il film ci mostra le difficoltà e i turbamenti di un vecchio t(r)ombeur des femmes, ormai al tramonto. musica (bellissima, come sempre) di Jiří Stivín. le opere minori di Vera Chytilová sono comunque da vedere - Ismaele
I'm not sure what this movie is about, or if it is any good. It
covers a period of time in the life of an older man, who works in an office in
Prague and has an interest in young ladies. He has a flamboyant personalty, as
revealed through his various exclamations and comments to himself, though it's
unclear if he is a fool or a gentleman. Seems the intention of the movie is
some sort of existential absurdism, and it's rather fragmentary with bizarre
camera-work at times. Though by all rights it should be an obnoxious
experience, the film seems to have a sincere playfulness about it instead of
being pretentious or cynical. Sucharípa's sympathetic performance enhances the
obscure plot, though whether the movie is enjoyable probably depends on the
viewer's mood.
A
bachelor named Faun with a Don Juan complex, seized with a hypochondriac’s fear
of the ineluctable approach of death, enters a race against time’s passage.
Faun’s sexual love is imbued with the narcissistic vanity of a self-satisfied
bacchant who even towards old age can’t manage to forgo his lifelong pose as an
irresistable seducer of women. He desperately searches for meaning in
superficial, fleeting sex.
… Unlike films that indulge in ego-boosting scenarios
involving one man’s desire for a garland of easily seduced women, The Late Afternoon is not made by men. The dreamy
blur of Karel Faun’s sexual experiences is not that of a Casanova (much as he
would like to think so) but a mocking étude made by two sarcastic women,
ridiculing the alleged hegemony of male desire and the passivity of the female.
As Faun stumbles over in the fading autumnal park in a drunken haze of confused
attachments, he wonders: what does this park remind him of? The undeniable
rotting and decay under his feet should surely hint at finitude, an autumn of
one’s years. Not so for Karel. It’s the youthful walks with autumn leaves he
remembers in his ever-deluded misreading of life’s hints. The libidinal
marathon he pursues is so out of synch with reality that Karel’s phallic
faunism, while ultimately eerie, is also a caricature. Faun is way too
late for hunting, and though the women might appear interested and friends may
envy him, the times have changed, not just for Karel Faun but for gender
politics in general – and Chytilová and Krumbachová let every woman in the film
prove it.
il film inizia con un funerale, e poi succede di tutto, quello che vedono i personaggi neanche loro sanno se è vero, e noi neppure. una famiglia normale, madre, padre, e i due figli, è appena morta la nonna. tutti hanno un destino, molti non lo sanno, questa è l'ereditarietà del titolo, solo pochi sanno, o lo sapranno, che dovranno fare delle cose. il ritmo del film, delle domande, e delle risposte, quando possibili, crescono di minuto in minuto, e quello che sembrava impossibile è vero. tutti bravissimi, Toni Collette di più. il cinema avrà anche l'aria climatizzata compresa nel prezzo del biglietto, non perdetevelo, è più bello di quello che vi immaginate (tra l'altro è un'opera prima) - Ismaele
…El legado del diablo es una joya del cine artesanal que conjuga el terror
con el drama; maneja elementos propios del cine más clásico para introducirnos
dentro de una historia que no es lo que parece. Aquellos que acepten el desafío
pueden descubrir la posibilidad de un nuevo clásico instantáneo del género.
No soy muy fan del cine de terror, pero de vez en
cuando me encuentro con una película que me convence y salgo muy contento de su
proyección, y eso no quiere decir que me provoque terror o miedo, ya que no me
asusto viendo una película desde hace muchos años. Una de esas películas que
considero notables dentro del género es la ópera prima de Ari Aster, con guion
escrito por el cineasta neoyorkino, que te mantiene en tensión hasta el final y
no s hace pesada pese a durar más de 2 horas…
…La película sabe mantener un enigma hasta el final
gracias a su decente guion, pero sobre todo la propuesta destaca a nivel
artístico y técnico. El montaje
Lucian Johnston y Jennifer Lame dota de agilidad al proyecto y sabe jugar
bien con las escenas del presente y algunas elipsis. La fotografía de Pawel Pogorzelski es
magnífica, tanto en las escenas de exteriores, en las que suceden por la noche.
El sonido está presente en varias escenas para provocar el susto, pero en
menor medida que en las cintas más convencionales del género que llenan las
multisalas de todo el mundo.
No me quería olvidar de esas escenas con las casas en miniatura que cuida
minuciosamente la protagonista, y que tienen relación con algunos elementos
centrales de la trama.
La película puede gustar a los aficionados al cine de terror, pero aviso
que no es la típica película de género, y que puede ser más asequible al
público medio que disfruta con un terror diferente.
…La tensione s’incrementa graduale lungo lo svolgimento di
Hereditary. E’ un climax, il cui principio è lento, di tono fortemente
drammatico e in cui sono solo forniti alcuni vaghi elementi, lasciando lo
spettatore stranito e confuso davanti a un Kammerspiel
post-contemporaneo con una nota in nero. Poi, in una caduta libera che
aumenta la propria velocità di minuto in minuto, fatti sempre più foschi e
inquietanti travolgono chi guarda, in un’inevitabile deriva verso
la tenebra che sfocia in un finale tanto imprevisto quanto agghiacciante.
