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la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!

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Film che mette a confronto un giovane psicopatico e un esperto psichiatra. Caso difficile per il dottore (un grande Burton), che conclude una serie di riflessioni che mettono in crisi la sua stessa identità: chi è normale? chi malato? Chi guarisce e chi cura? E se la follia non fosse altro che la ribellione alla normalità? Si affrontano molti temi riguardo all'origine della nevrosi (e non solo) e Equus è un idolo - affascinante per lo stesso Dysart - creato dal giovane per sopravvivere alle ferite e contattare il sé più profondo.

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My instinctive reaction was to close my eyes: I didn't want to see it. Forcing myself to look, I could see, of course, that the horses weren't really being blinded (animal lovers please note). But the illusion is so real that the act becomes an actual crime, a horror, rather than the dramatic offstage cry for help that Shaffer intended. I left “Equus” in a curious mood: I could hardly wait until they make it back into a play.

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venerdì 19 marzo 2021

Salesman – fratelli Maysles, Charlotte Zwerin

un film sulle aspettative, strategie, gioie, delusioni, caratteri, relazioni di un gruppo di venditori porta a porta.

la cosa più inquietante, senza giudizi di valore, da parte dei registi, è che si bussa nelle case per vendere la bibbia, in contanti, in contrassegno o a rate.

gran film - Ismaele

ps: mi ha ricordato, molto mutatis mutandis, American honey , di Andrea Arnold.

 


QUI il film completo, in inglese

 

 

 

Il documentario segue le vicende di quattro venditori di Bibbie nella loro routine lavorativa, che si svolge tra Boston e Miami. Ognuno di essi è personaggio, con carattere, nome e tecniche di vendita differenti. C’è Charles McDevitt, “l’imbroglione” (“The Gipper”), spietato e senza emozioni, i cui modi sono “molto efficaci” perché “sa approfittare di ogni circostanza per ottenere vantaggi”; James Baker, “il coniglio” (“The Rabbit”), giovane, ma “molto impulsivo”, vende, fa buoni guadagni, ma è privo di tatto; Raymond Martos, “il toro” (“The Bull”), che si distingue per forza e determinazione. Infine, abbiamo Paul Brennan, “il tasso” (The Badger”), di fiera discendenza irlandese, costretto in un lavoro che disprezza, soltanto per mantenere una moglie lontana e un figlio malato. La sua è una situazione segnata dall’instabilità economica e dal sacrificio di trovarsi molto spesso lontano dalla propria famiglia. Non ha seguito lo stereotipo irlandese che lo avrebbe visto nel corpo di polizia o all’ufficio postale, benché la madre lo avesse sempre sollecitato a “unirsi all’arma e guadagnarsi una pensione (4)”. Egli è anche, tra i quattro, il meno di successo e il più pessimista.
Paul domina il film in qualità di protagonista. Il lungometraggio si apre e si chiude sulla sua espressione disillusa, assorta. Lo vediamo in entrambi i casi sconfitto e abbattuto dalla ripetitività del lavoro e dal ritmo fluttuante degli affari. Capita che altri, oltre al “tasso”, non riescano a concludere un ordine, ma altre vendite consentono di coprire i possibili fallimenti. Paul, invece, non conclude nemmeno un affare di successo: ottiene solo prenotazioni. E’ questo che lo differenzia dagli altri: la sua sentita inadeguatezza non gli permette il pelo sullo stomaco che hanno gli altri nella persuasione e nella vendita di Bibbie. I complessi di inferiorità di cui lui stesso ci racconta, hanno origine dal rapporto col fratello – laureato presso il Massachusetts Institute of Technology con un magna cum laude – che egli ha cercato di seguire nei passi, senza alcun successo.
L’evoluzione del personaggio, ad un livello diverso da quello a cui siamo abituati a pensare in una struttura narrativa, avviene in senso negativo. Benché Paul rimanga, a livello comportamentale, sempre lo stesso, i suoi atteggiamenti assumono una nota più pessimistica verso la fine della vicenda, quando al venditore sono già state sbattute molte porte in faccia. La pressione che si sente addosso, oltre al bisogno di guadagnare uno stipendio, è personificata in Ken Turner, manager della compagnia, che lo accompagna nel viaggio a Miami. Egli assume significato soltanto durante un assemblea in New England, in cui tiene un discorso duro e motivazionale contro chi perde tempo e soprattutto contro chi non ha la giusta attitudine. Come il Dr. Peale di 
Grey Gardens (5), egli afferma che non c’è giustificazione al fallimento di un uomo: la responsabilità è tutta sua. Così, le disavventure in Florida di Paul, a cui si ferma l’automobile per ben due volte e che viene silurato su due piedi da casalinghe che nemmeno lo fanno accomodare, diventano “tutte scuse”, i frutti marci del un pensiero negativo. Come se non bastasse, la coesione di gruppo viene a mancare, poiché da norma, l’amicizia che sembra unirli è soltanto cordialità all’interno di una coatta situazione di convivenza. L’approccio al cliente, da parte di Paul, si fa sempre più aggressivo e spiacevole. Il suo obiettivo è essere determinato come “il toro” e furbo come “l’imbroglione”, ma la notevole frustrazione lo porta ad atteggiamenti sempre più insistenti, ad esprimere la mancata svendita con scocciatura e scortesia.
I Maysles videro molto in lui. “Come mio padre, è un uomo con una vera anima, ma non ha mai trovato il modo di metterla dentro al suo lavoro.” afferma Albert, mentre David è convinto che sia proprio questa profondità ciò che rende Paul così di poco successo: per sopravvivere, nel vendere beni superflui come una Bibbia illustrata, a famiglie cattoliche di basso reddito, non ci si può comportare con calore e umanità, bensì è necessario avere una certa dose di pelo sullo stomaco, per agire e approfittarne…

