sabato 31 ottobre 2015

Birth - Io sono Sean - Jonathan Glazer

film apparentemente folle, un ragazzino di 10 anni che afferma di essere il marito defunto di Anna (Nicole Kidman).
alcuni indizi la fanno vacillare, e quel ragazzino diventa una presenza fastidiosa per tutti, meno che per lei.
le cose non sono come credi siano, tutti pensano a un imbroglio, a qualche trucco, nessuno capisce perché, Anna pena di intuire qualcosa, sapere e capire è troppo.
non trascuratelo, se vi capita a portata di mano, non è perfetto, anzi, ma ha un suo fascino - Ismaele




"Birth" is a dark, brooding film, with lots of kettledrums and ominous violins in Alexandre Desplat's score. Harris Savides' cinematography avoids surprises and gimmicks and uses the same kind of level gaze that Sean employs. Echoes of "Rosemary's Baby" are inevitable, given the similarity of the apartment locations and Kidman's haircut, so similar to Mia Farrow's. But "Birth" is less sensational and more ominous, and also more intriguing because instead of going for quick thrills, it explores what might really happen if a 10-year-old turned up and said what Sean says. Because it is about adults who act like adults, who are skeptical and wary, it's all the creepier, especially since Cameron Bright is so effective as the uninflected and non-cute Sean. Like M. Night Shyamalan's best work, "Birth" works less with action than with implication.

Assolutamente stupefacente per la prima ora, sciaguratamente didascalico negli ultimi quaranta minuti. Jonathan Glazer indovina la distanza dalla materia rappresentata girando con uno stile di scarnificata, disossata eleganza. Sospesi piani sequenza, impietrite figure intere, ostinati e sgretolanti primi piani scandiscono una vicenda in cui la tensione è una creazione puramente mentale. Ovvio che agli spettatori in cerca di "altri" sensazionalismi tutto ciò sembrerà fastidiosamente - e soprattutto inspiegabilmente - inconcludente. I minuti scivolano con angosciosa improduttività sulla levigata e compressa inquietudine della famiglia iperborghese di Anna (Kidman, prodigiosa), prima scalfita e poi disintegrata dall'ossessionante tenacia di Sean (un credibilissimo Cameron Bright). Fin qui una pellicola dislocante, trattenuta, raffinatissima…

parlare di tensione morale per paccottiglia come questa mi pare esagerato...l'idea di base è ridicola(penso che se uno viene a dirti che è la reincarnazione di un tuo caro morto non viene accolto come viene accolto nel film ma gli vengono sparate subito due bombe in faccia),l'unico che si comporta normalmente è il fidanzato di lei(si parteggia per lui quando insegue il sedicente reincarnato per picchiarlo per poi quasi vomitare quando lo sculaccia)e il sottofondo torbido che si vuole inserire(la storia adulterina di sean)accentua solo la sensazione d'amaro in bocca.....l'uso insistito di primi piani secondo me serve per mascherare la pochezza di fondo...

Dopo la festa di fidanzamento di Anna, arriva nella sua casa un ragazzino che sostiene di essere Sean, il marito morto dieci anni prima. Nonostante il rifiuto di tutta la famiglia, la donna inizia a credere nel bambino, convinta dai ricordi del nuovo Sean e dalla speranza di ricreare l'antico rapporto, mai dimenticato.
Nonostante la confezione raffinata di Glazer e l'interesse che il film suscita nella prima mezzora, Birth delude per la sceneggiatura superficiale e prevedibile, e, spiace dirlo, per la stucchevole espressività di Nicole Kidman che, dalla Macchia Umana in poi, sembra aver perso l'intuito nella scelta dei copioni.

…I film con un forte concetto metafisico sono sempre molto rischiosi, poiché la possibilità di confezionare una sorta di incudine, seppur ben decorato, che grava sullo spettatore è molto forte. Purtroppo, soprattutto per noi, Glazer si è dimostrato un fabbro sopraffino e non certo nel legarci alla poltrona con le sue catene narrative, quanto nel creare degli insostenibili ceppi narrativi che hanno reso questa pellicola, afflitta anche da una fotografia con sottoesposizione cronica irreversibile, un vero martirio

Birth (scritto dal regista con Jean Claude Carrière – già co-sceneggiatore di Buñuel – e Milo Addica) è un film imperfetto, con una conclusione non del tutto convincente, ma con una sfoggio di grandi interpreti e visivamente caratterizzato da preziose atmosfere, elementi più che sufficienti a renderlo un’opera non liquidabile con un semplice fischio.

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