sembra di vedere un film neorealista (e un po' anche alla Ken Loach),
ed è un grande complimento.
arriva il capitalismo, l'accumulazione primitiva, gli squali, non sono tempi per gente umile.
Shen Tao (stessa attrice protagonìsta di Io sono Li, di Andrea Segre, e degli altri film di
Jia Zhang-Ke) deve scegliere un marito, fra Liangzi e Zhang, avrà un figlio, Dollar, intanto il futuro arriva, troppo in fretta.
c'è chi farà il padrone, e chi il lavoratore mezzo schiavo.
il tempo passa, qualcuno muore, Shen Tao aspetta.
impossibile annoiarsi, e non soffrire, o uno dorme, o è già morto - Ismaele
…Se il film di Jia ha un difetto è il suo porgersi indifeso, privo di astuzie e di schermi. Le sue metafore si offrono a mani nude, non vengono a patti con la complessità di un ragionamento sulla Cina contemporanea, non ne hanno il bisogno né l’intenzione…
…Mountains
May Depart è un film imperfetto ma
potente, grandioso e insieme spudoratamente sgangherato e kitsch. Potrebbe
crescere con il tempo e salire allo status di capolavoro. Vedremo.
…Se il suo cinema precedente minacciava l'assorbimento
dell'individuo nelle metamorfosi capitaliste, Al di là delle montagne realizza
la minaccia e la spiega lungo un'asse temporale che contempla presente, passato
e futuro. Sospeso tra la certezza di quello che è stato, il film apre sul
Capodanno del 1999, e l'ipotesi di quello che potrà essere, il film chiude
sull'inverno del 2025, Al di là delle montagne materializza
l'ambizione cinese nella figura di Zhang. Indietro restano Lianzi, senza lavoro
e in compagnia del suo cancro, Tao, corpo nazione indecisa sulla strada da
prendere al debutto e poi votata al consumo, e Dollar, il prezzo pagato alla
conversione economica. Dopo aver reso conto di milioni di persone povere e
profughe e aver registrato centinaia di città e siti archeologici sommersi, il
regista affronta i flussi migratori e disloca per la prima volta i suoi
personaggi al di là dei confini cinesi. L'Australia diventa la terra promessa
di Zhang e la terra straniera di Dollar, dentro un melodramma superbo su due
generazioni che non riusciranno più a comunicare. In fondo al loro silenzio, che
ormai parla soltanto la lingua inglese, resiste la tradizione incarnata da Tao,
punto fermo del film che prepara ravioli e 'riconosce' la
voce cara. Dentro un contesto (sur)reale, dentro città simbolo della cultura
classica cinese ridotte a cantieri, Zhangke accomoda tre personaggi in cerca di
qualcosa, forse l'amore, forse una famiglia, forse il successo, forse la
propria identità, forse una finestra verso il mondo esterno, che ha smesso di
essere clandestino e contempla adesso l'occidentalità pop dei Pet
Shop Boys…
…Mountains May Depart non è un
capolavoro. Non è questo il punto. Non lo è mai, ovviamente. Il punto è che
questo film è qualcosa di più di un’opera e Jia Zhang-ke è davvero uno dei più
grandi registi della terra. E non per
la consapevolezza teorica o la sensibilità di uno stile supremo che trasforma
la necessità in caso. Non ha bisogno di forzare la mano, di curare la posizione
le luci e di “creare” il bello. Quello che gli sta a cuore è incontrare le
“persone”, seguire le loro emozioni più vere e sincere, tutti quei sottili
cambiamenti che si muovono sul filo dei ricordi, dei rimpianti, delle speranze,
lungo la colonna sonora delle canzoni popolari, quelle dei Pet Shop Boys o
quelle di Sally Yeh. Per lui la perdita della lingua non è un dato sociologico,
è un taglio nella carne, nella sostanza stessa dei legami. Questo film è
qualcosa di più. È una confessione a cuore aperto e un abbraccio che stringe al
petto, tocca la pancia. È come l’amore. Fa piangere e gioire di bellezza.
…con Al di là delle montagne Jia
Zhangke ha scritto forse anche il suo film più complesso, in cui le ellissi
temporali e narrative sono tenute insieme non solo dal riapparire di feticci,
anche culinari (i ravioli che vengono preparati e mangiati in tutti e tre gli
episodi), non solo da un discorso estetico di rara raffinatezza e profondità
(si passa dal formato 1:33 del primo episodio all’1:85 del secondo, al
cinemascope con obiettivi anamorfici del terzo), ma anche da una colonna sonora
che sembra giocata su una sorta di eterno ritorno nietzschiano, a partire
da Go West dei Pet Shop Boy, cantata, ballata e
ri-declinata in varie forme e sensi.
