sabato 18 febbraio 2017

Walesa (Walesa – L’uomo della speranza) - Andrzej Wajda

è l'ultimo film di Andrzej Wajda, un film che più polacco non si può.
biografia di un pezzo della vita di Lech Walesa, e di chi gli stava intorno, operai disposti a combattere per i diritti di tutti, una polizia da cui quelli di Bolzaneto hanno tratto insegnamenti, o viceversa, sembra siano andati tutti alla stessa scuola di polizia.
poteva essere un film agiografico, ma Wajda era uno come si deve, e fa film che sono cinema, non commissioni per qualcuno.
Walesa è un film con operai, cosa rara al cinema, e Walesa è anche uno dei pochi presidenti operai (mi viene in mente Lula soltanto, adesso).
le musiche originali del film sono tutte polacche (qui i titoli di tutte le canzoni, qui alcune canzoni), ma se sei distratto un attimo ti sembra di vedere scene di lotta operaia inglese, con musiche rock e punk che le accompagnano, valore aggiunto al film.
un film che merita molto, come tutti i film di Andrzej Wajda - Ismaele




…Il regista Andrzei Wajda nella sua lunga carriera ci ha raccontato la storia polacca attraverso figure piccole ma emblematiche di un'opposizione crescente ("L'uomo di marmo", 1977, e "L'uomo di ferro", 1981). Qui arriva finalmente alla chiusura di un cerchio col passato. A battere  sull'incudine solo un ritratto si abbatte inevitabilmente per compiere questo affresco di individui e Storia: quello dell' "uomo della speranza". 
Un individuo che si vota al "Non voglio, ma devo", a un testardo imperativo categorico di coscienza e, appunto, solidarietà, e trova in se stesso radici più grandi di lui: il Walesa del popolo paradossalmente scopre un carisma debordante, quasi arrogante, e qui comincia a spegnersi l'uomo privato rispetto alla persona pubblica. Ironicamente, suggerisce Wadja, saranno i baffi a renderlo popolare, un quid che si oppone immediatamente all'icona-Stalin, al suo rappresentare rigidità e oppressione. 

Se fin qui il punto di vista sembra persino trionfalistico, sono in realtà le performance di Robert Wieckiewicz (Walesa appunto) e Agnieszka Grochowska (la moglie) a dare evidenza alle sfumature, dai toni più ironici a quelli più drammatici, totalmente al servizio della storia e qui della Storia. Ma il crescete squilibrio tra vicenda del singolo e aspirazioni di una nazione - fil rouge dell'opera di Wajda - si consuma nell'alternarsi fluido e incessante di girato e filmati d'archivio, e in un racconto anti-romantico, proprio perchè sempre più universale.

Nel 2013, a 87 anni, finalmente il regista gira questo biopic che si propone come primo obiettivo di ripercorrere fedelmente il tragitto dell’elettricista che fondò Solidarnosc, prese il Nobel, divenne poi presidente di un paese ormai post-comunista, e che lo fa, come sempre nel suo cinema, con  una partecipazione che, se sfiora qualche volta la celebrazione, mai ci cade dentro. Perché Wajda, scomparso pochi giorni fa a novant’anni, è autore vero che piega le storie che racconta a se stesso, alla sua sensibilità e perfino ai suoi demoni, e non viceversa. Anche se Walesa è un prodotto tardo, quando la sua migliore stagione, quella degli anni Sessanta e Settanta era ormai lontana, resta un film rispettabile, robusto…

Wałęsa è stato un formidabile capopopolo, politicamente furbo ma anche molto saggio. Risulta ancor oggi sorprendente la sua ostinazione nel rifiutare sempre la violenza e sfuggire a qualsiasi provocazione (il massacro degli operai durante le manifestazioni a Danzica nel 1970 fu una dolorosa ferita e una lezione sempre presente in lui e nei suoi compagni) e, soprattutto, la costante fiducia nel dialogo, nella possibilità (anche quando, come dopo il colpo di stato, ad opera del recentemente scomparso generale Jaruzelski, tutto sembrava irrimediabilmente perduto) di trovare un compromesso accettabile per tutti. Wałęsa, come si vede bene anche nel film, fu uno che subì violenze fisiche, umiliazioni e ricatti (Wajda non tace nemmeno sul controverso episodio di quando, agli inizi, richiuso per l’ennesima volta in prigione, Wałęsa accettò di firmare un foglio che lo chiamava a collaborare con la polizia), ma mantenne sempre la schiena dritta, aiutato da una solida fede religiosa e dall’ostinata convinzione che, avendo ragione, prima o poi lui e i suoi operai avrebbero vinto. Spicca nel film la forte figura di sua moglie Danuta, madre di sei figli, disperata per la loro situazione economica e famigliare, ma sempre accanto a lui, anche quando non lo capiva…

 Non c’è mitologia o esaltazione, anzi, l’idea di costruire la storia partendo dalla famosa intervista di Oriana Fallaci a Walesa è originale per la struttura scenica. L’intervista della giornalista italiana è del 1981. È un anno intermedio, perché i primi scioperi di Solidarnosc sono del 1970, mentre la caduta del regime comunista avverrà alla fine degli anni ottanta. Perciò il film intreccia la brillante l’intervista con flash back e flash fordward. Il colloquio fra i due ha una funzione di determinare il carattere umano del sindacalista. È un carattere aggressivo, ama le donne – e la Fallaci è una bella donna – ma non vuole essere da loro sottomesso. Della Fallaci giornalista sappiamo tutto, non è certo donna da aver paura, come quando si tolse lo chador di fronte a Khomeini. Con Walesa ci sono scintille, perché la scrittrice fiorentina lo scorge come pieno di se, incolto, parla con libertà senza una struttura predefinita. Però si accorge del carisma dell’uomo. Nei flash c’è tutta la storia del sindacato. Dai primi arresti durante gli scioperi, all’ascesa in Solidarnosc, alla prigionia per undici mesi nel sud della Polonia, alla vittoria del premio Nobel per la pace, all’accettazione del governo delle richieste sindacali. L’abilità del regista è nell’individuare le finalità, di puntare su Walesa anche attraverso il ritratto della moglie. Docile ma determinata, mentre Walesa correva i rischi, la donna lo riportava ai propri doveri familiari. Wajda ripete in vari momenti la stessa identica scena: quando pensa di correre dei rischi e quindi di non poter tornare a casa, perché in prigione o peggio, Lech consegna alla moglie il suo orologio e la fede, perché possano venderli per mangiare. Raccontare venti anni di storia in due ore bisogna correre abbastanza, dunque il film è sintetico con alcune scene degne del maestro polacco…
  

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