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…El filme nos muestra como es posible aplicar fríamente las técnicas mas refinadas del marketing para vender algo tan sagrado como La Biblia. Sin embargo, los vendedores no son los malos de la película. Su jornadas de trabajo agotadoras, el desaliento, los escasos ingresos, la presión de los jefes y muchos otros problemas, dan cuenta de un grupo de trabajadores, que no la pasan nada bien, por más sagrado que sea el producto que vendan.

El otro lado de toda venta, es el comprador. El filme, se toma el tiempo necesario para retratar las respuestas de los hombres y mujeres que los vendedores entrevistan. Esas respuestas no son solo de palabra. Sus gestos elocuentes, nos dan testimonio de la incomodidad que significa decir que «no» a la compra de un producto tan significativo. ¿Dejamos de ser buenos católicos porque no dedicamos algún dinero a comprar el libro supremo? Toda la estrategia de los vendedores, llevan a los clientes a plantearse esta pregunta, u otras parecidas, con cierta culpa, de manera consciente o no.

El filme pone en evidencia que la fórmula del capital que tan bien sintetizara Karl Marx en su obra cumbre El Capital, se ve aquí dificultada en su funcionamiento. Me refiero al esquema D – M – D’. Marx nos recuerda en varias partes de El Capital, que los valores de uso determinados de la mercancía (en nuestro caso La Biblia), no tienen mayor importancia para la obtención de la plusvalía. Esto que es válido como afirmación general, se relativiza cuando ciertos bienes y servicios concretos entran al mercado. Aquí la naturaleza misma del bien transado, tensiona todo el tiempo la relación entre las personas. Y es un mérito supremo del filme haber retratado este malestar que impregna toda la comunicación entre compradores y vendedores.

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mercoledì 17 marzo 2021

Anime sporche (Walk on the Wild Side) - Edward Dmytryk

tratto dal romanzo di Nelson Algren, sceneggiatura di John Fante, attori bravissimi, un gatto (o gatta) nero dei titoli iniziali e finali (il titolo spagnolo è infatti La gata negra).

siamo negli anni delle grande Depressione, in una New Orleans che ormai non esiste più, per una storia di amore, redenzione e morte.

un film che merita molto, per i miei gusti - Ismaele

ps: Lou Reed c'entra qualcosa col titolo, non vi pare?


QUI il film completo, in inglese



 

Film più che sufficiente, in virtù del suo ritmo, della pregevole sceneggiatura e per il piacere di vedere alcuni interpreti davvero convincenti. Certo, la Capucine prostituta è difficilmente credibile, ma il suo personaggio è accattivante. Jane Fonda stupisce per le sue forme e per come si è calata nel personaggio. Barbara Stanwyck impartisce a tutti una meravigliosa lezione di recitazione. I dialoghi sono classici nel miglior senso del termine, il bianco e nero è prezioso.

