prima Jackie Kennedy (e Onassis), poi Diana Spencer, adesso Maria Callas (e Onassis), vite complicate e tormentate.
Maria è morta giovane, e già era una leggenda, Pablo Larraín la segue negli ultimi anni della vita, quando viveva a Parigi, con i fidi Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e Bruna (Alba Rohrwacher), più che perfetti, come sempre.
la vera sorpresa è Angelina Jolie, che interpreta una tormentata e addolorata Maria Callas al meglio, Pablo Larraín non sbaglia.
Ferruccio e Bruna assecondano i capricci di Maria, sono fedeli e affidabili.
appare anche Onassis, marito-padrone di Maria Callas.
un'altra protagonista della storia, che non appare tra gli interpreti, è la Morte, che apre e chiude il film.
commovente l'uscita di scena dei due "servitori" di Maria.
la sceneggiatura è di Steven Knight, bravo come sempre (sue sono le sceneggiature di Piccoli affari sporchi, di Stephen Frears, di Locke, di cui è anche regista, e di Spencer, regia di Pablo Larraín).
un film che non convince tutti, ma non importa, è sempre un gran film, da non perdere.
buona (sofferta) visione - Ismaele
…La cura delle immagini (rigorosamente girate in pellicola) è
la prima cosa che salta all’occhio durante la visione di questo preziosissimo e
raffinato Maria. I primi piani sul volto della cantante
(ulteriormente valorizzati dall’ottima performance di un’Angelina Jolie in
stato di grazia), le numerose dissolvenze, le strade di Parigi a volte troppo
assolate per poter mantenere una necessaria lucidità e teatri vuoti in cui
potersi esercitare, in compagnia di un pianista, al fine di ritrovare la voce
perduta rendono alla perfezione ciò che è (stata) la vita della Divina. Le
immortali musiche dei grandi maestri hanno fatto il resto, contribuendo a
rendere questo ultimo lungometraggio di Larraín uno dei prodotti più
soddisfacenti di questi primi giorni di festival. Un film imponente, maestoso,
che altro non può fare che lasciarci a bocca aperta davanti allo schermo
cinematografico. Ma, d’altronde, potrebbe mai un film su Maria Callas essere
altrimenti?
…A interpretare Maria, il regista
ha voluto Angelina Jolie. Una dei personaggi pubblici più facilmente accostabili
al concetto di Diva, l’attrice studia, imita, ripete, si cala completamente nel
ruolo e riesce a portare sullo schermo uno strano ibrido in cui Angelina non
scompare mai dietro alla maschera di Maria e allo stesso tempo Callas fa
continuamente capolino attraverso gesti e tono di voce di Jolie.
Un’interpretazione importante nella carriera dell’attrice che però deve per
forza scendere a patti con la sua riconoscibilità: da una parte quindi lo
spettatore è restio ad accettare che proprio quella lì debba essere Maria
Callas, dall’altra offre il dono prezioso, nei biopic, di aggirare la mera imitazione e
di dare spazio all’interpretazione. Dopotutto se avessimo voluto vedere la vera
Callas, avremmo guardato un documentario! Per quanto riguarda i primi piani in
playback, è un dazio da pagare per un biopic sulla voce più grande di sempre.
Larraìn è il “solito” direttore d’orchestra impeccabile,
conduce le danze con la solita grazia, scompare dietro ai suoi protagonisti
quando è il momento di ascoltarli ma prende le redini del racconto non appena
il racconto si sposta sulle immagini, i paesaggi, la Parigi degli anni ’70, ma
anche i ricordi in bianco e nero di Maria, che ripercorre a poco a poco la sua
vita, sempre a testa alta, con eleganza e quella consapevolezza che fanno di
lei un personaggio moderno e trascinante.
Era complicato raccontare la divinità di Maria
Callas, Pablo Larraìn ne ha offerto una
versione moderna, elegante, convincente, un altro gioiello nella sua splendente
filmografia.
...Larrain prende molto sul serio il melodramma in tutte le sue convenzioni e eccessi e se ne serve come utensile per la sua messinscena. Sarà anche per questo, per l’eccesso melodrammatico, per il furore immaginifico, per il turgore registico, che il film non è piaciuto, salvo qualche rara eccezione, ai giovani critici, lontani per formazione e sensibilità da quell’estetica. Da quella lingua. Cinema vecchio, dal sentore di muffa, ho sentito dire in giro, magari dagli stessi che l’altro ieri avevano urlato al quasi-capolavoro, sempre qui a Venezia, per quello che forse è il più brutto Larrain di sempre, Ema. Brutto però furbescamente giovanottesco. Mentre qui, confermandosi cineasta tra i più dotati in circolazione e tra i più eclettici (e colti), in grado com’è di svariare tra plurimi registri espressivi, si cimenta, riuscendoci, nel film-opera trasformando quello che poteva essere un anodino biopic nella suprema performance callasiana. Con sequenze di cinema puro che non si dimenticano, cori operistici (dalla Butterfly, dal Trovatore) che prendono corpo e si materializzano per le strade e le piazze di Parigi proiettando verso il fuori il teatro mentale che occupa e devasta la testa di Maria. Impressionanti la perizia tecnica e la precisione delle ricostruzioni dei filmati d’epoca (ambienti, costumi, scenografie, grana della pellicola, posture della Callas). Ci si commuove e, in una delle scene più belle e certo la più straziante, l’incontro con la sorella (una Valeria Golino mai così brava), si piange. Angelina Jolie? Si fatica all’inizio a sovrapporla all’immagine che abbiamo sempre avuto della Callas, ma la sua dedizione alla causa del film e al personaggio alla fine prevale su ogni perplessità. Grande prova. Peccato che Maria sia parlato – per evidenti ragioni di produzione e distribuzione – sempre e solo in inglese, una miscela linguistica di inglese, italiano, francese, greco sarebbe stata di sicuro più adeguata.
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