mercoledì 11 novembre 2015

Mustang - Deniz Gamze Ergüven

un'opera prima semplice di una regista turca, senza le complicazioni di sceneggiatura che a volte rendono il film troppo da interpretare.
qui no, è tutto chiaro, lo capisce anche un ragazzino, scusate, una ragazzina.
è un mondo così strano, moderno e antico, quello di un villaggio sul Mar Nero, ma non troppo diverso dal nostro 60-70 fa, i giovani non lo sanno, chi ha sentito di qualche storia familiare anche tragica, una vita spezzata, capisce che è quasi cronaca.
Lale è straordinaria, fortissima, una Lale l'abbiamo incontrata, la incontriamo e la incontreremo anche noi, nella vita, bisogna saperla riconoscere.
le cinque ragazzine sono una forza che l'ambiente maschilista e tradizionale non può sopportare, sono la vita, la sorpresa, la gioia, troppo per quel mondo chiuso, e le sbarre lo faranno capire a tutti e tutte.
diventeranno come uccelli in cattività, accettano la perdita della libertà, Lale no, è una potenza della natura, e riesce a fuggire, con la sorella, e non puoi non commuoverti, se non ti succede vai da qualche specialista, non perdere tempo.
e il ragazzo che le aiuta è uno davvero in gamba, non lo sa mica, solo fa la cosa giusta.
come fai a non volere bene a questi prigionieri di un mondo che dev'essere liberato?
se Elsa Morante l'avesse visto avrebbe scritto una recensione dal titolo "Il mondo salvato dalle ragazzine", lo so.
vuoiti bene, vai a vederlo, sarà una bellissima sorpresa - Ismaele


ps: so che fra i venticinque lettori di questo blog ci sono alcuni insegnanti, sappiamo che se ha un senso portare i ragazzini al cinema e se un film merita di essere visto in sala, se uno solo dovesse essere visto in quest'anno scolastico, ecco, questo film è Mustang.






il punto di vista che viene assunto sin dalla prima inquadratura è quello di Lale, la più piccola, la quale vede nelle sorelle e in ciò che debbono subire il suo futuro in anticipo e decide di non volervi sottostare. In questo nucleo familiare decentrato (Istanbul resta la meta lontana che si vorrebbe raggiungere) si trova rappresentata la società turca più arretrata che trova nella nonna e nello zio i suoi più emblematici esponenti. Se lo zio-padrone è dispotico ed arrogante, degno prodotto di una cultura maschilista che affonda le proprie radici in un passato ancestrale, la nonna ne subisce le reprimende e si trova ad agire su entrambi i fronti: quello della repressione così come quello del sostegno più o meno indiretto. 
Le ragazze, la cui differente psicologia è descritta con grande sensibilità, fanno parte (o vorrebbero farne parte) di quel futuro che nella grande città è già presente ma dinanzi al quale altrove si ergono i muri delle nozze combinate e della pretesa della verginità femminile. Uno dei maggiori pregi del film è costituito dal mancato rifugio nel manicheismo. La regista e la co-sceneggiatrice Alice Winocour non denunciano a priori l'altro sesso perché trovano nel giovane che aiuta Lale la speranza di un diverso futuro per il rapporto tra maschi e femmine. Con in più un'importante annotazione: quell'abbraccio iniziale di Lale all'insegnante che sta per lasciarla ci ricorda quanta importanza possa avere il ruolo di un docente nella formazione di un carattere. In qualsiasi società, non solo in quella turca.

La regista racconta, con grazia e sensibilità, una storia di straordinario realismo il cui dramma monta, in crescendo, come un’onda che travolge le scelte di ogni personaggio. La Ergüven traccia il ritratto di una società ancora sotto il giogo di tradizioni antiche che sviliscono la figura femminile e fanno del sopruso e della minaccia le armi subdole attraverso le quali sottomettere la donna. Con sguardo partecipe, ma senza mai cedere alla commozione ricattatoria, segue le sue piccole eroine (tutte meravigliosamente in parte) nel percorso, difficile e pericoloso, delle loro vite imbrigliate rivelando, nella regia, una precisa idea di cinema, una qualità della visione che denota personalità e talento.
Nella tenacia di queste creature “selvagge”, i cui capelli sciolti evocano le criniere lucide dei cavalli di razza, la regista di Ankara simboleggia la forza dell’indipendenza, l’anelito degli oppressi ad una libertà meritata e giusta, seppur strappata a forza dalle viscere familiari o da un inconfessabile orrore domestico. Tutti i “no” della piccola e indomabile Lale coprono, come un’eco, la distanza della fuga che, inevitabilmente, separerà le ragazze ma, nel contempo, le riuniscono – su un finale onesto e affatto consolatorio – nel momento cristallizzato del ricordo di un’imperitura sorellanza.

A destacar, además, la excelente mano de su joven directora, Denis Gamze Ergüven, que plasma con elegancia el equilibrio entre la dureza y la energía liberadora que transmite, aunque esta sea a menudo canalizada de una forma más o menos irónica como una fuerte denuncia ante la universalidad de la vejación. Manifiesto de alguien que tiene muy claro qué es lo que quiere contar porque probablemente lo haya vivido. En la distancia, más allá de los barrotes de la prisión familiar, la multicultural Estambul, la tierra prometida de la libertad a la que una vez más se accede después de atravesar el desierto. Atreverse a dejar a tras lo obvio, las comodidades de una vida de cautiverio o correr hacia un incierto futuro en una libertad que puede dar miedo. Ese es el dilema que corren las protagonistas y, junto a ellas, millones de mujeres que sufren en la sombra un patriarcado machista y opresor.

...Rimane, fortunatamente, il ritratto di un’adolescenza deturpata ma conscia del proprio significato e pronta a lottare per ottenere ciò che è giusto. La riottosità delle cinque ragazzine (tutte perfettamente a proprio agio di fronte alla macchina da presa) sgorga con una naturalezza insospettata, e illumina lo schermo di una forza che a volte la regia della Ergüven sopprime involontariamente con una regia troppo pulita e aggraziata. I nomi di Güneş Şensoy, Doğa Doğuşlu, Elit İşcan, Tuğba Sunguroğlu e İlayda Akdoğan meritano di essere appuntati: per loro l’adolescenza è già assai meno tarpata di quella dei personaggi che interpretano. Il futuro potrebbe essere radioso.
da qui                                                                     

quella di Lale è la descrizione di un processo di autoconsapevolezza, un diario senza diario di una bambina che prende le misure del mondo adulto per elaborare una risposta acuta, un piano di fuga come fosse la protagonista di un film carcerario (fuggire da Alcatraz ad esempio) o l’eroina di una fiaba (con tanto di aiutante magico). E per far questo sposta il suo occhio vivace sulle sorelle, mettendole al centro del suo racconto, una dopo l’altra, espediente narrativo che permette alla regista di avvicinarsi (con lo spettatore) alle protagoniste, senza sfilacciare la vicenda narrata…


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