è l'ultimo film di Andrzej Wajda, un film che più polacco non
si può.
biografia di un pezzo della vita di Lech Walesa, e di chi gli
stava intorno, operai disposti a combattere per i diritti di tutti, una
polizia da cui quelli di Bolzaneto hanno tratto insegnamenti, o viceversa,
sembra siano andati tutti alla stessa scuola di polizia.
poteva essere un film agiografico, ma Wajda era uno come si deve,
e fa film che sono cinema, non commissioni per qualcuno.
Walesa è un film con operai, cosa rara al cinema,
e Walesa è anche uno dei pochi presidenti operai (mi viene in mente Lula
soltanto, adesso).
le musiche originali del film sono tutte polacche (qui i titoli di tutte le canzoni, qui alcune
canzoni), ma se sei distratto un attimo ti sembra di
vedere scene di lotta operaia inglese, con musiche rock e punk che le
accompagnano, valore aggiunto al film.
un film che merita molto,
come tutti i film di Andrzej Wajda - Ismaele
…Il regista Andrzei Wajda nella sua lunga
carriera ci ha raccontato la storia polacca attraverso figure piccole ma
emblematiche di un'opposizione crescente ("L'uomo di marmo", 1977, e
"L'uomo di ferro", 1981). Qui arriva finalmente alla chiusura di un
cerchio col passato. A battere sull'incudine solo un ritratto si abbatte
inevitabilmente per compiere questo affresco di individui e Storia: quello
dell' "uomo della speranza".
Un individuo che si vota al "Non voglio, ma devo", a un testardo imperativo categorico di coscienza e, appunto, solidarietà, e trova in se stesso radici più grandi di lui: il Walesa del popolo paradossalmente scopre un carisma debordante, quasi arrogante, e qui comincia a spegnersi l'uomo privato rispetto alla persona pubblica. Ironicamente, suggerisce Wadja, saranno i baffi a renderlo popolare, un quid che si oppone immediatamente all'icona-Stalin, al suo rappresentare rigidità e oppressione.
Se fin qui il punto di vista sembra persino trionfalistico, sono in realtà le performance di Robert Wieckiewicz (Walesa appunto) e Agnieszka Grochowska (la moglie) a dare evidenza alle sfumature, dai toni più ironici a quelli più drammatici, totalmente al servizio della storia e qui della Storia. Ma il crescete squilibrio tra vicenda del singolo e aspirazioni di una nazione - fil rouge dell'opera di Wajda - si consuma nell'alternarsi fluido e incessante di girato e filmati d'archivio, e in un racconto anti-romantico, proprio perchè sempre più universale.
Un individuo che si vota al "Non voglio, ma devo", a un testardo imperativo categorico di coscienza e, appunto, solidarietà, e trova in se stesso radici più grandi di lui: il Walesa del popolo paradossalmente scopre un carisma debordante, quasi arrogante, e qui comincia a spegnersi l'uomo privato rispetto alla persona pubblica. Ironicamente, suggerisce Wadja, saranno i baffi a renderlo popolare, un quid che si oppone immediatamente all'icona-Stalin, al suo rappresentare rigidità e oppressione.
Se fin qui il punto di vista sembra persino trionfalistico, sono in realtà le performance di Robert Wieckiewicz (Walesa appunto) e Agnieszka Grochowska (la moglie) a dare evidenza alle sfumature, dai toni più ironici a quelli più drammatici, totalmente al servizio della storia e qui della Storia. Ma il crescete squilibrio tra vicenda del singolo e aspirazioni di una nazione - fil rouge dell'opera di Wajda - si consuma nell'alternarsi fluido e incessante di girato e filmati d'archivio, e in un racconto anti-romantico, proprio perchè sempre più universale.
