giovedì 18 febbraio 2016

Khroustaliov, ma voiture! (Khrustalyov, mashinu!) - Aleksey German

uno di quei film che ti fanno rimanere a bocca aperta, per molti motivi.
si racconta una storia del periodo terribile delle deportazioni(per tacere del resto), in Unione Sovietica, attraverso la figura di Klenski, che nel 1953 perde i favori di Stalin.
Aleksey German (alla sceneggiatura c'è anche un certo Joseph Brodsky, premio Nobel qualche anno prima) è un fuoriclasse del cinema, per questa storia terribile sceglie un registro comico e ironico, è una delizia vedere questo film, e sai che lo rivedrai, è cinema di serie A - Ismaele

 

 

 

 

Un film pieno di vita, dispersivo forse, ma altamente affascinante, dove il freddo ed il gelo dei paesaggi innevati meravigliosamente resi dalla fotografia ammaliante di un bianco e nero potente e abbagliante, viene surriscaldato dalla vitalità delle scaramucce in famiglia, dagli istinti vitali di una umanità imprigionata e resa succube, ma ancora viva e vitale, per nulla vinta ed ancora in grado di farsi sentire.

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German si muove ancora una volta tra le pieghe della Storia ufficiale e del periodo staliniano trasformando gli eventi del tempo in una massa informe e misteriosa da indagare attraverso il proprio sublime apparato registico, caratterizzato da un'imprescindibile propensione verso il bianco e nero e da immagini di inebriante potenza. L'autore russo si trova ancora una volta alle prese con una vicenda dall'altissimo valore simbolico, civile e politico. La macchina da presa di German, mobile come sempre e assetata di dettagli sui quali far fluttuare il proprio sguardo, assorbe all'interno del proprio flusso ininterrotto i movimenti dei personaggi, i loro scambi di battute, oltre a un'infinità di elementi che si sovrappongono con una tale generosità che la percezione dello spettatore si trova costretta a uno sforzo ricettivo in più rispetto a qualunque altra visione (esattamente come accadrà nel successivo, altrettanto fluviale e ancora più immenso Hard to Be a God del 2013). Ma è una necessità che German sa bene come ripagare, dal momento che le sue pellicole possiedono sempre e comunque una dimensione onnicomprensiva in grado di trasformare un magma in apparenza informe in una densissima sinfonia che stimola i sensi di chi guarda, trovando l'armonia nel caos. Straordinarie gli scenari che ritraggono una Mosca innevata e sublime l'attenzione del regista a ogni particolare, anche il più millimetrico, della sua messa in scena, che non lascia davvero nulla di intentato e si cimenta nel catturare ogni barlume di squallore e di violenza, approdando e all'epica e alla meraviglia solo dopo aver attraversato la brutalità e l'abiezione. Il titolo fa riferimento all'ordine che Beria (capo della polizia segreta dell'Unione Sovietica) rivolge al suo autista dopo la morte di Stalin.

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Khrustalyov is some sort of exorcism. In the elegant party that the increasingly crazed and drunken Glinsky briefly attends, trying to glean some new information concerning his fate, German re-created aspects of the “palace atmosphere” he observed, as a child, at higher levels in Stalinist society. Among the members of the demented Glinsky household are a pair of little girls—Jewish cousins—who live, without permits, in the wardrobe. Their names, German explained, are those of his own nieces, and this incident, too, was part of his family history. “I don’t know if I’m a Russian or Jew,” the filmmaker added. “I always say I’m Jewish because of anti-Semitism. I don’t know anything about Jewish culture, but I know I keep expecting the worst, and that’s from my Jewish mother. She was preparing to die all her life, but she lived to the age of 91.”
Extravagant and unrelenting, Khrustalyov, My Car! has been described by one New York–based Russian critic as a Fellini film made from a Beckett script. Unlike any of German’s previous films in tone, Khrustalyov seems populated by a cast of grotesque, grimacing puppets. (The director expressed satisfaction that a mixed New York Times review that followed Khrustalyov’s festival screening at least called the movie a “Boschean vision of hell.”)…

da qui

 

…The provocative film plays out as an anti-socialist realism film from the Soviet period, and in spirit is a mind-boggling free-spirited Fellini film that effectively but weirdly catches how grotesque life was under Stalin.

da qui

 

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