mercoledì 1 febbraio 2017

Dopo l'amore (L’économie du couple) - Joachim Lafosse

notaio, catasto, registri immobiliari sono sfondo e protagonisti del film, attori silenziosi di una separazione che mette in gioco tutto.
il film è abbastanza duro, realistico e senza pietà per gran parte della sua durata, così veri i dialoghi durante la cena.
le due figlie, Jade e Margaux, sono ancora il legame fra i separati in casa, e sono anche testimoni (spaventate) delle discussioni sopra le righe di Marie e Boris.
il film riesce più nella cronaca della convivenza/dissolvenza, si perde quando aggiunge delle complicazioni, come i debiti e le sue conseguenze.
merita comunque la visione, ognuno riconoscerà qualcuno che conosce o ha conosciuto, temo - Ismaele







È un peccato che il titolo internazionale sia After Love, adottato anche in Italia, perché l’originale in francese è assai più efficace e incisivo, e affilato, svelando subito l’approccio di Lafosse al suo oggetto di discorso, le sue intenzioni: L’économie du couple, l’economia della coppia. Magnifico titolo, fattuale e asimentale, e grazie a Dio privo di quello psicologismo che rovina tante narrazioni sulla coppia, a ribadire come nella vita a due, e nella sua fine, sia – marxianamente – il sostrato economico a contare e influenzare eventi e l’agire delle persone. E Lafosse per almeno due terzi del film, la parte migliore, si mantiene fedele al suo titolo, che è anche una dichiarazione programmatica. Ecco che Boris e Marie fanno la lista dei loro oggetti di proprietà, questo l’ho comprato io, questo apparteneva alla mia famiglia dunque tu non azzardarti a toccarlo, e avanti così, in uno scontro che ha le ferocia delle questioni di soldi. Mai separazione e divorzio erano stati affrontati dal cinema con tanta lucidità, mai la cattiva e spicciola psicologia e le trappole della cosiddette emozioni erani stati tanto accuratamente scansati. Ed è anche la ragione per cui questo film non bisogna perderlo. Purtroppo questa durezza e implacabilità, questo rifiuto di ogni approccio consolatorio, si annacquano nell’ultima parte…

Forse non basta per renderlo sopportabile tutto, fino in fondo. Tuttavia non era scontato trovare una simile pornografica esposizione del collasso di due sentimenti opposti (ma nemmeno troppo) in un film così privo di uno stile deciso e così poco capace di coinvolgere nel proprio ostentato naturalismo. Invece ci sono delle scelte di pura organizzazione degli spazi e dei tempi di messa in scena che parlano di una vita di disaccordi. Dove è confinato l’uomo, cosa fa la donna appena entrata in casa. Dove si nasconde il letto, oppure quando è che i due dormono insieme. Su tutto la diversa maniera in cui padre e madre si rivolgono e interagiscono con le figlie disegna una minuscola Guerra dei Roses, meno teatrale e più realistica. C’è poco più di urla e insulti tra i due, ma tutto quello che fanno quando fanno altro dal rivolgersi la parola è un vero campo di battaglia.

Inevitabilmente, è il conflitto all’interno della coppia a ergersi quale protagonista, con il diverbio tra i sessi, grazie a dialoghi che pongono l’accento su distanze sempre maggiori, con brevi aperture di complicità che non possono fare altre che evidenziare, una volta di più, quanto le colpe alloggino sempre nell’altra sponda.
Un tour de force per i due protagonisti; Berenice Bejo è quanto mai lontana dalla lucentezza che l’ha fatta scoprire in The artist, perennemente imbronciata, emblema di una rabbia covata nel tempo e in deflagrazione prolungata, mentre Cedric Kahn subisce, così come il suo personaggio, tenendo un angolo del ring in perenne affanno.     
Le problematiche sono sentite, lo strazio trova almeno un paio di passaggi scardinanti, perimetralmente ricorda Una separazione ma privo di imbellettamenti, così come di vette artistiche, con un finale che non deraglia, esplicitando l’unica chiusura ammissibile, al netto di quelle che possono essere le impercettibili variazioni dell’esistenza.
Per Joaquin Lafosse è un lavoro compiuto, fermamente ancorato alle relazioni umane - sempre più complicate e influenzate da tempi difficili che hanno portato alla rimozione del senso di sacrificio della generazione precedente - senza mai perdere di vista il nucleo narrativo, con figure centrali definite scrupolosamente e scorci di prossimità umana.
Pertinente, tra esigenze e acidità; le favole che riempiono il cuore alloggiano altrove.

E’ un film sulla verità tremula e inafferrabile, sui punti di vista che filtrano le cose, sull’impossibilità di individuare una visione oggettiva degli eventi. La chiave è il due, la coppia, il doppio sguardo, anche quando l’amore finisce. Boris e Marie restano due nell’interpretazione dei fatti, due nella versione dei sentimenti, due nelle conseguenze e nella responsabilità. Ma è un due spezzato, sfocato, ondivago, che ha perso presa sulla cose, che procede incerto e zoppicante. Ognuna delle due estremità reclama un’indipendenza e un’autonomia; allo stesso tempo, i primi “movimenti” solitari sono incerti e timorosi, e si ammantano di alibi per ritrovare l’altro, per conservarlo all’interno della propria realtà…

Lafosse predispone il palcoscenico per i suoi interpreti con cura, orchestra i movimenti di macchina (per lo più a mano) al millimetro, concentra l’azione quasi completamente in un’unica location (la casa), per meglio restituire allo spettatore il claustrofobico senso di impotenza che affligge i personaggi. Non è infatti la mancanza d’amore a tormentarli, quanto la possibilità di ritrovare un nuovo equilibrio che sia per entrambi soddisfacente. Ci sono delle regole da rispettare per poter convivere more uxorio senza più voler essere sposati, e queste talvolta assumono dei toni assurdi, quando non grotteschi. Il ménage domestico della coppia è oramai diventato un “circo”, come dirà ad un certo punto lei, anche se tutto quell’andirivieni di personaggi all’interno della casa, tutte quelle porte aperte, richiuse, sbattute, fa pensare più ad una farsa, senza averne però il ritmo. Lafosse costruisce infatti un film dal fiato corto, dove la verbosità è scalfita da un unico momento liberatorio di danza e dai gustosi siparietti dedicati alle due imprevedibili bambine.
Dopo l’amore è infatti scandito completamente dalle tempistiche dei litigi dei suoi protagonisti, che non brillano per originalità nei dialoghi, anzi, a lungo andare diventano alquanto ripetitivi. E poco importa che la sceneggiatura sia composta con cura, l’unico evento narrativo preparato per tempo, la messinscena fluida e le interpretazioni impeccabili. Di fronte a Dopo l’amore si ha ripetutamente l’impressione di essere entrati nella casa di una coppia che litiga, senza aver neanche mai voluto bussare.


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