Il senso d’angoscia e di terrore sono poi acuiti dall’abile performance di due
interpreti femminili fondamentali e complementari. Da una parte, la giovane
Milly Shapiro dà forma a un personaggio silenzioso, ambiguo e caratterizzato da
sguardi e gesti evocativi, in un sapiente minimalismo espressivo. Dall’altra
Toni Collette porta sullo schermo una psicologia controversa, una donna
eccentrica ed emotiva, con scatti di collera e dilanianti sensi di colpa,
rendendola con felice e marcato manierismo. Gli altri due ruoli principali sono
altrettanto ben interpretati e funzionali alle due suddette: Gabriel Byrne è
controparte posata e sarcastica della moglie isterica, Alex Wolff il figlio
vessato e perfetto capro espiatorio sotto molteplici punti di vista. A
completare il tutto vi sono geniali escamotage nella regia e nel montaggio, nei
movimenti di macchina, con stacchi repentini tra due sequenze in cui il
medesimo soggetto, Peter, è seduto sul letto immerso nel buio e subito dopo è
in classe, di giorno, nella stessa posizione, oppure nell’overture in
cui la replica della stanza in miniatura si anima per divenire quella reale.
Eccezionale debutto che tradisce una notevole cultura
cinematografica e letteraria, accompagnata da un’inventiva non indifferente,
Hereditary è un horror che non si ferma al banale spavento, come molti prodotti
che approdano nei nostri cinema da troppo tempo ormai, ma scava a fondo nelle
radici stesse del male suggestionando lo spettatore sottopelle.
…Rara avis en el género de terror
Hereditary es una de las mejores películas de género visto en mucho tiempo.
Películas de horror nos llegan muy a menudo pero pocas tan estimulantes como la
que ha creado el novel Ari Aster con un guion milimétrico en la que
las piezas van encajando cual puzle donde al principio uno no tiene claro
que se pueda resolver pero según avanza la trama todo queda perfectamente
ensamblado. Si a ese guion le acompañas un montaje modélico pocas cosas pueden
fallar en una película cuya trama tiene muchas lecturas y es propicia a crear
debate una vez salidos de la sala.
Casas
malditas, rituales y demás trivialidades en el mundo del terror son aquí tratados,
por muy raro que parezca, con una originalidad que sorprende gracias a la
manera de narrarlo y la estupenda ambientación creada hace temblar al
espectador acompañada de unas escenas perfectamente rodadas. Terror
en estado puro que atemoriza e intriga por igual a un espectador que va
descubriendo con cuentagotas el desenlace de una historia que bebe de grandes
clásicos del horror.
Hereditary
no llega a ser perfecta, tampoco hace falta, debido a su parte final que acaba
por ser algo convencional pero que no molesta gracias a lo "mal" que
nos ha hecho pasar el director durante toda la película. Una película para
disfrutar y que se tendrá en la memoria durante mucho tiempo, si deseas ver una
película de género fuera de lo habitual esta es tu película , si por la contra
solo quieres ver otra película más de terror olvídate, aquí nada se parece a
esos films anodinos donde conoces hasta el orden de muertes de los
protagonistas. Hereditary nos lleva al horror familiar en una película
inquietante como pocas veces palpamos.
…Ari Aster architetta una messa in scena elegante, che
non ha timore di apparire snervante e gioca in maniera diretta con il
riferimento cinefilo più evidente, l’inarrivabile Rosemary’s
Baby di Roman Polanski,
che proprio nel 2018 ha compiuto cinquant’anni. Lo fa muovendosi su un duplice
registro: da un lato il dramma borghese e l’elaborazione del lutto – che in
film dell’orrore diventa inevitabilmente l’elaborazione di più lutti, in un
processo quasi impossibile da interrompere – e dall’altro l’horror demoniaco,
con tanto di pentacoli, insospettabili seguaci e paranoie visionarie. Da questo
punto di vista l’ultima parte di Hereditary, che
sceglie in modo netto su quale lato della barricata (tra delirio schizoide e
verità occulta) prendere posizione, potrebbe creare qualche malumore
soprattutto in quella parte di pubblico meno avvezza al genere: si tratta in
realtà della dimostrazione di un potere incubale non comune, e non semplice da
rintracciare in un panorama contemporaneo – lui sì – affascinato da un nuovo
puritanesimo, dove nulla deve essere mostrato, e nulla deve arrivare a
perturbare lo spettatore. Ari Aster ha il coraggio di farsi beffe di questa
discutibile prassi odierna e firma un’opera altera, non sempre equilibrata
nella gestione dei tempi ma carica di fascino e in grado di angosciare lo
spettatore, costringerlo a uno sguardo disallineato, mai prono, che riporta il
concetto di “demone” alla sua etimologia greca: essere divino, estraneo alle miniature immobili e
perfette solo all’apparenza che sono gli esseri umani.
…Il regista gioca con le nostre percezioni,
spingendoci a mettere in dubbio le stesse immagini che i nostri occhi vedono –
o credono di avere visto. Cosa c’è nell’angolo della stanza? Un cappotto
piegato su una sedia, oppure qualcosa di peggio, che non osiamo nemmeno
immaginare? Tutto questo prolunga la sensazione di terrore, la enfatizza.
