mercoledì 7 ottobre 2015

La Nostra Quarantena - Peter Marcias

un film imperfetto, bella la parte quasi documentaria sulla vita della e nella nave marocchina, ormeggiata al porto di Cagliari, da quando i componenti dell'equipaggio hanno preteso di avere uno stipendio per il lavoro svolto; ma l'armatore (qualcuno lo chiamerebbe squalo, in realtà sono gli squali che fuggono velocissimi appena sentono la parola armatore, e quello in special modo)  pur di non pagare ha preferito lasciare la nave al porto, con l'equipaggio ostaggio.
i marinai aspettano un giudizio dell'arbitrato giudicante, e passa il tempo e quasi diventano cagliaritani.
intanto si crea una piccola rete di solidarietà di esseri umani verso altri esseri umani.
il film poi arranca sulla storia parallela di un giovane studente, della sua ragazza, e della professoressa universitaria.
il film merita molto per la vicenda dei marinai, meno per il resto.
se arriva vicino a voi, andateci, merita comunque la visione - Ismaele

 

 


La demarcazione tra realtà e ricreazione della stessa, più volte superata dallo stesso Marcias – come dalla maggior parte dei registi che in questi anni si stanno confrontando con la messa in scena – è minata fin dai primi istanti ne La nostra quarantena, con le immagini della visita di Papa Francesco a Cagliari. L’intera città saluta festante l’arrivo del vescovo di Roma, tra canti sacri e striscioni ironici (“Papa checco, sali per un caffè?”); a pochi chilometri da lì, al molo, si consuma una protesta nel più assoluto silenzio. Tra sporche immagini riprese dal vero, interviste ai protagonisti della vicenda, incursioni più standardizzate nella finzione (i segmenti con Francesca Neri in scena sono i meno convincenti, per scrittura eccessivamente didascalica ed eccessiva pulizia dell’inquadratura) e vincoli che legano in maniera stretta i due approcci, magari attraverso l’utilizzo di un supporto come il super-8, che proprio a Pesaro ha vissuto una sua revanche cinefila, La nostra quarantena stratifica l’immaginario, mescolando le istanze, in una verifica (incerta) di ciò che significa oggi filmare.
Non sempre Marcias sembra cogliere fino in fondo le potenzialità della creatura a cui ha dato vita, ma anche quando il film sembra più traballante a risollevarlo è un’autenticità fuori discussione. La vita che respira ne La nostra quarantena è quella di uomini in difesa perpetua della propria dignità di lavoratori. Basterebbe questo a giustificare l’esistenza di un’opera come quella di Marcias, ma a ciò si aggiunge una dispersione dello sguardo, nella ricerca fallace/impossibile/dolorosa/dolce di Salvatore, che coglie spesso il centro del bersaglio.
Un film sulla confusione (di stili, di scelte, di idee), ma mai confuso. In attesa di capire tutti, davvero, come fanno i marinai…

…Marcias declina, e non è la prima volta che lo fa, verso una descrizione cruda, poetica, filosofica, sociale, di un microcosmo le cui fondamenta tremano o sono già crollate. Un'analisi non banale, taciturna e perplessa su chi sembra vivere "agli estremi" della società, suo malgrado. La nostra quarantena, insomma, è un film "pubblico" e dal notevole potenziale artistico, in cui la composizione molto pulita delle inquadrature rivela aspetti rivelanti della realtà odierna, che ha perduto totalmente il suo senso sociale e cerca un'altra armonia, magari nella libera espressione del lavoro di un comune cittadino del mondo. Tanti gli stimoli che produce e le domande che nascono dalla visione. Come rispondere alla crisi? Dobbiamo adattarci? Dobbiamo affrontare le ingiustizie con la protesta? Dove nasce la sicurezza esistenziale? Ma anche come comunicare questo malessere? Come intraprendere un cammino di felicità? Riflessioni alle quali lo stesso Marcias sembra non poter e non voler dare una risposta. Lo spettatore dovrà trovarla da sé…

La “finzione”, che con impronta quanto mai realistica si interseca naturalmente con le vicende dei marinai, ruota intorno all’impegno di uno studente universitario, un intenso e convincente Moisè Curia: da Roma il giovane viene inviato dalla sua docente, Francesca Neri, a documentare la vicenda in vista di un possibile studio accademico. A Cagliari il protagonista finirà con l’immedesimarsi con i marinai, ritrovando nelle loro pene, smarrimenti, nell’incertezza per il futuro, elementi propri del nucleo fondamentale del vissuto personale, tanto simile a larghe fasce dei giovani del nostro tempo. La crisi derivante rimane irrisolta, o meglio, pronta ad aprirsi a varie soluzioni, ma la scoperta fondamentale per il giovane risulta essere la forza dirompente della solidarietà, cementata dalle risorse insite negli affetti.
Questi contenuti, offerti al pubblico attraverso una richiesta implicita di co-involgimento intenso nella visione del film, sono resi nel migliore dei modi possibile, anche considerando il badget molto esiguo, ed esaltano, oltre la bravura del regista, un formidabile affiatamento emotivo e professionale dell’intera troupe.

gli autori hanno la brillante “trovata” di appiccicare una storia collaterale, lo studente di sociologia e la sua docente, che nulla aggiunge rendendo invece piuttosto indigeribile il mix “d'autore”: lo studente guarda pensieroso fuori dalla finestra - musica inquietante. Lo studente percorre pensieroso in bicicletta strade notturne - musica inquietante. Lo studente pensieroso va in metropolitana - musica inquietante. Lo studente pensieroso si arma di cinepresa Super8 anni '80 muta (sì, non stiamo scherzando!) per girare il suo reportage… E quando alla fine lo studente pensieroso si addormenta sulla spiaggia (quasi in contemporanea ai malcapitati spettatori) e viene risvegliato da due giovani suore inutilmente ilari, allora ci cadono davvero le braccia…

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