Se abbiamo la forte impressione che Jia
Zhangke sia riuscito a trovare la formula per tornare ai livelli di Still
Life, va detto comunque che l’innesco di Il tocco del
peccato è stato decisivo. È, infatti, solo grazie al suo film del
2013 che oggi, con Al di là delle montagne, possiamo
assistere a una forma di cinema che scavalca a piè pari il legame con un certo
tipo di autorialità, a tratti dimessa a tratti introversa, che aveva connotato
il cinema di Jia del passato. Ora siamo di fronte a un cineasta che sa osare
spudoratamente, che sperimenta con l’immagine come solo pochissimi al mondo
sono in grado di fare, che si attesta definitivamente nell’alveo dei più grandi.
…Le montagne possono partire, dice il titolo originale.
Richiama, contraddicendolo, un proverbio cinese secondo il quale gli amici
sono stabili come montagne. Così dovrebbe essere, e non è, tra il padre di
Dollar e l'amico più umile, sinceramente innamorato di Tao, in quel primo
episodio che ha statuto autonomo tanto da esser corredato da propri titoli di
coda. Al di là del proverbio, il titolo del film si riferisce alla Cina stessa:
è lei, il suo popolo, la montagna destinata a spostarsi contronatura, in un
movimento che simbolicamente rivoluziona le regole della fisica - non poi
diversamente da quanto l'uomo riesce a fare, ad esempio quando costruisce una
diga colossale a invadere d'acqua una vallata popolata da un milione di
persone ("Still life" e "Dong", documentario sulla
costruzione della diga del Fiume Giallo).
Quello di Jia Zhang-Ke è cinema dello sradicamento. Prima
ancora di essere cinema semi-documentaristico, "del reale", cinema
contemplativo che procede con ritmi dilatati e long takes; o
cinema-documento sulla Cina contemporanea e sulle sue metamorfosi.
Il cinema di Jia ha il dono della semplicità e della
trasparenza, nel porsi come critica dei vizi di fondo del modello capitalista e
della corruzione (non solo materiale) che vi si insedia. Il progresso ha un
costo terribile in termini di perdita, rinnegamento della memoria, delle
radici. "Mountains may depart", proprio come il titolo
(originale) suggerisce, si sposta dalle radici con due movimenti a
strappo, violenti e inesorabili come lo scorrere del tempo. Il passato si
allontana e si sgretola; le memorie sono oggetto di rimozione. La perdita delle
radici si accompagna alla rinuncia, inconsapevole, ai valori e alle emozioni,
all'autenticità delle cose e al loro significato. Alla vita stessa. Il film si
apre e si chiude (didascalicamente, ancora) sulle note di "Go west"
dei Pet Shop Boys, che rimane per Tao
memoria di giovinezza. Unica illusione di felicità?
C'è un pessimismo di fondo, nel cinema di Jia, verso il
progresso in quanto tale. Un pessimismo che trascende la Cina e la
contemporaneità, ed è in grado di tradursi immediatamente in metafora per
l'intera civiltà globalizzata: in chiave di lettura del progresso umano in
senso lato. Stiamo parlando di un autore orientale: il progresso e lo sviluppo
non posseggono i connotati teleologici delle "magnifiche sorti e
progressive" che hanno in Occidente. Nel cinema di Jia è evidente come il
progresso sia ontologicamente una tara della modernità - e come tale sia
vissuto sulla propria pelle dal popolo cinese. Su di una tradizione millenaria,
il progresso non attecchisce che distorcendola, snaturandola.
E' la peculiare declinazione nel contesto cinese della
proverbiale "mutazione antropologica" della modernità, che ha
sconvolto le nostre società dalla seconda metà del XX secolo. Oggi, in Cina,
può apparire neorealismo in ritardo di settant'anni: invece funziona come
monito e come riflessione su ciò che anche noi (i nostri nonni e genitori) abbiamo
attraversato. E non ricordiamo, oggi, o non abbiamo mai saputo, per quali vie e
percorsi, anche noi per quali sradicamenti, siamo giunti nel XXI secolo.
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