Thierry cerca un lavoro, il business della formazione lo sfrutta per fare corsi, mica per trovargli un lavoro, ciascuno è solo, i sindacati non contano niente, i risparmi finiscono, accetta allora di fare la guardia in una specie di palestra di una specie campo di concentramento (dove non muore nessuno, ma non sempre, musica di fondo e luci rendono tutto cool), l'ipermercato, dove l'essere umano vale meno di niente, valgono i clienti (paganti), il resto sono niente, o possibili criminali, secondo il codice della proprietà.
Thierry parla poco, vede tutto, è rassegnato, dovrà scegliere, ma non è vinto, quando è troppo è troppo, domani si vedrà.
un film non urlato, fatto di sguardi, di resistenza all'omologazione verso la schiavitù (moderna per carità) e al potere delle merci su tutto, sula delazione, controllo, sorveglianza, punizione.
la realtà è anche peggio (leggi qui, per esempio).
Vincent Lindon ha meritato il premio di Cannes, è davvero bravo (come sempre),
il film non è adatto per chi pensa che il nostro sia il migliore dei mondi possibili - Ismaele
Thierry parla poco, vede tutto, è rassegnato, dovrà scegliere, ma non è vinto, quando è troppo è troppo, domani si vedrà.
un film non urlato, fatto di sguardi, di resistenza all'omologazione verso la schiavitù (moderna per carità) e al potere delle merci su tutto, sula delazione, controllo, sorveglianza, punizione.
la realtà è anche peggio (leggi qui, per esempio).
Vincent Lindon ha meritato il premio di Cannes, è davvero bravo (come sempre),
il film non è adatto per chi pensa che il nostro sia il migliore dei mondi possibili - Ismaele
… Brizé si prende
il tempo necessario per creare i giusti presupposti di un finale coerente, in
linea con quanto mostrato fino a quel momento della vita di Thierry, uomo
giusto ma mai accondiscendente, marito premuroso e tenero padre, disposto
sempre a rimettersi in gioco pur di garantire lo stretto necessario alla
propria famiglia: mai una scena madre, o cadute nel patetico, il film sceglie
una linea di condotta austera ma non per questo insincera. E la mantiene anche
nel momento cruciale, quando Thierry è costretto, suo malgrado, a smascherare
prima qualche taccheggiatore occasionale, poi alcuni colleghi del supermercato
dediti a lucrare sulle fidelity card o a nascondere qualche buono sconto.
Gente disperata, forse più di lui: e quando “la legge del
mercato” viene messa di fronte alla “misura di un uomo” (splendida
contrapposizione a cui fa riferimento anche il doppio titolo del film) bisogna
per forza di cose prendere una decisione. Soccombere e disumanizzarsi, o
smettere la divisa di un sistema che non accettiamo più. Chapeau.
…Anche se il regista Stéphane Brizé non ne possiede la forza formale, per la coerenza e la verità della messa in scena si pensa al cinema dei fratelli Dardenne; e nei panni di Thierry, un formidabile Vincent Lindon, premiato per l’interpretazione a Cannes, filtra il messaggio attraverso uno sguardo in cui si legge il dolente dilemma di un essere umano consapevole di trovarsi, non si sa per quanto, dalla parte sbagliata della barricata.
da qui
…Emblematico il titolo del film nella distribuzione in lingua
anglofona ("The Measure Of A Man") che ci pone, in chiusura,
un'ineludibile domanda: qual è il valore di un uomo? Quello calcolato sulla
base dei protocolli sociali o quello che richiama a una situazione autentica,
di comprensione dell'altro?
Questo il quesito a cui "La legge del mercato" tenta di (non) rispondere, puntando tutte le sue forze sull'(in)espressività di Vincent Lindon (unico attore professionista all'interno del cast), che si porta a casa con grande merito il premio alla migliore interpretazione maschile al festival di Cannes. A lui, in costante dialogo con l'istanza narrante della macchina da presa, è affidata pressoché tutta la scena, essenzialissima e privata di qualsiasi manierismo o slancio estetico.