Perché “Hereditary – Le radici del male” non è
soltanto un horror, ma un film sul trauma, su quel
fardello che molto spesso la famiglia ci lascia sulle spalle. E che, come agli
sfortunati protagonisti, ci tocca portare anche senza avere nessuna colpa.
opera prima di Joachim Trier, protagonista è Anders Danielsen Lie, come in Oslo, 31 August. ancora una volta la sua parte è complicata, è Philip, uno che lotta, ma non ce la fa, se non in parte, con costi altissimi. diranno subito i miei lettori che, insieme al suo amico Erik, partecipano alle selezioni del Grande Fratello, come Luciano in Reality, oppure a Masterchef. No, ragazzi, avete sbagliato. Erik e Philip hanno scritto un libro ciascuno, e lo mandano alla casa editrice. e da li iniziano le loro vicissitudini, senza smettere di essere amici. opera prima da ricordare, Joachim Trier è davvero bravo. buona visione - Ismaele
If there was ever a movie that seems written and directed by its
characters, that movie is Joachim Trier's Reprise. Here is an
ambitious and romantic portrait of two young would-be writers that seems made
by ambitious and romantic would-be filmmakers. In the movie, the young heroes
idolize Norway's greatest living writer, who tells one of them his novel is
good and shows promise, except for the ending, where he shouldn't have been so
poetic. The movie itself is good and shows promise, except for the ending, when
Trier shouldn't have been so poetic. Not only does "Reprise" generate
itself, it contains its own review.
The 23-year-old heroes are Erik and Phillip. They seem to be awfully
nice boys who have some growing up to do. It opens with the two of them
simultaneously dropping the manuscripts of their first novels into a post box.
Then an anonymous narrator takes over and describes some possible futures of
the characters and their novels…
…per realizzare - e per vendere e infine vedere - un film come Reprise sia
necessario avere grande libertà espressiva, grande apertura mentale, conoscenza
diretta e genuina del mondo giovanile e non da ultimo una grande fiducia nel
pubblico che può andare a vedere il film. Reprise racconta la
storia di due giovani amici che hanno l'ambizione di diventare scrittori, e in
modi e tempi diversi entrambi riusciranno ad avere il loro successo. Scrittori
seri però, mica come quelli che parlano di lucchetti attorno ai lampioni dei
ponti. Ora, pensare di proporre al pubblico giovanile italiano come modelli due
ventitreenni che dedicano i loro maggiori sforzi alla scrittura di un romanzo,
è pura follia; proporre al pubblico ultra50enne italiano un film frammentato,
ipercinetico, calato interamente nella vita dei ventenni di Oslo (che però
potrebbero essere di tante altre città, forse non italiane), è un'altra bella
sfida. In Norvegia evidentemente le condizioni per fare film così ci sono,
beati loro…
…En su caja de herramientas encontramos una estética que
podríamos definir como nórdica-pop, con un gran juego de texturas y discursos
(desde el tratamiento de la luz con un tono videoclipero pasando por una
textura cercana al video casero hasta llegar al blanco y negro de muchos flashbacks o
del prefacio que comentábamos anteriormente) y con una cuidada selección
musical con múltiples referencias al rock y al indie noruego de los años 80 y
90.Los rasgos literarios, unidos con la
estética apuntada anteriormente, confieren un toque poético a la cinta que
entronca perfectamente con su historia. Y es que el cine pocas veces ha aunado
la creación literaria y la frustración juvenil, y el director noruego se acerca
a este choque de trenes con un tono crítico, con algunas puntadas de alegría y
positivismo, pero sobre todo con tono desencantado. Trier no deja pasar ni uno
solo de los temas capitales del paso a la madurez: el amor, la amistad, la
competencia y, sobre todo, la locura y la frustración de quien se siente
perdido. En definitiva, Reprise supone el debut fresco e
interesante de un director que parece tener las cosas muy claras desde el
principio, sabiendo qué quiere decir y cómo decirlo. Esa relación entre forma y
fondo, entre historia, trama, estructura y textura se atisba como un todo capaz
de crear una puesta en escena sólida y nos proporciona una mirada diferente y
moderna de la juventud creadora actual.
… Finale di amaro sarcasmo sulla fatua
ribalta letteraria di un mediocre di successo che trova nella televisione
(pericoloso mezzo di mistificazione della realtà) la sua cassa di risonanza e
drammatico count-down dell'anima narrante
verso il punto zero di un nuovo incipit. Ribalta
assicurata presso vari festival del cinema Indipendente di mezzo mondo e
rappresentate norvegese alla 79a edizione degli Academy
Awards come miglior film in lingua straniera.
…Reprise è un film con dentro una storia d’amore, una
d’amicizia, e una riflessione sulla scrittura che si applica direttamente alla
struttura e alla sceneggiatura del film. Piccole critiche e osservazioni, come
l’opportunità di non cercare d’essere poetico o di
non incorrere nell’errore di prediligere la forma dimenticando sostanza; rischi
che, peraltro, il film non sempre riesce
a sfuggire. Pur nella sua parziale vacuità, Reprise ha parecchie idee ben
scritte, bella fotografia, un uso interessante del sonoro e del montaggio, e un
buon cast d’attori (fin troppo, fin tutti) nordicamente avvenenti.
i protagonisti sono Paul (un grande, come sempre, Bruno Ganz), Rosa, l'amante lisboeta ed Elisa, la moglie svizzera. in realtà la protagonista assoluta è Lisbona, la città bianca del titolo. addirittura il film sembra una prova per Lisbon story di Wim Wenders, dieci anni prima, chi li vede entrambi sarà d'accordo. il film di Alain Tanner è un gioiellino anche per chi è stato a Lisbona, molte cose sono misteriose, sarà il vento dell'oceano che s'incontra col vento delle campagne. non cercate una trama, non è importante, ve la spiegherà, forse, Paul, voi guardatelo - Ismaele ps: guardando il film mi sono ricordato di Massimo, in quegli anni era stato in vacanza a Lisbona, Massimo, grande amico mio (e del cinema, della musica, e di molto altro), mi aveva raccontato di una sera, ad Alfama, di quando, dopo cena, tornando in albergo, era stato affrontato da un delinquente con coltello, voleva la macchina fotografica, e l'aveva avuta, meno male.
