Michaël R. Roskam va in trasferta negli Usa, capita a molti, e fa un piccolo film, quasi intimista, una piccola storia di (forse) amore e di (è sicuro) violenza.
bravi gli attori a rendere interessante la storia, quella del colpaccio ai mafiosi (non più italo-americani).
non sarà un capolavoro, ma Tom Hardy, timido e violento, vale da solo il prezzo del biglietto (se esistessero le sale cinematografiche).
buona visione - Ismaele
Tratto da un racconto breve di Dennis Lehane
che l’autore di Boston ha poi espanso in un romanzo appena pubblicato in Italia
da Piemme con lo stesso titolo del film, Chi è senza colpa è
un thriller freddo e dal ritmo compassato, ma con
una storia intrigante e ricco di personaggi giustamente enigmatici. Per la
prima volta è stato lo stesso Lehane ad adattare per il grande schermo il suo
lavoro, e non si può dire che abbia mancato il bersaglio: dialoghi mai banali e
secchi quando serve, tensione strisciante che esplode a sorpresa e
un’ambientazione convincente tra i bassifondi di New York…
…Chi è senza colpa è un film che si muove piano, un
sommovimento costante e sempre più inquietante, una goccia dopo l’altra, fino a
concentrare la sua energia in un finale di grande intensità. Il delizioso Rocco,
curioso nome del cane, sembra messo lì come sorta di McGuffin o cupido per far
conoscere Bob e Nadia, ma
diventerà il motore delle esplosioni emotive dei personaggi coinvolti. Lì
spingerà a prendere in mano il loro destino, senza indugi e troppi sensi di
colpa…
…Tom
Hardy, lui, il Grande, l’Attore, gioca a fare il piccolo Edward Norton e da
contratto interpreta per sottrazione, ma dovrebbe smetterla una volta per
sempre, basta con la dicotomia tra Bronson e Locke, possiede tutte le
corde di questo mondo e occorre fare in modo che sia libero di suonarle. Noomi
Rapace è indegnamente svilita, il ruolo dell’emaciata pupa del pazzoide le sta
addosso come un sacchetto di cellophane sul viso, parimenti soffocante.
Gandolfini fa quel che sa, sembra Palminteri in una cartolina da
Little Italy, poi gli altri comprimari hanno due dimensioni e non riescono a
occupare un fotogramma che sia uno. Il racconto di Lehane vorrebbe essere
edificante alla maniera di Lehane, ma muore di luoghi comuni e di frasi fatte,
l’immanenza e la necessità del male naufragano nella palude del non
significante…
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