domenica 15 luglio 2018

Oslo, 31 August - Joachim Trier

Anders prova a trovare una via d'uscita, non sarà facile.
esce per il primo giorno da una comunità di recupero per tossicodipendenti, sembra sia tutto a posto, deve anche fare un colloquio di lavoro.
come Pollicino ripercorre le tappe della sua vita, amici, la ex ragazza, è solo, disperato, rassegnato.
nella sua testa è un fallito, un incapace, un perdente. e allora perde, come sa fare lui.
chi interpreta Anders è bravissimo, sembra uno che abbiamo conosciuto, non vi lascia indifferente.
e qual maledetto 31 agosto, a Oslo, non c'è niente da fare.
un gran film, che vi farà soffrire, se siete ancora vivi.
non perdetevelo - Ismaele




Trier gira un film apparentemente lineare e scarno sul quale, però, mette dentro 3 sequenze molto particolari.
La prima è l'incipit, con quei "ricordi di Oslo" che forse rappresentano la felicità di un tempo del nostro protagonista.
La seconda è una cosa molto simile, ovvero sempre una voice off (quella di Anders) che racconta di come erano i suoi genitori, di quello che facevano per lui, della sua infanzia.
Sono due parti molto veloci e intense che, a leggerle poi, paiono quasi una specie di testamento.
Ma la scena forse più particolare è quella con Anders nella caffetteria.
Il ragazzo prova a captare la vita degli altri cercando di "isolare" l'audio di ogni tavolo.
Problemi di vita, aspirazioni, sogni, banalità, tutto finisce nelle orecchio di Anders che intanto, con gli occhi, segue anche dei personaggi fuori dal locale (che buffo che abbia visto questo film dopo il sogno-racconto che ho scritto, gli somiglia tanto questa scena).
L'ho trovati 5 minuti bellissimi, quelli di un ragazzo che si sente ormai morto dentro, fallito, senza futuro, incapace di far progetti e allora prova disperatamente a "sentire" e vedere la vita degli altri, non so se per crederci ancora, per tornare a capire come funziona o come ultimo abbeverarsi di qualcosa che si vuole lasciare per sempre…
…Anders aveva tutti gli elementi per poter provare ad uscirne.
Un possibile lavoro, un amico vero, una sorella che lo ama e voleva solo prender tempo, una famiglia che aveva fatto tutto per lui.
E una ragazza che voleva conoscerlo.
E un'alba che prometteva tutto.
Ma se un uomo dà le spalle all'alba allora è un uomo che ormai non vuole essere più bagnato dalla luce.
E se ne va dalla parte opposta, verso le tenebre.

"Oslo, August 31st" is quietly, profoundly, one of the most observant and sympathetic films I've seen. Director Joachim Trier and actor Anders Danielsen Lie, working together for the second time, understand something fundamental about their character. He believes the ship has sailed without him. He screwed up. He lost years in addiction and recovery. Life has moved on. His old friends like Thomas have stayed on board the ship, and Anders feels adrift. Even the much-loved city that surrounds him is an affront, a reminder of the days not lived, the experiences missed. How can he begin again? Above all, Anders is angry with himself and in despair, although he's so inward as he tries to conceal that…
…I know what he should do. He should leave Oslo, even Norway. With the English that all Norwegians speak, he could live anywhere. He could take any kind of a job, no matter what, and cast his past adrift. His memories of Oslo only inspire regrets. His old friendships are all over. Day after day, he could rebuild his interest in things. The drugs haven't destroyed his body but they have taken away his hope. He could walk and walk and walk, and one day even pick up a book or go to a movie. But Anders has no faith in a new beginning. The last sound we hear from him is a sigh.

E’ un film pesante, Oslo. Un film che mette sotto la lente d’ingrandimento non solo gli effetti della tossicodipendenza, ma anche il destino di una generazione persa, che nasconde i propri demoni e le proprie insicurezze dietro ad una facciata di normalità e svago. E’ una riflessione che assume un peso ancora maggiore se applicata alla realtà norvegese e della sua capitale, città apparentemente perfetta ma che sembra non curarsi del malessere dei suoi abitanti.
La storia di Anders (un bravissimo Anders Danielsen Lie) di base non ha nulla di originale: è la storia di un ragazzo  perduto che non riesce a trovare il suo posto nel presente (il futuro non lo concepisce nemmeno) e che cerca nel passato improbabili ancore di salvezza. Sarebbe un errore considerare Oslo come un semplice film sulla tossicodipendenza. E’ molto, molto di più. Joachim Trier senza fare troppo rumore e mantenendo un profilo basso e delicato riesce a farci empatizzare come non mai con il protagonista del suo film, regalandoci sequenze di una potenza lirica incredibile (il finale in piscina, la sequenza del pianoforte). Guardate Oslo, 31. august: le ore passate assieme ad Anders vi lasceranno un segno profondo.

Cinquante ans après Louis Malle, le norvégien Joachim Trier adapte une nouvelle fois à l’écran le roman de Pierre Drieu la Rochelle Le Feu follet. Il parvient à le moderniser de façon étonnante et lui donne une dimension encore plus grande. Alors que chez Louis Malle, Maurice Ronet était surtout dépressif, le personnage d’Anders est ici très lucide mais, à l’heure où il peut, ou plutôt il doit, remettre toutes les pendules à zéro, il s’interroge sur le sens de l’existence, du moins de son existence. Sur une journée entière, il va être confronté à plusieurs situations susceptibles de lui apporter des réponses. Ce questionnement assez large donne une dimension philosophique au film, ce qui lui enlève au passage toute noirceur. Si on veut bien le voir ainsi, Oslo, 31 août n’est en rien déprimant. Le personnage d’Anders est certes dépressif mais reste capable d’analyse, son tort étant, entre autres, d’analyser trop froidement (d’où son constat final). Le film de Joachim Trier n’est pas sans défaut, avec quelques longueurs (notamment dans la scène d’anniversaire et dans la boite de nuit), mais comporte aussi de belles trouvailles comme celle où Anders, seul à la terrasse d’un café, écoute les conversations des tables qui l’entourent, un kaléidoscope d’exemples de sens de vie. Oslo, 31 août a l’avantage de faire partie de ces trop rares films qui portent en eux une réflexion que l’on se surprend à prolonger une fois la projection terminée.

…il regista, i suoi occhi sono nell’impossibile spazio tra il protagonista e ciò che gli sta attorno, le strade che percorre, il giorno e la notte che si avvicendano, la vita degli altri, una città che l’uomo attraversa; sono luoghi, immagini, voci e volti che gli scivolano, scorrono accanto, ma che non può possederesentire. Anche il desiderio, qui, in fondo, è una menzogna, non si fa mai esperienziale, è una corrispondenza mancata, un segno ambiguo, un tratto incompleto, negato. Ma quello di Trier non è, però, freddo referto, come potrebbe suggerire il titolo del film; uno sguardo che non “medicalizza” il racconto, né tantomeno espone tesi o irride il suo personaggio. È, piuttosto, un filmare come se non si sapesse davvero nulla del mondo che entra nell’obiettivo della macchina cinema, nonostante una certa “geometria” della storia, è un osservare limpido eppur partecipe, è lo sguardo di chi non aderisce a quella storia, ma a quello che le manca, a ciò che è rimasto oltre i margini, fuori, dallo spazio e dal tempo. Fuori da Oslo, 31. august.

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