QUI il film completo, in
francese, senza sottotitoli
…Cargado únicamente con su cámara de
Super8, un viejo magnetófono y una armónica, Paul es un náufrago que deambula
por las laberínticas calles de Lisboa con la única aspiración de suprimir la
dimensión espaciotemporal mediante la absoluta inacción, emulando la actitud
del extraño anfibio glosado por el escritor argentino. “Me encuentro bien. Soy
libre. No hago nada, pero no estoy de vacaciones. De vacaciones se hacen cosas,
organizas tu tiempo libre. Yo no, No hago nada”, explica Paul a una
desconcertada Élise en una de sus primeras cartas. Y más adelante, en otra
misiva, concluye: “El tiempo se ha disuelto. Por las mañanas bebo. Pero ya no
hay mañana, tarde ni noche. También bebo por la tarde y por la noche. Duermo de
día, nada existe en realidad”…
…Tanner's 'white city' is, instead, Lisbon – known locally
as la ciudad branca due to the colour of many of its
buildings. The Portuguese capital is also referred to as 'the city of the seven
hills' or 'the mother of sailors,' and each of these nicknames finds
illustration in the film narrative. Our hero is Paul (Bruno Ganz), a
Swiss-German merchant mariner who, tired of his oceangoing existence, jumps
ship and spends his days either exploring the city's many nooks and crannies –
tramping up and down what looks like most of those seven hills in the process –
or cooling his heels in his airy hotel-room.
Paul often films himself with a miniature 8mm
movie-camera, and sends the resulting 'movies' back to his wife/girlfriend
Elisa (Julia Vonderlinn) in Switzerland – along with rambling, confessional,
ruminative letters. Paul holds nothing back, telling Elisa all about his torrid
affair with fiery barmaid/chambermaid Rosa (Teresa Madruga), and how he's able
to love two women at the same time. Perhaps unsurprisingly, neither Elisa nor
Rosa are particularly pleased about this situation, and Rosa soon flees
Portugal to work in France. Paul is initially distraught but, like a cork on
the tide, is able to remain buoyant as he's tossed hither and yon by life's
vicissitudes – even after receiving a knife in the chest from a small-time
crook previously responsible for stealing his wallet…
Here is a
very literate movie from director Alain Tanner about alienation, self
discovery, and time. Paul's escape from responsibility enables him to live
totally in the present. He drinks, brawls, dances and takes movies of the city
with his Super-8 camera.
The
seaman begins an affair with Rosa (Teresa Madruga), who works as a chambermaid
and bartender at the hotel where he's staying. But Rosa wants someone other
than a person on vacation from reality. Paul shares his innermost thoughts with
Elisa (Julia Vonderlinn), a girlfriend back home in Switzerland. Eventually,
Paul loses all sense of time and his passivity starts to frighten him.
Tanner,
director of La Salamandre and Jonah Who Will be 25 in
the Year 2000, draws a top-grade performance from Bruno Ganz; it is a
blend of melancholy, pensiveness, sensuality, and ennui. Only after Paul is
robbed and wounded by a thief and abandoned by Rosa does he awake from his
reverie.
Emerson's
thought could serve as an epilogue to this drama: "The efforts which we
make to escape from our destiny only serve to lead us back to it."
solo adesso che non c'è più scopro Michael Glawogger, con un film documentario straordinario. in Thailandia, in Bangladesh e in Messico il regista segue alcune prostitute, senza fare un film noioso. le protagoniste sono le ragazze, a volta minorenni, a volte condannate a quella schiavitù. in Thailandia è tutto pulito, sembra Amsterdam, e quel lavoro sembra un lavoro come un altro, potenza della modernità, dei microfoni, dei numeri delle ragazze. in Bangladesh è davvero terribile, come pure in Messico, povere donne, ultime delle ultime. impossibile restare indifferenti a tanta miseria umana. cercatelo, un film che non vi dimenticherete - Ismaele
Un trittico sulla prostituzione,
attraverso tre nazioni, tre lingue e tre religioni. Con Whores’ Glory Michael
Glawogger si conferma una delle voci più personali del cinema documentario
europeo contemporaneo, tesa a una glorificazione dei derelitti mai priva del
beneficio del dubbio. Una visione dalla quale non si può non uscire stuprati,
stravolti e oppressi.
…Une musique omniprésente et envoûtante,
une mise en scène claire, propre, colorée et stylée, Whores’ glory est impeccable
sur la forme. Mais au-delà de l’aspect esthétique, il s’agit là d’un
extraordinaire travail de fond. Les caméras de Glawogger ont réussi à avoir
accès à des lieux clos (notamment le bordel du Bangladesh) qu'on a rarement eu
la possibilité de voir dans un documentaire. Quatre longues années de labeur et
de rushs lui ont permis de construire ce fantastique document tour à tour
voyeur, touchant, aberrant, révoltant et étonnant.
