tratto da un romanzo di Russell Banks (I tradimenti), il film è una confessione di Leonard Fife (Richard Gere), allapresenza della moglie (Uma Thurman), davanti alla macchina da presa, in un documentario di due ex allievi.
Fife, stimato e acclamato regista, sente il bisogno, in punto di morte, di fare i conti con se stesso e di dare l'interpretazione autentica della sua vita, delle sue fughe, della sua vigliaccheria, della sua ansia di lebertà e di sopravvivenza, in Canada, per evitare di farsi distruggere dalla guera del Vietnam.
lo vediamo da giovane (interpretato da Jacob Elordi) indeciso, insicuro, in fuga dalle proprie responsabilità, abbandonare la moglie e il figlio, che trent'anni dopo dirà, con una faccia tosta degna di migliori cause, di non conoscere.
la sua storia va avanti e indietro, e, come nel film di Pedro Almodovar (qui), la Morte è una protagonista, silenziosa e implacabile.
non c'è molto da ridere, nella storia di un moribondo, malato e confuso, che cerca di raccontare, come può, le sue verità.
inquietante, alla fine, la mini telecamera per spioni.
buona (confusa) visione - Ismaele
…Schrader fa un’operazione che ha, quasi, il
sapore di un saluto con un film dentro il film e tutto ciò che ne deriva. Anche
perché tutto inizia proprio con la preparazione della location e della videocamera
che andrà a immortalare l’ultima intervista del regista. Tutto in
maniera pulita, con ogni gesto accompagnato dalla musica e dai titoli di testa
fino al primo potente primo piano del protagonista, come a volerlo incorniciare
al centro della scena, a prescindere da tutto e da tutti. È di lui che si
parlerà, è lui che parlerà, è lui che sarà il filo conduttore della narrazione,
sia essa a colori o in bianco e nero. È lui che dovrà mettersi a nudo davanti
allo schermo, raccontando e raccontandosi.
Se anche Leonard, come tanti
personaggi del regista sceneggiatore, nasconde malessere e contraddizioni, il
suo corrispettivo diventa il film stesso, Oh, Canada, che
gli permette di dimostrare, ancora una volta, come il cinema sia in realtà uno
strumento ambiguo, soggettivo e spesso privo di una verità assoluta e
universale.
…Oh Canada offre una complessa tessitura di elementi narrativi, tra
cui la voce narrante di Leonard anziano, il racconto del figlio adulto Cornel,
e una vasta gamma di fonti visive, ciascuna presentata con una distintiva
esecuzione formale. Schrader compone i ricordi in filmati widescreen in bianco
e nero, alcune scene del presente in formato academy e episodi del passato in
un formato 2:35:1 a colori.
Il modo in cui tali sequenze vengono presentate non segue tuttavia una
logica formale rigorosa, a differenza della precedente trilogia composta da
First Reformed, Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere, creando in
tal modo un'accattivante ambiguità nell'uso di flashback oggettivi, narrazioni
alterate e impianti estetici.
Dove risiede la verità? Ma soprattutto, è possibile trovarla? Esiste
davvero? L'impossibilità di giungere a una soluzione emerge come il nodo
cruciale del film. Fife, richiamando la psicoanalisi freudiana, suggerisce che
la verità si svela attraverso l'interazione con l'altro, piuttosto che tramite
una mera affermazione. Il senso stesso della vita è generato dall'ascolto della
parola e nello sguardo dell'altro.
In questo contesto, l'altro non è soltanto la moglie di Fife, né il
personaggio di Malcolm, ma anche il dispositivo di ripresa che filtra la
confessione di Fife, costruita su un groviglio di immagini e ricordi che,
talvolta, si muovono fluidamente, altre volte, grazie a ingegnosi espedienti di
montaggio, generano fratture nel racconto. In entrambi i casi, lo spettatore
diviene un testimone di questo profondo scavo interiore, che procede con un
ritmo che riflette la mente del protagonista, oscillando tra attimi di
apparente lucidità e momenti di intensa confusione, un viaggio nella memoria
disturbato dalla malattia, dai farmaci e dai vuoti.
Il film si configura, principalmente, come uno dei saggi sul dispositivo
cinematografico più belli e commoventi degli ultimi anni: esplora la sua forza
affabulatoria e ingannatrice, la sua persuasività e la sua capacità di generare
immaginari (la mente di Fife, legandosi alle varie traduzioni visive del
dispositivo, ne produce diversi)…
…Questa volta però, a differenza di capolavori della
prim'ora come Taxi Driver e Toro scatenato (dei quali Schrader ha firmato la sceneggiatura) o
della sua seconda primavera, come Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere (di cui ha curato anche la regia), Tradimenti è confuso e poco a fuoco: il che ha anche un senso
drammaturgico, considerato che il suo protagonista è imbottito di
antidolorifici che ne alterano il discernimento e racconta la sua vita
mescolando fatti e invenzioni. Ma per lo spettatore è difficile venire a capo
di una storia che sembra raccontata frettolosamente, dimenticando per strada
elementi importanti che probabilmente erano più comprensibili nel romanzo di
Banks.