…Nel 2013, a 87 anni, finalmente il
regista gira questo biopic che si propone come primo obiettivo di ripercorrere
fedelmente il tragitto dell’elettricista che fondò Solidarnosc, prese il Nobel,
divenne poi presidente di un paese ormai post-comunista, e che lo fa, come
sempre nel suo cinema, con una partecipazione che, se sfiora qualche
volta la celebrazione, mai ci cade dentro. Perché Wajda, scomparso pochi giorni
fa a novant’anni, è autore vero che piega le storie che racconta a se stesso,
alla sua sensibilità e perfino ai suoi demoni, e non viceversa. Anche se Walesa è un prodotto tardo, quando la sua
migliore stagione, quella degli anni Sessanta e Settanta era ormai lontana,
resta un film rispettabile, robusto…
…Wałęsa è stato un formidabile
capopopolo, politicamente furbo ma anche molto saggio. Risulta ancor oggi
sorprendente la sua ostinazione nel rifiutare sempre la violenza e sfuggire a
qualsiasi provocazione (il massacro degli operai durante le manifestazioni a
Danzica nel 1970 fu una dolorosa ferita e una lezione sempre presente in lui e
nei suoi compagni) e, soprattutto, la costante fiducia nel dialogo, nella
possibilità (anche quando, come dopo il colpo di stato, ad opera del
recentemente scomparso generale Jaruzelski, tutto sembrava irrimediabilmente
perduto) di trovare un compromesso accettabile per tutti. Wałęsa, come si vede
bene anche nel film, fu uno che subì violenze fisiche, umiliazioni e ricatti
(Wajda non tace nemmeno sul controverso episodio di quando, agli inizi,
richiuso per l’ennesima volta in prigione, Wałęsa accettò di firmare un foglio
che lo chiamava a collaborare con la polizia), ma mantenne sempre la schiena
dritta, aiutato da una solida fede religiosa e dall’ostinata convinzione che,
avendo ragione, prima o poi lui e i suoi operai avrebbero vinto. Spicca nel
film la forte figura di sua moglie Danuta, madre di sei figli, disperata per la
loro situazione economica e famigliare, ma sempre accanto a lui, anche quando
non lo capiva…
… Non c’è mitologia o esaltazione, anzi, l’idea di
costruire la storia partendo dalla famosa intervista di Oriana Fallaci a Walesa
è originale per la struttura scenica. L’intervista della giornalista italiana è
del 1981. È un anno intermedio, perché i primi scioperi di Solidarnosc sono del
1970, mentre la caduta del regime comunista avverrà alla fine degli anni
ottanta. Perciò il film intreccia la brillante l’intervista con flash back e
flash fordward. Il colloquio fra i due ha una funzione di determinare il
carattere umano del sindacalista. È un carattere aggressivo, ama le donne – e
la Fallaci è una bella donna – ma non vuole essere da loro sottomesso. Della
Fallaci giornalista sappiamo tutto, non è certo donna da aver paura, come
quando si tolse lo chador di fronte a Khomeini. Con Walesa ci sono scintille,
perché la scrittrice fiorentina lo scorge come pieno di se, incolto, parla con
libertà senza una struttura predefinita. Però si accorge del carisma dell’uomo.
Nei flash c’è tutta la storia del sindacato. Dai primi arresti durante gli
scioperi, all’ascesa in Solidarnosc, alla prigionia per undici mesi nel sud
della Polonia, alla vittoria del premio Nobel per la pace, all’accettazione del
governo delle richieste sindacali. L’abilità del regista è nell’individuare le
finalità, di puntare su Walesa anche attraverso il ritratto della moglie.
Docile ma determinata, mentre Walesa correva i rischi, la donna lo riportava ai
propri doveri familiari. Wajda ripete in vari momenti la stessa identica scena:
quando pensa di correre dei rischi e quindi di non poter tornare a casa, perché
in prigione o peggio, Lech consegna alla moglie il suo orologio e la fede,
perché possano venderli per mangiare. Raccontare venti anni di storia in due
ore bisogna correre abbastanza, dunque il film è sintetico con alcune scene
degne del maestro polacco…
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