Étonnant car on y découvre de multiples
pratiques et visions de la prostitution qui varient bien souvent en fonction
des endroits présentés, celle-ci étant abordée parfois sous des aspects
inattendus. C’est ce qui confère à cette construction en triptyque tout son
intérêt. Il arrivera sans doute au spectateur de réfléchir, après la séance,
aux différentes approches par rapport au sexe et aux codes d'une prostitution
ancrée dans la culture de chacun des pays visités…
…À mesure que les segments progressent,
Michael Glawogger nous entraîne de l’exploitation humaine la plus « acceptable
» à la plus sordide, à travers des témoignages de femmes conscientes de leurs
conditions décrivant des moments parfois difficiles mais très rarement
invivables. L’un des points communs entre les différents segments et
particulièrement ceux sur le Bangladesh et le Mexique, reste le rapport des
filles à la religion, celle-ci faisant partie intégrante de leur vie. Glawogger
nous fait partager leurs croyances, qu’elles soient bouddhistes, musulmanes ou
catholiques, dans cette fascinante œuvre à la gloire des prostituées…
…E’ molto bello, questo film-documentario di Michael
Glawogger che, con un percorso da Inferno dantesco, ci trascina, segmento dopo
segmento, nell’abisso della disperazione umana. Certamente raggiunge come un
pugno allo stomaco anche lo spettatore più smaliziato, raccontando, tra le
altre cose con un’unica scena di sesso esplicito, il mondo, la vita, i sogni e
le anime delle donne che, in tutto il mondo vivono in una condizione
profondamente inumana.
…the most stunning
documentary I have ever seen, it astounded me with its candour and unassuming
nature, it enticed me with its harrowing eye candy and dream-like music and it
appalled me with the simple fact that this is the reality and this and other, much
more heinous acts are being performed every day and every minute. Making sense
and adjusting to this life is the only glory these women can hope for. They
lead doomed lives, and desperately try to avoid making sense of the how and why
they are where they are. Glawogger lets us take these deep and
meaningful thoughts away, he does not exposition them nor even comment upon
them.
Whores' Glory is a truly incredible piece of work that must be seen to
be realized.
è un film davvero coraggioso, una biografia di un grande artista polacco, Zdzisław Beksiński, che per molti anni ha registrato proprio la sua famiglia. sono in tre, ci sono anche la moglie Zofia e il figlio Tomasz, sotto l'ombra ingombrante di Zdzisław. è pericoloso essere figlio di un grande padre, così come è pericoloso essere oggetto continuo della videocamera di Zdzisław in tempo reale.
Tomasz è un tipo in gamba, una bella testa, ma in una famiglia sbagliata, diverse volte tenta di uccidersi. il film è sincero e non riesci a scappare dopo che ti ha preso, ci vuole un po', poi non c'è scampo, anche tu diventi uno che guarda le immagini di uno che filma la vita della sua famiglia. e vedrai, improvvisa, la fine. un film che merita, promesso - Ismaele
…La strana vita dei Beksiński è
rappresentata dal giovane regista (32 anni) con sorprendente sicurezza,
miscelando benissimo i toni grotteschi, qualche raro momento di pietas e
l’impassibilità di uno sguardo da entomologo. Con anche incursioni nel surreale
e nell’umore nerissimo e atrabiliare polacco (penso a scrittori come Wiktiewicz
e Gombrowicz e a registi come il primo Polanski). Si parte in commedia, si
finisce in tragedia, ma è meglio non dire troppo, perché la parte finale è un
vortice di colpi di scena, e di colpi diretti al nostro stomaco. Diciamo che la
signora in nero con la falce si dà parecchio da fare. Film discontinuo, non
lineare, con troppe lentezze nella prima parte e troppe digressioni, ma quando
il giovane Matuszyński riprende in pieno il controllo, e quando le tessere
cominciano a combaciare, il film decolla. E quel padre frigido e insensibile
divorato dal suo narcisimo e dedito solo alle sue opere – filma tutto, anche i
momenti più atroci, anche il dolore della sua famiglia – ci induce a qualche
non banale riflessione sulla carica potenzialmente alienante e distruttiva
dell’arte.
…Mr. Matuszynski’s directorial methodology, whether
pleasantly elaborated or painfully raw, has a crucial impact on the way the
drama evolves. Packed with dauntless shots and enlightened by
the top-notch performances of Seweryn and Ogrodnik, “The Last Family”
also scintillates with major production values with prominence for the
appropriate period settings and costume design, an unbreakable storytelling
suitable to the challenging structure, and an arresting soundtrack spanning
several decades. This is an arty biopic not to be missed.
…Pour préparer son premier long métrage de fiction qui emprunte
finalement énormément au documentaire, Jan P. Matuszyński a plongé dans
l'incroyable masse d'archives laissée par le peintre. Sur un magnétophone à
cassettes dès 1957 — soit un an avant la naissance de son fils — puis à l'aide
d'une caméra VHS, Zdzisław Beksiński a immortalisé quasiment quotidiennement la
vie de sa famille. Une obsession pour l'image qui l'a même poussé dans un
réflexe macabre à filmer les dépouilles de ses proches qui venaient de décéder.
