uno di quei film che ti fanno rimanere a bocca aperta, per molti motivi.
si racconta una storia del periodo terribile delle deportazioni(per tacere del resto), in Unione Sovietica, attraverso la figura di Klenski, che nel 1953 perde i favori di Stalin.
Aleksey German (alla sceneggiatura c'è anche un certo Joseph Brodsky, premio Nobel qualche anno prima) è un fuoriclasse del cinema, per questa storia terribile sceglie un registro comico e ironico, è una delizia vedere questo film, e sai che lo rivedrai, è cinema di serie A - Ismaele
si racconta una storia del periodo terribile delle deportazioni(per tacere del resto), in Unione Sovietica, attraverso la figura di Klenski, che nel 1953 perde i favori di Stalin.
Aleksey German (alla sceneggiatura c'è anche un certo Joseph Brodsky, premio Nobel qualche anno prima) è un fuoriclasse del cinema, per questa storia terribile sceglie un registro comico e ironico, è una delizia vedere questo film, e sai che lo rivedrai, è cinema di serie A - Ismaele
…Un film pieno di vita, dispersivo forse, ma
altamente affascinante, dove il freddo ed il gelo dei paesaggi innevati
meravigliosamente resi dalla fotografia ammaliante di un bianco e nero potente
e abbagliante, viene surriscaldato dalla vitalità delle scaramucce in famiglia,
dagli istinti vitali di una umanità imprigionata e resa succube, ma ancora viva
e vitale, per nulla vinta ed ancora in grado di farsi sentire.
da qui
German si muove ancora una volta tra le pieghe della Storia ufficiale e
del periodo staliniano trasformando gli eventi del tempo in una massa informe e
misteriosa da indagare attraverso il proprio sublime apparato registico,
caratterizzato da un'imprescindibile propensione verso il bianco e nero e da
immagini di inebriante potenza. L'autore russo si trova ancora una volta alle
prese con una vicenda dall'altissimo valore simbolico, civile e politico. La
macchina da presa di German, mobile come sempre e assetata di dettagli sui
quali far fluttuare il proprio sguardo, assorbe all'interno del proprio flusso
ininterrotto i movimenti dei personaggi, i loro scambi di battute, oltre a
un'infinità di elementi che si sovrappongono con una tale generosità che la
percezione dello spettatore si trova costretta a uno sforzo ricettivo in più
rispetto a qualunque altra visione (esattamente come accadrà nel successivo,
altrettanto fluviale e ancora più immenso Hard
to Be a God del 2013). Ma è
una necessità che German sa bene come ripagare, dal momento che le sue
pellicole possiedono sempre e comunque una dimensione onnicomprensiva in grado
di trasformare un magma in apparenza informe in una densissima sinfonia che
stimola i sensi di chi guarda, trovando l'armonia nel caos. Straordinarie gli
scenari che ritraggono una Mosca innevata e sublime l'attenzione del regista a
ogni particolare, anche il più millimetrico, della sua messa in scena, che non
lascia davvero nulla di intentato e si cimenta nel catturare ogni barlume di
squallore e di violenza, approdando e all'epica e alla meraviglia solo dopo
aver attraversato la brutalità e l'abiezione. Il titolo fa riferimento
all'ordine che Beria (capo della polizia segreta dell'Unione Sovietica) rivolge
al suo autista dopo la morte di Stalin.
da qui
…Khrustalyov is some sort of exorcism. In
the elegant party that the increasingly crazed and drunken Glinsky briefly
attends, trying to glean some new information concerning his fate, German
re-created aspects of the “palace atmosphere” he observed, as a child, at higher
levels in Stalinist society. Among the members of the demented Glinsky
household are a pair of little girls—Jewish cousins—who live, without permits,
in the wardrobe. Their names, German explained, are those of his own nieces,
and this incident, too, was part of his family history. “I don’t know if I’m a
Russian or Jew,” the filmmaker added. “I always say I’m Jewish because of
anti-Semitism. I don’t know anything about Jewish culture, but I know I keep
expecting the worst, and that’s from my Jewish mother. She was preparing to die
all her life, but she lived to the age of 91.”
Extravagant and unrelenting, Khrustalyov, My Car! has been described by one New
York–based Russian critic as a Fellini film made from a Beckett script. Unlike
any of German’s previous films in tone, Khrustalyov seems populated by a cast of
grotesque, grimacing puppets. (The director expressed satisfaction that a mixed New York Times review that followed Khrustalyov’s festival
screening at least called the movie a “Boschean vision of hell.”)…
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