sabato 4 febbraio 2017

Adam - Max Mayer

inizi a vederlo con la paura che sia un film melenso o strappalacrime, in realtà riesce a non esserlo, merito dei due protagonisti, Adam e Beth.
è un film sull'accettare e sull'accettarsi, con tutte le difficoltà e le sorprese dell'incontro.
il tempo in compagnia di Adam e di Beth passa bene, senza annoiare, se non un po' per i personaggi dei genitori di lei, decisamente un di più non necessario.
non male, vedere per credere - Ismaele





Adam è un piccolo film, che senza aver ambizioni di sorta si rivela interessante e commuovente, ponendo un doloroso accento su come spesso il "mondo" e la società finiscano per ignorare le diversità, per paura o soltanto per futile ignoranza. Osserviamo l'evolversi di un amore come tanti, appesantito dalle evidenti difficoltà ma che, nonostante tutto, non ne ledono il sentimento. Nessuna scena che punti alla commozione con situazioni preparate a tavolino, ma tanta spontaneità in una commedia dolce-amara dal gusto amabile, dove è la tenerezza a vincere ogni cosa.

La química entre Rose Byrne y Hugh Dancy, es excelente. Byrne, actriz australiana, que comenzó en la serie de su país Heartbreakers, y compartiendo reparto con Heath Ledger en Two Hands, es cada vez más habitual en producciones de peso de la industria americana y británica. Dancy, es un actor británico, que también tuvo su origen en el mundo de la televisión (Cazatesoros) y que poco a poco se está labrando una carrera. Con Adam, va a ser un nombre a tener en cuenta por los grandes estudios. Su interpretación le ha valido estupendas críticas, y nominaciones a premios independientes. Ellos son, sin duda, lo mejor de una película, pequeña en producción y grande en su mensaje. Pese a que cae en algunos clichés, y quizás tenga una historia demasiado sencilla, es un filme que mereció más, y que está muy por encima de la media de las típicas producciones que llegan a nuestro país. Una muesca más de la calidad del cine independiente americano.

Adam cresce e per giunta da solo, senza lei che gli faccia da badante. Ancora meglio che impiastricciare il solito e vissero tutti felici e contenti.
Adam ha molte delle cose che odio nella commedia sentimentale hollywwodiana: il buonismo dilagante, il messaggio positivo a tutti costi, quel fondo didattico con annesso spiegone di cosa è la sindrome di Asperger buono per ogni dibattito televisivo pomeridiano che si rispetti..
Eppure non sono riuscito a odiarlo. Non mi ha appassionato eppure l'ho visto tutto senza annoiarmi o prendere una sosta per eccesso di zuccheri tracimanti dallo schermo.
E questo perchè Hugh Dancy e Rose Byrne hanno lavorato bene sui loro personaggi senza renderli delle macchiette indigeribili: evitano i trabocchetti dell'overacting (lui) e il patetismo insito nel personaggio di una maestrina d'asilo, scrittrice per bambini, che si prende cura di un uomo che è solo un bambino anagraficamente più grande.
Lui cerca rifugio in lei e lei crede di aver trovato in Adam un punto di riferimento,cangiante come la luce delle stelle filtrata dall'atmosfera, ma sempre un porto in cui approdare.
Perchè in fondo è bambina anche lei…

…Non è la prima volta che il cinema affronta il tema della diversità psichica ("Rain men", "Forrest Gump", "Mi chiamo Sam", "Buon compleanno Mr. Grape") con alterna fortuna, ma è la prima volta che il tutto è condito da un tocco di sentimentalismo e di romantica delicatezza: un film su una delicata storia d'amore tra due differenti solitudini, che non si discosta poi molto dalle tante storie d'amore "normali"; le difficoltà che incontrano Adam e Beth sono le difficoltà della nostra vita, sono le difficoltà della nostra quotidianità che rendono problematico ogni sentimento, che rendono difficile oltrepassare il confine che ci separa dall'altro e a volte ci separa da noi stessi.
Così Adam diviene metafora delle difficoltà più ampie di tutte le relazioni umane, delle difficoltà ad entrare in sintonia con un'altra persona, una persona che, nel bene e nel male, ha una diversa visione del mondo. Una diversa, ma sua, visione del mondo.
"Adam", come tutti i film che trattano patologie umane, è un film toccante e fragile, che, però, non scade mai nel compiacimento e nella piaggeria, ma esplora i sentimenti umani e il male di vivere, le difficoltà amorose e le problematiche relazionali, la complessità dei rapporti padre/figlio e la persistente compromissione delle relazioni sociali, riuscendo magicamente a trasmettere quel senso di impotenza che prende di fronte ai grandi e per certi versi insormontabili ostacoli della nostra routine quotidiana, specie se visti con gli occhi di un "diverso".
Ne esce fuori un piccolo, sincero film, fatto di poesia e di malinconia, di atmosfere e di suggestioni, che ci insegna a capire come solo la comprensione per gli altri, la solidarietà, la tenerezza, il rispetto, il sentimento, ci permettono di varcare quel confine che racchiude mondi a noi sconosciuti, e che credevamo impossibili.
Non serve un lieto fine, perchè "Adam" non racconta una fiaba, ma una dolorosa realtà, non gioca con i sentimenti del pubblico, non punta alla facile commozione con situazioni strappalacrime, ma ci porta in un mondo parallelo e anche misconosciuto, il mondo della diversità e della patologia; nel mondo del disordine pervasivo dello sviluppo e delle difficoltà nelle relazioni sociali, del disagio ad agganciarsi alla realtà.
La regia sobria e discreta, quasi invisibile, come si conviene ad un film così, un po' lieve e un po' ironico, punta più sull'utilità divulgativa del problema che sulla spettacolarizzazione della storia; e si avvale di due interpreti, per certi versi sorprendenti. Soprattutto Hugh Dancy, l'attore inglese che finora si era caratterizzato per ruoli non particolarmente interessanti, che sfodera qui l'interpretazione della sua vita, e che si è preparato al difficile ruolo parlando con soggetti affetti dalla sindrome di Asperger (e si vede come è riuscito ad identificarsi con il personaggio) ed ha preferito evidenziare l'aspetto interiore della vita bloccata di un ragazzo, dagli sviluppi emotivi sempre imprevedibili, piuttosto che forzare su una mimica caratteriale eccessivamente accentuata.
Lo stesso fa la brava australiana Rose Byrne (Coppa Volpi a Venezia 2000 per la migliore interpretazione femminile per "La dea del '67"), molto efficace nel tratteggiare il ruolo di una ragazza ferita nei sentimenti eppure capace di ricominciare.
Peccato che un film così abbia avuto scarsa visibilità e una ancora più scarsa distribuzione.

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