Certains de ces journaux intimes vidéo immortalisés par l'artiste sont
d'ailleurs visibles actuellement sur Internet. Basé sur ces sources visuelles
et sonores, le réalisateur a recréé cette incroyable saga familiale de 1977 à
2005, date de la mort dramatique du peintre. Il a également pu utiliser les
confidences faites par l'artiste à un journaliste qui ont fait l'objet d'un
livre au grand désespoir de sa femme, atterrée de voir à l'époque des éléments
privés ainsi exposés au monde entier.
Film familial, The Last Family est
également le témoin discret des changements de la société polonaise dans la
deuxième moitié du XXème siècle à travers le prisme des intérêts de la famille
Beksiński. Point de chute du mur de Berlin ni de conflits civils de la
Pologne, le cinéaste a écarté ces grands évènements considérant que le famille
n'était pas vraiment intéressée par la grande histoire en marche. Le temps qui
passe est marqué par des évènements plus discrets et l'évolution physique des
membres de la famille. La transformation la plus radicale étant celle de Tomasz
qui passe au fil des décennies d'une tignasse et barbe très fournies au crâne
chauve et rasé de près dans les années 2000. Zdzisław et Tomasz étant
passionnés de musique — plutôt musique classique pour le père et musique de son
époque pour le fils —, le temps qui passe irrémédiablement est également marqué
par la bande son du film : Yazoo, Ultravox, Nick Cave… Associée à la
disparition progressive de ses protagonistes, cette musique qui évolue au fil
des années qui passent confronte à cette mort omniprésente que le peintre avait
décidé de provoquer en archivant jour après jour sa vie. L'existence de ce film
est une preuve que cette volonté de tout archiver ainsi — aussi incongrue
qu'elle puisse paraître — n'a finalement pas été vaine. S'il existe encore
quelque part sous une forme ou une autre, Zdzisław Beksiński doit certainement
savourer l'ironie de son rôle de co-metteur en scène au sein de cette saga
exposant les frasques de sa propre famille.
Trip temporel à la saveur surréaliste, The Last Family explore l'intimité familiale de
Zdzisław Beksiński à travers un biopic dense et innovant qui brouille
habilement la frontière entre fiction et documentaire. Une œuvre étrange,
parfois dérangeante et absolument fascinante sur l'art, la famille, la mort et
le temps qui passe.
…Any potentially useful
object lesson in the difficulties of reenacting history short-circuits into an
increasingly sadistic litany of violent scenarios, with the filmmakers
lingering over character deaths to maximize the effect of their gruesomeness.
That includes a bizarre depiction of plane crash that unfolds in a single take
as Tomek scrambles to save his own life. Yet Matuszynski saves his most
egregious abuse for last when a character is brutally stabbed to death—also in
a single take. These stark displays of violence are nothing but cheap shock
tactics, as if the director wasn’t sure that his pessimistic viewpoint had been
fully felt throughout The Last Family’s
moribund plod from one blanket assertion of life’s unmerciful grip to the next.
Ostatnia
rodzina (The Last Family) nous capture immédiatement, car
c’est un film pourvu d’un rythme jazz : les membres de la famille Beksiński
jouent chacun leur solo dans un récit de famille qui dure plus de 30 ans,
tandis que la maison a certainement le rôle du refrain, un refrain presque
obsessif, une ligne de continuité qui pourtant se transforme dans le temps. Il
faudrait ajouter l’ascenseur, qui relie l’appartement des parents à celui du
fils, figure évidente et maladroite de la distance intergénérationnelle. La
technologie, la musique et la peinture constituent les trois piliers par
lesquels nous enregistrons l’évolution et les changements de l’histoire : la
petite histoire d’une famille à sa façon exceptionnelle, et la grande histoire
de la Pologne contemporaine.
En effet, une
grande vertu de ce film est sa capacité de nous parler de toute une société et
da sa récente transformation historique tout en racontant une histoire très
particulière, avec des personnages explicitement hors-norme. Un père artiste,
un fils psychologiquement troublé, une mère mère — et les deux grands-mères
presque muets, reliquats d’un passé à peine présent. Si le père incarne une
tolérance mêlée d’un profond égocentrisme, le fils alterne un habit de
dépendance et des explosions de rébellion : une alternance qui trouve son
pendant chez la mère, notamment dans sa disponibilité servile et son besoin de
contrôle à la fois…
…Oui, car
l’humour constitue certainement l’ingrédient essentiel qui soutient un film
parfois suffoquant, à l’image de l’institution sociale qui a toujours soutenu
la Pologne elle-même. Le film s’ouvre et se clôt par une interview tardive —
ultime — de l’artiste Zdzisław Beksiński, qui revendique la vérité de ce qu’il
appelle “métaréalité”. Et c’est justement ici, dans un réalisme qui sait
exprimer le vrai et l’invraisemblable en même temps, que se cache la force
secrète de Ostatnia rodzina.
John Turturro è bravo e certe volte di più. questa è una di quelle volte, in una storia misteriosa, in qualche modo riesce ad arrivare alla verità, c'è una storiaccia di poliziotti in una società segreta, Harry Caine è davvero un brav'uomo, fissato, e alla fine ci riesce, a sfiorare la verità. perché? un gran film da non perdere - Ismaele
…Turturro interpreta a Harry Caine, un vigilante de seguridad en un
centro comercial que ha perdido a su mujer en un asesinato sin resolver. Obsesionado
con el tema comenzará a buscar pistas en cualquier lugar, hasta encontrar una
fotografía de una mujer que podría estar relacionada con el caso.