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Sceneggiato da John Fante, è ambientato negli anni della Grande Depressione, il protagonista è Eddie, ragazzo della misera campagna texana che compie un "viaggio della speranza" verso la ricca, ma insidiosa New Orleans... Ma non è un film d'avventura, è un melodramma abbastanza legnoso e monocorde, imperniato sul tentativo di Eddie di redimere l'ex fidanzata, Helen, finita a prostituirsi in un bordello di lusso. Moralistica e poco interessante la polarizzazione "corruzione urbana-innocenza rurale", ma scintilla la Stanwyck, ambigua "Madame".

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Reed fu contattato da un impresario teatrale per la traduzione in musical di un libro scritto nel 1956 da Nelson Algren, Walk on the wild side. Al progetto avrebbe dovuto partecipare anche Andy Warhol che, nel rinnovare la collaborazione con l’amico di un tempo avrebbe così avuto la possibilità di dare un seguito alla positiva esperienza di “Pork”. L’operazione fu presto abbandonata ma Reed, con il suo consueto pragmatismo, condensò l’intero progetto in un’unica canzone, sostituendo alla galleria di personaggi del romanzo le familiari figure warholiane. A parte questa esile corrispondenza, le somiglianze con il libro di Algren sono vaghe, appena percettibili…

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lunedì 15 marzo 2021

Edge of the City (Nel fango della periferia) - Martin Ritt

John Cassavetes e Sidney Poitier sono straordinari, e il regista pure.

una storia di operai, di disertori, di violenza, di amicizia, di omertà, e anche d'amore.

non perdetevi questo gioiellino - Ismaele


 

QUI il film completo, in inglese 

 

 

 

John Cassavetes et Sidney Poitier sont parfaits dans leur rôle, à la fois dynamiques et toujours très spontanés pour s’approprier des séquences avec une vraie liberté dans leur interprétation. Les méthodes de l’Actors Studio sont ainsi merveilleusement mis en œuvre et confèrent aux interprétations une véritable fraîcheur qui n’a pas vieillie. Cassavetes se cherche encore, son interprétation flirtant avec celle de James Dean en jeune névrosé qui cherche à vaincre sa peur pour trouver sa place dans la société. Le monde du travail comme l’espace intime des temps en dehors du travail sont représentés avec un véritable équilibre entre les deux, chose suffisamment rare à l’époque pour ne pas être relevé : la classe laborieuse commence ainsi à être véritablement représentée et notamment dans l’exercice de ses fonctions dans une approche semi-documentaire. Le film s’accélère un peu trop vite pour un dénouement certes convenable et résolument indépendant par rapport à la ligne des studios d’Hollywood, la fin de la chasse aux sorcières de McCarthy libérant enfin des sujets sociaux qui n’avaient plus cours au cinéma. Et même si ce n’est pas le sujet central, peut-être encore par frilosité, le racisme ordinaire est évoqué à un moment et sert notamment au récit dramatique. Pour tous ces partis prix, ce film conserve une aura très intéressante soixante ans plus tard et se laisse voir avec un vrai plaisir.

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Un gran melodramma come solo sapeva fare hollywood negli anni cinquanta con registi di impegno sociale come Martin Ritt e con grandissimi attori come Cassavetes e Poitier , amici in uno sfondo lavorativo fatto di fatica, caporalato e ingiustizie umane razziali. IMPERDIBILE.

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"E' un lavoro tecnicamente pregevole; ben delineati i caratteri, accuratamente analizzata la psicologia dei personaggi. Apprezzabili la regia e l'interpretazione, buona la fotografia. Alcune scene e la chiusa possono sembrare eccessivamente forti, ma non mancano di efficacia." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 42, 1957)

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Un film che va visto in versione originale, oltre tutto si segue bene.. si sentono le vere voci di Poitier (anche un po' enfatica) e quella fievole e leggermente aspra di Cassavetes. La trama è forse uguale a molte altre sul fatto del razzismo, e Fronte del Porto ha fatto scuola, ma la si segue bene, e questo esordio di Ritt è ben fatto per il suo risvolto non comune di coscienza da parte del protagonista. In effetti il buonismo del nero, un po' scontato, lo si segue in maniera ovvia, mentre il personaggio di Cassavetes è molto più sfaccettato e problematico, e quindi interessante. E' un prodotto tipico dell'epoca, e lo si riconosce anche dalla sottolineatura esasperata della musica che alle volte infastidisce e data il film.

