In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla
multinazionale americana Netflix e uscita ieri. Eravamo curiosi di osservare
come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e la nostra
lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in questo caso,
è solo un pretesto narrativo per introdurre la storia dei reparti celere
protagonisti.
È significativo, tuttavia, che la lotta No Tav venga mostrata in modo
macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica
che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le
violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come
se il peso reale della repressione fosse bilanciato. In realtà, il divario è
ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito
in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i
nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra.
Quello che la serie mette in scena non è uno scontro realistico, ma una
sorta di battaglia epica, che ricorda le lotte tra antichi romani e popolazioni
barbariche, in cui solo l’inganno consente ai “barbari” di colpire un valoroso
centurione.
La narrazione non appare squilibrata solo nella rappresentazione della
violenza, ma anche nell’attribuzione delle sue origini. Si tenta di far credere
al vasto pubblico globale di Netflix che le violenze perpetrate dalle forze
dell’ordine in Val Susa – e altrove – siano una reazione inevitabile,
giustificata dalla tensione generata dai manifestanti. Questi vengono
rappresentati attraverso la solita retorica manichea, che li divide in
“pensionati buoni” e “zecche pericolose”, oppure riducendo ogni abuso a episodi
isolati causati dal singolo elemento irruento: la stanca e falsa narrazione
della “mela marcia” che nega, di fatto, la verità incontrovertibile per cui è
il sistema ad essere violento, imponendo con la forza ciò che viene rifiutato
da più di 30 anni in questa valle. E quindi nessun riferimento, ovviamente,
alle ragioni della protesta, alle origini di una contrarietà ragionata e
diffusa nella nostra valle, alla devastazione che quotidianamente osserviamo,
ai nostri boschi distrutti, alle colate di cemento, all’inquinamento, ai rischi
per la nostra salute.
Poiché noi la realtà la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, sappiamo che quello che accade in Valsusa non è un film e infatti conosciamo il prezzo per difendere il nostro territorio dalla devastazione. Siamo di fronte ad un crimine ambientale che all’oggi non vede punire i colpevoli, anche se sappiamo bene chi sono. Cosa che invece sta accadendo è che alcuni di noi sono accusati del reato di associazione a delinquere e dai vari ministeri e da Telt ci viene richiesto un rimborso pluri-milionario per difendere quei cantieri che la nostra valle non ha mai richiesto. La realtà è qui, tra le persone che vivono queste montagne. In questo documentario di cui vi alleghiamo il link , Archiviato (regia di Carlo Amblino, con voce narrante di Elio Germano) sono elencati una piccola parte degli abusi che abbiamo subito in questi anni. La nostra Resistenza ci porterà alla vittoria e questo è quanto basta.
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