Fear X bebe
directamente de las fuentes del David Lynch de Terciopelo azul y Carretera perdida,
pero extremando aun más si cabe el carácter abstracto de la trama. Refn está más interesado en la
investigación, mediante un brillante uso de las pantallas y fotografías
(digitales e impresas) para establecer un juego de puntos de vista donde
comprobamos que la verdad no es una, sino una suma de
estos modos de ver. Parando, rebobinando y repitiendo las imágenes que componen
el relato, Fear X compone
unas atmósferas que también recuerdan inevitablemente a otra película
interpretada por Turturro, Barton Fink…
…Tra le pieghe di questa storia si
annida il più puro seme dell'incubo sorretto da tre pilastri inamovibili: la
recitazione affilata come un rasoio di Turturro, le musiche che emergono
direttamente dall'inconscio di Bian Eno e la visionaria potenza del linguaggio
visivo di Refn. Poco conta cosa sia realmente accaduto o dove la strada
condurrà. Spengi le luci, spengi la ragione e sprofonda nel divano.
Immergiti in questa insanità.
di Jan Němec penso tutto il bene possibile, e anche di più. i suoi film sono stati vietati per sempre dagli occupanti del patto di varsavia, nell'agosto del 1968. il sempre poi è diventato il 1989. Jan Němec ha fatto pochi film, e grandissimi. questo, che sembra un film minore, è girato a Praga nel 1967, sono tre episodi che si riuniscono nella bellissima passeggiata finale. dentro ci sono, tra le altre cose, la musica, l'amore, Magritte, la bellezza e la libertà, almeno nei sogni. me lo sono guardato due volte in due giorni, come un bicchiere d'acqua fresca d'estate. cercatelo e godetene tutti - Ismaele
… The first segment deals with
temptation, and features a timid young desk clerk (Petr Kopriva) who dresses
like Magritte's Son of Man. It follows a day in his life which eventually leads him
to an upscale nightclub where he is too shy to approach anyone. Interestingly,
there are brief cameos from Jitka Cerhová and Ivana Karbanová, who reprise
their roles from Daisies; and British actor Lindsay Anderson
makes a small appearance as well.
The second short is a young serving girl's
(Hana Kuberová) erotic daydream. It's filled with lush imagery and hidden
sexual symbolism as she fantasizes about falling in love with a rich noble,
then a military general, and finally a gipsy guitar player. Famous Czech singer
Karel Gott shows up in this as a wedding singer.
The last episode follows the adventures of a
lonely man named Rudolf (Josef Konícek), he finds himself taken in by a bizarre
hedonistic family who has mistaken him for someone else named Jakub. The
weakest of the trio, it's essentially an absurd comedy sketch inspired by
slapstick silent films, but is only ever mildly funny and feels very self
indulgent…
Czech
comical-art-house triptych by Nemec on the topic of love, with homages to old
cinema and light symbolic/surrealist touches. The first story involves a young
working man with lustful daydreams, his view constantly haunted by glimpses of
lovers, women and their body parts, his workplace surrealistically populated
with rows of glaring secretaries. The second involves a young woman with
romantic fantasies over a celebrity singer, who is forcefully pushed into a
marriage with a man who wants to symbolically shoot down her travelling
suitcase. The third tells the adventure of a tramp-like character who gets
invited into a rich house where they give him free clothes and female
attention. Minimal dialogue, lots of music, light Czech new-wave fun.
Anders prova a trovare una via d'uscita, non sarà facile. esce per il primo giorno da una comunità di recupero per tossicodipendenti, sembra sia tutto a posto, deve anche fare un colloquio di lavoro. come Pollicino ripercorre le tappe della sua vita, amici, la ex ragazza, è solo, disperato, rassegnato. nella sua testa è un fallito, un incapace, un perdente. e allora perde, come sa fare lui. chi interpreta Anders è bravissimo, sembra uno che abbiamo conosciuto, non vi lascia indifferente. e qual maledetto 31 agosto, a Oslo, non c'è niente da fare. un gran film, che vi farà soffrire, se siete ancora vivi. non perdetevelo - Ismaele
…Trier gira un film apparentemente lineare e scarno sul quale, però, mette
dentro 3 sequenze molto particolari.
La prima è l'incipit, con quei "ricordi di Oslo" che forse
rappresentano la felicità di un tempo del nostro protagonista.
La seconda è una cosa molto simile, ovvero sempre una voice off (quella di
Anders) che racconta di come erano i suoi genitori, di quello che facevano per
lui, della sua infanzia.
Sono due parti molto veloci e intense che, a leggerle poi, paiono quasi una
specie di testamento.
Ma la scena forse più particolare è quella con Anders nella caffetteria.
Il ragazzo prova a captare la vita degli altri cercando di "isolare"
l'audio di ogni tavolo.
Problemi di vita, aspirazioni, sogni, banalità, tutto finisce nelle
orecchio di Anders che intanto, con gli occhi, segue anche dei personaggi fuori
dal locale (che buffo che abbia visto questo film dopo il sogno-racconto che ho
scritto, gli somiglia tanto questa scena).
L'ho trovati 5 minuti bellissimi, quelli di un ragazzo che si sente ormai
morto dentro, fallito, senza futuro, incapace di far progetti e allora prova
disperatamente a "sentire" e vedere la vita degli altri, non so se
per crederci ancora, per tornare a capire come funziona o come ultimo
abbeverarsi di qualcosa che si vuole lasciare per sempre…
…Anders aveva tutti gli elementi per poter provare ad uscirne.