Comunque nell'insieme è un film più che interessante ed avvincente

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…This movie was Martin Ritt's directorial debut and he also wasn't given too much movie to spend on his movie. The studios were probably also a bit reluctant mainly because of its concept and/or because it was Ritt's first movie. Or perhaps it was simply due to the fact that MGM just wasn't that big anymore and it had left its best days behind them. Ever since the '50's on Metro-Goldwyn-Mayer sort of had the reputation of making not too great and cheap movies, while in the early years before that it was really one of the biggest studios with lots of stars and acclaimed directors attached to it, who made many award winning classic movies. Luckily for them their reputation is starting to change again and whenever the MGM-logo appears at a movie people are no longer expecting a lesser-movie anymore.
Anyway, even with its restrained budget and limited resources they managed to make a great movie out of this one. The movie is very simple, with only a few characters and a simplistic plot in it. The movie however still manages to capture you with its story and subjects, without ever starting to become preachy or anything about it. It makes the movie an effective one as well with its subjects.
Really a movie that deserves to be seen.

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…The cultural impact that Sidney Poitier had on cinema and society at large is indisputable. A dignified actor with a deep sense of social consciousness, he broke through racial barriers by choosing to play roles that shed the spotlight on intelligent black men--not perfect men, but men who lead their lives just like anyone else, with all the flaws that implies. Regardless of the role, Poitier refused to let any performance descend into racial clichés, and the example he created helped reshape the public perception of African Americans. It sounds frightfully simplistic, but such is the power of the moving image to shape the public perception.

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sabato 13 marzo 2021

God told me to – Larry Cohen

un film strano, denso, pieno di misteri, che mischia alieni, religione e indagini di polizia, su degli assassini che dicono solo Dio me l'ha ordinato (che è il titolo del film).

e sarebbe banale che ci fossero i buoni da una parte e gli esaltati dall'altra, le cose sono molto più complicate (per fortuna).

attori sconosciuti e bravi, merito di Larry Cohen, probabilmente.

buona visione, allora - Ismaele

 

 

 

 

Estamos ante una de las mejores películas de terror de Larry Cohen y una de las más interesantes del género, con una película intrincada y extravagante. Un detective de policía llamado Peter J. Nicholas (Tony Lo Bianco) investiga unos casos de tiroteos y masacres en New York por asesinos que dicen que Dios les ordenó matar, como gente imbuida en una epifanía religiosa, cuando no eran antes personas proclives a la violencia. Todo esto suena interesante de arranque pero la cosa irá creciendo, poniéndose más alucinante…

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… Los actores, sobre todo el protagonista, juegan un papel muy importante, porque se mezclan perfectamente con el entorno, se diluyen en la historia como pegotes en una pintura. Gracias a ello, Cohen retrata también el clima social de la ciudad de forma sutil pero muy convincente, con carga crítica, convirtiendo la película en un testimonio de una época, una de esas que se sabe que no se podrán repetir. Aparte de ese pulso moderno, hay mucha cinefilia, no sólo en lo de Hitchcock, sino por ejemplo en un par de flashbacks que reinventan la ci-fi de los años 50 con el "todo vale" de los 70. Y también habla de la religión; aunque la usa para indicar algunas cosas sobre el vacío de valores del mundo moderno, sobre todo usa su mitología como herramienta en beneficio de la película, y la retuerce de tal manera que consigue una atmósfera apocalíptica de "llegada del anticristo" nunca vista, ¡partiendo además de Dios y no de Satán! Aunque suene rancio: ya no se hacen películas así. Hay que verlo para creerlo, y la última imagen es de las que revientan a uno por dentro. El cine de género actual tiene algunos méritos, pero no la libertad de aquel entonces.

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Messy but thoughtful film that tries to mix religion, faith, alien abduction and a Scanners-like plot-line where beings with superpowers are controlling others and making them kill. The killers are convinced God made them do it and a religious police investigator tries to put the strange pieces together. Unfocused and flawed in many ways, but somewhat interesting.