Il che avrebbe ancora una volta un senso rispetto alla vita
di Schrader, che negli ultimi anni ha sofferto di una grave malattia
respiratoria, ha attraversato un episodio pesante di Covid e visto la sua
consorte affrontare l'Alzheimer. Si ha dunque la sensazione che lo
sceneggiatore-regista abbia confezionato Tradimenti con la paura di non riuscire a completarlo in tempo, e
il risultato finale purtroppo ne soffre. Ci sono molte invenzioni narrative,
come il passaggio dal bianco e nero al colore (tendenza frequente nel cinema
contemporaneo), il cambio di quattro formati diversi e la scelta di far
interpretare Leonard a due attori fisicamente molto dissimili come Jacob Elordi
e Richard Gere (inserendo anche in alcune scene del passato un Richard Gere in
versione 50enne), o di far incarnare due ruoli, che forse sono in realtà uno
solo, alla stessa attrice (Uma Thurman): una struttura drammaturgica che
ricorda Io non sono qui di Todd Haynes. Ma l'esito è eccessivamente straniante, al di là
dell'intenzione di riprodurre nello spettatore lo smarrimento in cui vive il
protagonista…
… Oh
Canada – I Tradimenti è un
grandissimo film, l’ennesimo, firmato da Paul Schrader, tratto dal (quasi)
omonimo libro di Russell Banks, a cui viene dedicato. Un film carico di
ritorni, dal biopic per il regista (memorabile il suo Mishima) alla direzione di Richard Gere ben
oltre quarant’anni dopo American Gigolo.
Un film che riflette sulla potenza delle immagini e della loro reale finzione,
di come tutto possa essere veicolato e reso immortale, creando un universo
dentro un universo. Un gioco di macro e micro cosmi dentro ai quali si generano
domande e ricerche.
Intenso e commovente, bellissimo
fino all’ultimo secondo, Paul Schrader ci accompagna in un viaggio che sembra
quasi coincidere con il più classico dei film testamento, dove si guarda
indietro per mettere un punto definitivo sul presente. Il passato diventa quindi
strumento per conciliarsi con sé stessi, per levarsi qualche sassolino dalle
scarpe e lavarsi quindi la coscienza dai peccati commessi. Un viaggio verso la
redenzione prima del trapasso, mostrato dai repentini cambi d’attore nella
stessa sequenza, espediente registico tanto perfetto quanto straniante…
…Da calvinista e da
regista, Schrader non può credere all’autorità e al potere espiativo del
“sacramento” della confessione. Sa che tra le pagine dei racconti e i quaderni
dei diari, l’inchiostro scolora e bisogna far i conti con le omissioni e i
fraintendimenti. Per questo nella versione di Fife, tra la nebbia dei ricordi,
della malattia e dei farmaci, le traiettorie della storia si confondono. Il
percorso diventa un labirinto di frammenti esplosi nell’avanti e indietro nel
tempo, che faticano a ricomporsi in un’unità coerente. Le cose si ripetono, i
volti si duplicano (perché Emma e Gloria hanno lo stesso volto di Uma Thurman?
È un cortocircuito della memoria di un vecchio malato o una connessione
tracciata nelle interpretazioni dei segni?). I riflessi deformano la realtà,
aprono altre dimensioni dello spazio-tempo. Come in quella straordinaria scena
in cui, nel bel mezzo di un flashback, il giovane Jacob Elordi cede il posto
all’anziano Richard Gere, ma continua ad apparire nello specchio alle spalle
del personaggio. L’occhio inganna e quello che sembra un dato acquisito lascia
il posto al dubbio. Il viaggio a Cuba, la diserzione… altro momento
fondamentale è quello della visita di leva, che sembra omaggiare Un mercoledì da leoni di Milius.
Ma soprattutto Oh, Canada. I tradimenti è un film in cui la
teoria alimenta, in ogni istante, la vita della materia. In cui la fede nelle
immagini non è qualcosa che ha fare con la loro evidenza, con la loro capacità
di restituire corpi, volti, gesti, azioni, dettagli. Né con il funzionamento
della macchina. Il dispositivo resta un’illusione e neanche la microcamera
nascosta, quella mosca sul muro con cui Malcolm crede di poter catturare
l’istante finale, può cogliere il dettaglio essenziale. Quelle labbra che si
muovono e che pronunciano le parole segrete. No, la fede nelle immagini è
qualcosa che ha a che fare con l’empatia, come Schrader ha tenuto più volte a ricordarci. È questione di umanità, di
sensibilità, di intuizione. E, proprio per questo, Oh, Canada. I tradimenti è un film impietoso e
tenerissimo sulla vecchiaia, la morte temuta e vista, sullo spettro della
malattia. Sui pentimenti e sugli errori fatti, seppur necessari. Sul bisogno
d’amore e l’insopprimibile richiamo della libertà.
…Purtroppo però Oh, Canada zoppica e convince davvero poco, e si
rivela ahimè forse il primo film davvero deludente del grande regista e
sceneggiatore Schrader.
Non lo aiuta granché né un Richard Gere che,
seppur fisicamente coerente col ruolo del dolente e malato protagonista, si
contraddistingue per una performance completamente inerte, apatica, risultando
la sua prova davvero poco espressiva e convincente. Non molto diversa la resa
dello spilungone Jacob Elordi,
divetto in crescita che già fisicamente non convince come un giovane Gere, e che continua a non brillare come attore,
nonostante il richiamo che lo annovera tra i divi nascenti più promettenti.
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