Un possibile lavoro, un amico vero, una sorella che lo ama e voleva solo
prender tempo, una famiglia che aveva fatto tutto per lui.
E una ragazza che voleva conoscerlo.
E un'alba che prometteva tutto.
Ma se un uomo dà le spalle all'alba allora è un uomo che ormai non vuole
essere più bagnato dalla luce.
…"Oslo, August 31st" is
quietly, profoundly, one of the most observant and sympathetic films I've seen.
Director Joachim Trier and actor Anders Danielsen Lie, working together for
the second time, understand something fundamental about their character. He
believes the ship has sailed without him. He screwed up. He lost years in
addiction and recovery. Life has moved on. His old friends like Thomas have
stayed on board the ship, and Anders feels adrift. Even the much-loved city
that surrounds him is an affront, a reminder of the days not lived, the
experiences missed. How can he begin again? Above all, Anders is angry with
himself and in despair, although he's so inward as he tries to conceal that…
…I know what he should do. He should leave Oslo,
even Norway. With the English that all Norwegians speak, he could live
anywhere. He could take any kind of a job, no matter what, and cast his past
adrift. His memories of Oslo only inspire regrets. His old friendships are all
over. Day after day, he could rebuild his interest in things. The drugs haven't
destroyed his body but they have taken away his hope. He could walk and walk
and walk, and one day even pick up a book or go to a movie. But Anders has no
faith in a new beginning. The last sound we hear from him is a sigh.
…E’ un film
pesante, Oslo. Un film che mette sotto la
lente d’ingrandimento non solo gli effetti della tossicodipendenza, ma anche il
destino di una generazione persa, che nasconde i propri demoni e le proprie
insicurezze dietro ad una facciata di normalità e svago. E’ una riflessione che
assume un peso ancora maggiore se applicata alla realtà norvegese e della sua
capitale, città apparentemente perfetta ma che sembra non curarsi del malessere
dei suoi abitanti.
La storia di Anders (un
bravissimo Anders Danielsen Lie) di base non ha
nulla di originale: è la storia di un ragazzo perduto che non riesce
a trovare il suo posto nel presente (il futuro non lo concepisce nemmeno) e che
cerca nel passato improbabili ancore di salvezza. Sarebbe un errore
considerare Oslo come un semplice film sulla
tossicodipendenza. E’ molto, molto di più. Joachim Trier senza fare troppo
rumore e mantenendo un profilo basso e delicato riesce a farci empatizzare come
non mai con il protagonista del suo film, regalandoci sequenze di una potenza
lirica incredibile (il finale in piscina, la sequenza del pianoforte).
Guardate Oslo, 31. august: le ore
passate assieme ad Anders vi lasceranno un segno profondo.
…Cinquante ans après Louis Malle, le
norvégien Joachim Trier adapte une nouvelle fois à l’écran le roman de Pierre
Drieu la Rochelle Le Feu follet. Il parvient à le moderniser de façon étonnante
et lui donne une dimension encore plus grande. Alors que chez Louis Malle,
Maurice Ronet était surtout dépressif, le personnage d’Anders est ici très
lucide mais, à l’heure où il peut, ou plutôt il doit, remettre toutes les
pendules à zéro, il s’interroge sur le sens de l’existence, du moins de son
existence. Sur une journée entière, il va être confronté à plusieurs situations
susceptibles de lui apporter des réponses. Ce questionnement assez large donne
une dimension philosophique au film, ce qui lui enlève au passage toute
noirceur. Si on veut bien le voir ainsi, Oslo, 31 août n’est
en rien déprimant. Le personnage d’Anders est certes dépressif mais reste
capable d’analyse, son tort étant, entre autres, d’analyser trop froidement
(d’où son constat final). Le film de Joachim Trier n’est pas sans défaut, avec
quelques longueurs (notamment dans la scène d’anniversaire et dans la boite de
nuit), mais comporte aussi de belles trouvailles comme celle où Anders, seul à
la terrasse d’un café, écoute les conversations des tables qui l’entourent, un
kaléidoscope d’exemples de sens de vie. Oslo, 31 août a
l’avantage de faire partie de ces trop rares films qui portent en eux une
réflexion que l’on se surprend à prolonger une fois la projection terminée.
…il
regista, i suoi occhi sono nell’impossibile spazio tra il protagonista e ciò
che gli sta attorno, le strade che percorre, il giorno e la notte che si
avvicendano, la vita degli altri, una città che l’uomo attraversa; sono luoghi,
immagini, voci e volti che gli scivolano, scorrono accanto, ma che non
può possedere, sentire. Anche il desiderio, qui, in
fondo, è una menzogna, non si fa mai esperienziale, è una corrispondenza
mancata, un segno ambiguo, un tratto incompleto, negato. Ma quello di Trier non
è, però, freddo referto, come potrebbe suggerire il titolo del film; uno
sguardo che non “medicalizza” il racconto, né tantomeno espone tesi o irride il
suo personaggio. È, piuttosto, un filmare come se non si sapesse davvero nulla
del mondo che entra nell’obiettivo della macchina cinema, nonostante una certa
“geometria” della storia, è un osservare limpido eppur partecipe, è lo sguardo
di chi non aderisce a quella storia, ma a quello che le manca, a ciò che è
rimasto oltre i margini, fuori, dallo spazio e dal tempo. Fuori da Oslo,
31. august.