ancora un
film su Falcone e Borsellino, qui nel periodo della reclusione all'Asinara, dove hanno scritto
l'ordinanza per il maxiprocesso (qui, per i curiosi, si
può leggere tutta l'ordinanza, 8608 pagine e 40 volumi).
il film è sobrio, non gridato e non
retorico, merito di regista e sceneggiatore (Antonio Aleotti).
Borsellino e Falcone, con mogli e figli, fanno una
vita di attesa, in catene, aspettando.
rischiano di essere come Sisifo, vincono le
prove come Ercole, e riescono a tornare a casa, come dei novelli Ulisse (il battello alla fine sembra una nave mitica).
e tuttavia il film riesce ad essere corale, mogli, figli,
guardie, tutti hanno una parte importante nel film, non sono personaggi di contorno.
il film merita di essere visto, per ricordare che siamo un popolo maledetto che ha bisogno di eroi, e per ricordarci degli eroi.
una cosa si poteva fare, alla fine, quando alla fine si ricordano alcuni fatti e date storiche, praticamente nei titoli di coda, non costava niente ricordare che con i due magistrati sono morte donne e uomini delle scorte, pazienza, lo si ricorda qua.
al cinema per pochi giorni, contribuite a far vincere la scommessa di un film piccolo piccolo, che esce a fine stagione, in una ventina di sale.
buona visione - Ismaele
… La regia di Fiorella Infascelli riesce
a non essere televisiva in un prodotto che, visto il grande pubblico a cui si
rivolge, non nascondiamoci dietro a un dito, rischiava di esserlo. Fiorella
Infascelli non è mai banale, se vogliamo classica, ma sempre personale e
omogenea nell’uso della macchina da presa e nello sguardo “del cinema”
applicato sui due magistrati e sui loro cari. In particolare si fanno
apprezzare due passaggi stilistici: le ricorrenti sovraesposizioni della
fotografia, in bilico tra le bruciature di una vecchia polaroid e l’abbaglio di
un’esplosione (palese richiama al tritolo); i piani sequenza dedicati alle
scene in cui i due magistrati sono soli, faccia a faccia, aperti ad un dialogo
schietto che si trasforma in confessione. Una scelta, quest’ultima,
assolutamente sensata se consideriamo i due interpreti principali: Massimo
Popolizio e Beppe Fiorello. Bravissimi, precisi e naturali, la mdp si limita a
seguirli, lasciando che emerga tutta la loro presenza scenica da attori
navigati.
Concludendo, due parole
sullo “stagionale” titolo scelto. Così preciso e così vago, così lucente e così
straniante. Era d’estate. La morte aleggia già da tempo sui due magistrati.
Come anche ci ha ricordato il bel film di Pif, la mafia
uccide solo d’estate. Ma quell’estate lì, del 1985, vinceva ancora la
vita. E la Memoria di Falcone e Borsellino vive anche grazie a bei film come
questo.
…Fiorella Infascelli racconta due morituri la cui
consapevolezza di andare incontro ad un destino già deciso era totale, ma
insufficiente a farli desistere dalla ricerca di giustizia e verità. In
quest'ottica Falcone e Borsellino sono due eroi classici, dunque spesso la
televisione, meno spesso il cinema, hanno attinto a queste due figure
donchisciottesche. Ma Infascelli preferisce illuminarne la dimensione umana
affiancando loro le famiglie e quei figli che non potevano non risentire
dell'incombenza della morte sulle teste dei loro padri. In un racconto che è
crepuscolare nonostante la luminosità quasi accecante Infascelli ripercorre i
giorni, sette anni prima delle stragi di Capaci e via d'Amelio, in cui i due
giudici si sono ritrovati a condividere la quotidianità, i pasti, i bagni in
mare, come amici di infanzia invece che come colleghi di lavoro…
… Il suo non è un ritratto biografico, ma uno spaccato
intimista di quei giorni di vacanza forzata trascorsi tra la paura, la tensione, le belle giornate e le famiglie dei
due magistrati. La regista impegna tutto il film nel ricordo: quando vediamo
muoversi Falcone e Borsellino, (interpretati rispettivamente da Giuseppe Fiorello e Massimo Popolizio), parlare, litigare e
scherzare, subito immaginiamo i loro volti, colti in quelle stesse situazioni.
Infascelli riesce nel difficile compito di non scendere nella retorica: la
narrazione procede attraverso le parole dei protagonisti e non viene dato per
scontato l’alta riconoscibilità dei personaggi tratteggiati…
… è un film che narra instancabilmente senza catalizzare
l’attenzione dello spettatore; un prodotto con qualche pregio (il gioco delle
parti dei due attori, per esempio), ma privo di un obiettivo ben preciso. Una
pellicola innocua che al cinema faticherà a farsi ricordare, mentre in
televisione avrebbe trovato più spazio e un maggior numero di estimatori.
… Poiché anche Rai Cinema ha preso parte alla produzione
del film, perlomeno ci si aspettava la trita retorica propria dei suoi
sceneggiati: ma si arriva quasi a rimpiangere questa caratteristica, dopo due
ore basate – letteralmente – sul nulla. Anche l’ordinarietà può risultare degna
di interesse, cinematograficamente parlando, se la si racconta nella giusta
maniera: purtroppo non è il caso di Era d’estate,
resoconto monocorde la cui esistenza sembra giustificata solo dalla brama di
spremere fino all’ultimo le gocce dell’eredità di Falcone e Borsellino.
L’episodio dell’Asinara, per quanto sia avvenuto a causa di una minaccia reale
e spaventosa, non conteneva i presupposti necessari per essere spalmato su un
intero film; forse avrebbe funzionato meglio se incastonato all’interno di un ritratto
più eterogeneo della vita dei giudici…
da qui
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lo stesso titolo del film ha una bella canzone di Sergio Endrigo:
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