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The film is loaded with all kinds of subversive notions that have been buried by poor editing and mediocre camerawork and an overblown FX rendition of special effects, nevertheless the film’s unique qualities shines through its all too violent finale and its demonic possession theme reaches out for loftier heights. I found it to be a gem that could have been a masterpiece if it weren’t ruined by its muddled efforts.

Lo Bianco is compelling as the existential hero questioning himself, his values and his religion, and he does it for the first time in a way that strips him bare and makes him vulnerable and finally insane. It’s easy to identify him as one of those who takes religion as a matter of blind faith and doesn’t question what he believes in the same way he might question everyday events in his life.

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venerdì 12 marzo 2021

Z for Zachariah (Sopravissuti) - Craig Zobel

il mondo è un posto inospitale, tranne che in una valla baciata da un microclima fortunato.

ci sono solo tra attori e un cane, e per forza di cose devono coesistere, anche se non è sempre facile.

ritmo lento, ma d'altronde non c'è fretta, fuori dalla valle c'è il pericolo, all'interno si sta davvero bene, una specie di paradiso.

forse in un film di sopravissuti qualche tensione in più ci potrebbe stare, ma va bene così, grazie a dei bravi attori che non fanno annoiare.

buona visione (ma il primo film di Zobel ancora resta insuperato) - Ismaele




 

Per questa pellicola un po’ dappertutto, a partire dalla locandina, si parla di thriller. A meno che la parola non abbia cambiato significato negli ultimi tre anni, Z for Zacariah è la cosa più lontana dal thriller a cui riesca a pensare. Z for Zacariah è un dramma, con chiari richiami biblici e, sì, anche un po’ sentimentale.

Nonostante la magnifica ambientazione, è fondamentalmente una pellicola di primi e primissimi piani, di dialoghi ben scritti e di delicati equilibri nei rapporti tra i protagonisti…

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…Religione, razza e sentimenti antichi come il mondo si intrecciano, talvolta Z for Zachariah dà l’impressione di inciampare sugli innumerevoli fili sparsi da se stesso, ma Zobel riesce a gestirli, a dare importanza ora a uno ora all’altro. Lo sfondo colorato dai mille delicati fronzoli narrativi è uno splendido affresco su cui poggia la principale tematica religiosa, rappresentata a mo’ di Otello scespiriano, col Moro e il mostro Calibano a giocare a tempi alterni nel ruolo di Iago.

Può apparire come un film spento, scarno e mai sensazioni furono più sbagliate. Il tempo di riflettere sugli eventi di Z for Zachariah più ci si rende conto di quanto la sceneggiatura di Nissar Modi, sul libro di Robert C. O’Brien, sia andata a scavare in profondità senza rinunciare a nulla. L’ultimo Zobel, produttore inspiegabilmente legato al sopravvalutato David Gordon Green, è un post-apocalittico degno d’esser menzionato in future discussioni sul genere tanto quanto The Road.

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Il Cinema di Tarkvoskij è ben più che un'ispirazione per Craig Zobel: peccato che il regista americano abbia ancora molta strada da fare per anche solo avvicinarsi al grande maestro russo. Z for Zachariah non è un pessimo film e alcuni passaggi posseggono la giusta dose di lirismo, ma le convincenti e credibili prove del trio di protagonisti non sono sempre supportate da una sceneggiatura (tratta dall'omonimo romanzo) precisa. E così l'impeto drammatico esplode solo a tratti in questo ritratto dell'animo umano ai tempi di una moderna Apocalisse.

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Il cast è un trio, forse rappresentante degli ultimi rimasugli dell’umanità,mettendo su ognuno dei tre attori il peso dell’intera pellicola,a dividersi il compito troviamo Margot Robbie ( Focus) ,Chiwetel Ejiofor (12 anni schiavo) e Chris Pine (Star Trek),il risultato è ottimo,sguardi e movimenti che aggiungono profondità e parole alla situazione,se Z for Zachariah è un buon film è soprattutto merito loro,altrimenti il rischio di trovarsi a vedere una storia romantica con sfondo sci-fi era dietro l’angolo.
Se vi piacciono i film particolarmente lenti e non pensate che l’azione sia l’unica via per ottenere la tensione in una pellicola, questo film vi sorprenderà.

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