Il film rimane su un costante livello di apatia ed è caratterizzato da una certa ripetitività narrativa delle sequenze, ma ciò non fa che evidenziare maggiormente lo stato interiore dell'uomo contemporaneo…
Questo il quesito a cui "La legge del mercato" tenta di (non) rispondere, puntando tutte le sue forze sull'(in)espressività di Vincent Lindon (unico attore professionista all'interno del cast), che si porta a casa con grande merito il premio alla migliore interpretazione maschile al festival di Cannes. A lui, in costante dialogo con l'istanza narrante della macchina da presa, è affidata pressoché tutta la scena, essenzialissima e privata di qualsiasi manierismo o slancio estetico.
Il film rimane su un costante livello di apatia ed è caratterizzato da una certa ripetitività narrativa delle sequenze, ma ciò non fa che evidenziare maggiormente lo stato interiore dell'uomo contemporaneo…
…il suicidio sul luogo di lavoro sembra essere l’unico
esito possibile ai meccanismi di negazione ed erosione della soggettività che
in tempi di crisi vengono perpetrati in misura sempre maggiore in fabbrica, in
azienda, a scuola e in tutti gli altri ambiti lavorativi. Sintomatico e
purtroppo assai realistico è il discorso del manager delle Risorse Umane che
nel finale cerca di convincere i dipendenti del gruppo del fatto che la colpa
di un gesto estremo non è loro, che di fronte alla decisione di farla finita
non si può dimostrare che un licenziamento pesi più di avere un figlio che si
droga.
Brizé condensa in modo a tratti
brutalmente disadorno questi elementi prelevati dalle cronache quotidiane degli
ultimi anni – e già oggetto in Francia di un’ampia letteratura saggistica e
narrativa – e li accentua con uno stile semi-documentaristico in cui il
protagonista è filmato sempre da vicino ma la camera a mano si muove di
continuo facendolo entrare e uscire dal campo in cui viene contrapposto,
praticamente in ogni sequenza, ad altri personaggi da cui dipenderà il suo
destino. Inoltre, la scelta di affiancare a Lindon un gruppo di interpreti in
larga parte non professionisti, ai quali l’attore si amalgama bene, intende
aggiungere un grado ulteriore di autenticità che il doppiaggio italiano rischia
di smorzare…
… Brizé sceglie frammenti di vita e chiede
allo spettatore di guardare, di sommare; non usa alcun artificio per
emozionare, ma provoca a poco a poco un disagio profondo: la storia di Thierry
è una Passione contemporanea che riguarda molti. Sullo schermo è resa evidente
la perversione della legge del mercato che fa scatenare la guerra tra poveri;
ma è anche evidente che gli strumenti collettivi di risposta non sono più
efficaci, perché il lavoratore è logorato dalle attese, dagli insuccessi: “non
ho più energie, voglio solo voltare pagina” dice Thierry. Lavoro e affetti
entrano silenziosamente in conflitto: coraggio è la sopportazione per garantire
la propria famiglia, qui resa ancor più emergente dalla presenza di un figlio
disabile, o coraggio è dire no a un sistema affermando di non volerne far
parte, di non voler essere l’aguzzino prezzolato dei propri compagni di
sventura?...
… Non
si può peraltro parlare de La legge del mercato, senza parlare del coinvolgimento di un grande attore come
il francese Vincent Lindon. Qui lo vediamo interpretare un uomo sulla
cinquantina, scaricato dall’azienda per cui aveva lavorato 25 anni a causa dei
brutali meccanismi della delocalizzazione, ritratto fin dalle primissime scene
mentre è alle prese con la disoccupazione, con “stage” e lavoretti temporanei
per niente risolutivi, con sussidi insufficienti, con l’aumentare continuo
delle spese cui è soggetto il suo piccolo nucleo famigliare, con le critiche
dei vecchi compagni del sindacato che lo avrebbero voluto ancora al loro
fianco, nella difficile causa intentata all’azienda rea di aver licenziato lui
ed altri.
Quest’ultimo elemento è importante, per capire bene il clima di disillusione e di avvilente “monadizzazione” della classe salariata, che Stéphane Brizé ha saputo introdurre così bene nel racconto…
Quest’ultimo elemento è importante, per capire bene il clima di disillusione e di avvilente “monadizzazione” della classe salariata, che Stéphane Brizé ha saputo introdurre così bene nel racconto…
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