non è un film facile, due storie sono sovrapposte, un monologo eccezionale, sincero, doloroso, vero, e una storia sul tempo che passa, protagonista una grandissima Krystyna Janda (la giornalista de "L'uomo di marmo", del 1977)
c'è un film nel film, ma poi la finzione confonde, resta "Tatarak".
merita, merita - Ismaele
…Torniamo a "Tatarak", come è arrivato a concepire un progetto che tocca temi tanto intimi e universali in modo così diretto e persino spiazzante?
Dopo Katyn, avevo bisogno di liberarmi della tensione che quel lavoro, che affrontava la storia di mia madre e della morte di mio padre, aveva creato in me. Così ho deciso di rivolgermi a uno scrittore che avevo già incontrato tre volte in passato. Questa novella, "Tatarak", mi aveva sempre interessato, ma la consideravo troppo breve per farne un film. Però stavolta ho deciso di provare e ho coinvolto Krystyna Janda, offrendole il ruolo di Marta.
Poi che cosa è accaduto?
Il marito di Krystyna, Edward Klosinski, si è ammalato. Sapevamo che la sua malattia era mortale e abbiamo interrotto il lavoro. Invece alla fine lei è tornata e ha deciso di continuare. Dopo poco mi ha dato qualche foglietto da leggere. Ho fatto cinquanta film e credevo di aver vissuto qualsiasi possibile situazione tra un regista e un attore, ma questo non me l'aspettavo. Aveva descritto la malattia del marito e ora era disposta a raccontarla davanti alla macchina da presa. La storia di "Tatarak" aveva fatto nascere in lei la convinzione di poter condividere quel dolore e trovare pace. Credo che abbia contato molto il fatto che ci conosciamo da 34 anni e abbiamo lavorato spesso insieme. C'è tra noi un rapporto di fiducia che ha permesso tutto questo.
Il monologo di Krystyna è girato nella camera d'albergo, con una macchina fissa, con l'intenzione dichiarata di ricreare le immagini e le suggestioni di Edward Hopper.
Hopper è un pittore che conosco bene e che ammiro molto perché sa mostrare la solitudine nella grande città e soprattutto la solitudine delle donne. Avevo in testa i suoi quadri degli anni '30, immagini forti ed espressive. La macchina doveva essere ferma e discreta, come se fosse lì per caso. Le parole dovevano prendere il sopravvento: si vedono tanti volti in tv volti di politici, di artisti, di passanti - che non vogliono dire più nulla.
Il film, attraverso il racconto di Iwaszkiewicz, sfiora anche il tema dell'imprevedibilità della morte.
Hrabal, uno scrittore che ha molto lavorato su questo tema, raccontava che la morte avrebbe bussato alla sua porta ma, vedendolo occupato a scrivere, avrebbe deciso di ripassare più tardi. Io faccio come lui. Ecco perché giro un film dopo l'altro…
Dopo Katyn, avevo bisogno di liberarmi della tensione che quel lavoro, che affrontava la storia di mia madre e della morte di mio padre, aveva creato in me. Così ho deciso di rivolgermi a uno scrittore che avevo già incontrato tre volte in passato. Questa novella, "Tatarak", mi aveva sempre interessato, ma la consideravo troppo breve per farne un film. Però stavolta ho deciso di provare e ho coinvolto Krystyna Janda, offrendole il ruolo di Marta.
Poi che cosa è accaduto?
Il marito di Krystyna, Edward Klosinski, si è ammalato. Sapevamo che la sua malattia era mortale e abbiamo interrotto il lavoro. Invece alla fine lei è tornata e ha deciso di continuare. Dopo poco mi ha dato qualche foglietto da leggere. Ho fatto cinquanta film e credevo di aver vissuto qualsiasi possibile situazione tra un regista e un attore, ma questo non me l'aspettavo. Aveva descritto la malattia del marito e ora era disposta a raccontarla davanti alla macchina da presa. La storia di "Tatarak" aveva fatto nascere in lei la convinzione di poter condividere quel dolore e trovare pace. Credo che abbia contato molto il fatto che ci conosciamo da 34 anni e abbiamo lavorato spesso insieme. C'è tra noi un rapporto di fiducia che ha permesso tutto questo.
Il monologo di Krystyna è girato nella camera d'albergo, con una macchina fissa, con l'intenzione dichiarata di ricreare le immagini e le suggestioni di Edward Hopper.
Hopper è un pittore che conosco bene e che ammiro molto perché sa mostrare la solitudine nella grande città e soprattutto la solitudine delle donne. Avevo in testa i suoi quadri degli anni '30, immagini forti ed espressive. La macchina doveva essere ferma e discreta, come se fosse lì per caso. Le parole dovevano prendere il sopravvento: si vedono tanti volti in tv volti di politici, di artisti, di passanti - che non vogliono dire più nulla.
Il film, attraverso il racconto di Iwaszkiewicz, sfiora anche il tema dell'imprevedibilità della morte.
Hrabal, uno scrittore che ha molto lavorato su questo tema, raccontava che la morte avrebbe bussato alla sua porta ma, vedendolo occupato a scrivere, avrebbe deciso di ripassare più tardi. Io faccio come lui. Ecco perché giro un film dopo l'altro…
…Tatarak è quindi sospeso tra finzione e vita reale. C’è un momento del film in cui c’è una spaccatura tra ciò che è dentro il set e ciò che fuori. La Janda, dopo la scena dell’annegamento, scappa sotto la pioggia e va a fare l’autostop. La parte più narrativa, tratta da un racconto di Jaroslaw Iwaszkewicz, disperde progressivamente i suoi residui letterari e diventa puro cinema en-plein air, evidente nella scena della festa in cui Marta e Bogus si conoscono e soprattutto in quella del fiume, in cui ci sono gli echi del cinema più libero e intimista del cineasta e degli squarci che possono far tornare in mente le impercettibili e temporanee vibrazioni del Jean Renoir di Une partie de campagne soprattutto per come Tatarak possa essere anche una sorta di ‘film d’acqua’. Al tempo stesso però il film possiede anche una vitale energia evidente soprattutto nei momenti in cui Bogus sta nuotando e nella scena dell’annegamento. La parte in cui la Janda è sola nella stanza e ricorda il marito ha quella fissità quasi da ‘kammerspiel’ dove però l’attrice mette a nudo se stessa e il proprio dolore. Si tratta di momenti privati di assoluta intimità, di una ricerca del tempo perduto da recuperare per poter essere in qualche modo rivissuto. Quando lei racconta che ha tenuto il numero di cellulare del marito e lo chiama ancora per poter sentire la sua voce, mette in gioco un serie di emozioni inarrestabili e materializza un amore che ha qualcosa di eterno. Vissuto, rivissuto, da rivivere.
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