il giardiniere Narvel si dedica alla vita delle piante, ha avuto una vita precedente che non si può dimenticare.
ha un rapporto complesso con la padrona dei giardini; arriva un giorno la nipote della padrona, Maya, Narvel deve istruirla su giardinaggio, ma le cose non sono troppo semplici.
i film di Paul Schrader sembrano lenti, all'inizio, in realtà è una preparazione e (ri)costruzione dei conflitti che non mancano di esplodere.
come tutti i film di Paul Schrader, anche The master gardener non delude, anzi...
buona (giardiniere) visione - Ismaele
Paul Schrader produce un’altra variazione sul
tema dell’uomo dall’oscuro passato, che si rifà una vita ma non riesce a
perdonarsi. Un modello di uomo (di recente Hawke e Isaacs, ora Edgerton) che
tende pericolosamente all’autodistruzione pur di infliggersi un “meritato”
Inferno sulla terra. Se regge l’idea che Master Gardener chiuda un’ideale
trilogia iniziata con First Reformed e proseguita con Card Counter, allora
regge l’idea che dopo la chiesa e il gioco di carte l’Inferno di questo terzo
capitolo sia l’orticoltura, pretesto narrativo per raccontare la dedizione del
protagonista a una causa circolare, un po’ vana, una maschera più che una
passione. Pretesto anche per intrattenere un rapporto quasi sadiano con la
“proprietaria terriera” Sigourney Weaver, che è suo superiore e che ne sfrutta
eroticamente il passato da killer neonazi come un grottesco parassita.
Come negli altri due film, anche qui un
personaggio giovane rompe la circolarità infernale del protagonista: la giovane
Maya, che vorrebbe cancellare i tatuaggi dal corpo di Edgerton ma poi ne
sfrutta la brutalità, in un vortice di incoerenza potenzialmente
autodistruttiva.
E intanto Schrader costruisce quasi un
neo-noir che assomiglia solo al suo cinema, che trasforma il cinema classico in
un rito quasi mistico, attraverso cui passano colpa e redenzione. Ma rispetto
ai film precedenti forse con più leggerezza, più risate (Weaver è diabolica
quanto esilarante), una speranza disperata finale (qui più quieta, più Card
Counter che non First Reformed) che fa un buco e straborda nel dramma quasi
romantico: se esiste il Male esiste anche l’Amore, forse.
… Ne Il
maestro giardiniere la tensione iniziale tra rimando hopperiano e
rimando caravaggesco illumina retrospettivamente il resto del film.
Riporto
le parole più rilevanti che Narvel pronuncia (e che si suppone corrispondano a
quelle scritte) in una stanza in cui l'unica fonte di luce è interna al quadro
ma impossibile - in entrambe le inquadrature in questione - da vedere
direttamente: banalmente, dalla nostra prospettiva il paralume della lampada
copre il bulbo.
"The
formal garden imposes geometric strictures on plants […].
Informal
gardens […] adhered to the shapes and contours of nature. A third type, the
wild garden, only appears to be wild. [...]
Gardening
is a belief in the future; a belief that things will happen according to plan,
that change will come in its due time".
"Il
giardino formale impone alle piante delle restrizioni geometriche [...].
I
giardini informali [...] si attengono alle forme e ai contorni della natura. Un
terzo tipo, il giardino selvaggio, è solo apparentemente selvaggio. [...]
Il
giardinaggio è una fede nel futuro; una fede che le cose accadranno secondo i
piani, che il cambiamento arriverà a tempo debito".
Questo
discorso solo apparentemente di natura tecnico-settoriale esprime, al di là
delle differenze (superficiali) tra le tipologie di giardino, un approccio di
tipo pienamente tecnico: ognuna di quelle relazioni è impositiva nel
proprio principio.
Il tempo
debito non è affatto cairologico: deriva da un calcolo dei tempi cronologici
delle piante e vi si adegua (adaequatio rei et intellectus); compreso
il passato e rinvenute delle leggi, presente e futuro non possono che
sottomettersi al dominio della logica e della causalità…
… Con Schrader il rigore formale procede sempre di pari
passo con quello etico, e infatti Master Gardener si distingue, soprattutto
nella prima parte, per una simmetria quasi kubrickiana delle inquadrature, che
accompagnano la fase del film in cui ci addentriamo nelle regole che
costituiscono il mondo di Narv. Quando quel mondo verrà stravolto, anche la macchina
da presa si farà più mobile, non forsennata, cosa che non rientrerebbe nello
stile di Schrader. Il suo sguardo diventa anche più lieve in questo caso, con
qualche concessione al visionario e all’onirico, con un minimo di CGI. Senza
anticipare nulla, possiamo dire che Schrader si concede qualche speranza in più
rispetto al passato e la colora con le tonalità vivaci dei fiori tanto amati da
Narv, forse in questo scadendo in un momento stucchevole che si poteva evitare.
Con i colori dei fiori torniamo a quella manipolazione della natura, di cui
dicevamo all’inizio. Nonostante la creazione arbitraria di un giardino
esteticamente raffinato rappresenti una violazione della natura e una
antropizzazione dell’ambiente, in questo caso però non avviene una distruzione
o sostituzione dell’ambiente naturale con quello artificiale, ma il nuovo
equilibrio viene semplicemente indirizzato e canalizzato dall’uomo, trovando
una sua ragione d’essere, esistenziale, metaforica, ma anche concreta. Così
anche trovano giustificazione le esistenze, rinnovate, della tenuta Gracewood,
di Narv e di Maya.
Con "Master Gardener" Paul Schrader firma un
grandissimo film sulla redenzione e il perdono, in cui il giardinaggio diventa
metafora di ordine, amore e cura in contrasto con un passato fatto di caos,
odio e distruzione. Il personaggio di Narvel Roth, portato in scena da un
bravissimo Joel Edgerton, è il simbolo del riscatto umano e spirituale di un
mostro diventato tale a causa di insegnamenti basati sul disprezzo e la cieca
estirpazione di innocenti considerati "erbacce", ma risorto grazie
all'impegno profuso nel padroneggiare un'arte che è tutto l'opposto, ovvero
dedizione maniacale e quasi genitoriale alle piante durante la loro crescita,
rigore geometrico e continuo studio infuso di passione e venerazione. La storia
d'amore che parte come un rapporto tra maestro e allieva e come occasione di
espiazione dei propri peccati diventa l'elemento salvifico (già visto in
"American Gigolò" dello stesso regista/sceneggiatore) che porterà
Narvel a perdonare sè stesso e ad aprirsi finalmente ad un futuro non più
interdetto dalle ombre del passato, in un finale di rara, struggente speranza.
Oltre a regia e sceneggiatura ottime, sono da sottolineare la bella fotografia
di Alexander Dynan e la validissima colonna sonora di Dev Hynes, oltre alle
prove recitative superlative del già citato Joel Edgerton, della grande
Sigourney Weaver e della giovane Quintessa Swindell.
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