bella la fotografia (quando si
inizia con “bella la fotografia” non è un bel segnale).
un film di assenze, mogli, mariti e padri, e di dolore, nessuno ne è
esente, tutti soffrono,
ognuno a suo modo.
il problema del film, secondo me, è che è troppo politicamente corretto e
prevedibile, è più un documentario che un film, a differenza di “Io sono Li”, il
primo film di finzione del regista, che è un film vero.
merita comunque di esser visto, visto che tratta
argomenti che difficilmente arrivano in sala
ps: curiosa la coincidenza col film di
Giorgio Diritti “Un giorno devi andare”, anche lì erano trentini i
“benefattori” dei poveri del mondo - Ismaele
…Una delle peggiori delusioni di Venezia 70. Ci si aspettava
molto da Andrea Segre dopo la sorpresa del suo Io sono Li, uno dei
pochi nostri film recenti ad aver varcato i confini, fatto il giro dei festival
e ramazzato premi ovunque, compreso il Lux 2012 del parlamento europeo. Ma
questo La prima neve è
di un buonismo imbarazzante, come non usa più, una favola dolciastra e
fintissima, un apologo edificante quanto improbabile sull’arcadia (arcadia?)
della nuova Italia multikulti cui solo i duri di cuore e i reazionari
irriducibili si ostinerebbero a non credere…
… La prima neve somiglia
a quei vasetti di miele che il falegname Pietro e poi anche Dani confezionano
in serie, con un tasso zuccherino da coma diabetico. Il bello è che verrà preso
per un film di massimo impegno sociopolitico, per un esemplare e imperdibile
apologo sull’Italia multietnica e il buono della convivenza tra più culture. Se
ne scriverà e parlerà molto nei migliori salotti e tinelli ben orientati
ideologicamente, si scomoderanno ministri, ministresse e ministeri e si
apriranno dibattiti. Invece è solo un presepe di montagna con gli immigrati a
fare i nuovi re magi.
…Dani l'emarginazione ce l'ha dentro come il piccolo
Michele ed è data dal dolore profondissimo di una perdita, di un lutto che
sembra impossibile elaborare. Hanno a fianco persone che vorrebbero aiutarli
(l'anziano apicoltore per l'uno,la madre per l'altro) ma è come se avessero
eretto un muro a difesa della loro sofferenza. Il bosco finisce così per
diventare non il luogo fiabesco dove incontrare pericolosi lupi (qui semmai a
fare danni è un orso) ma lo spazio, tra luci ed ombre, dove trovare una
solitudine che può farsi cammino comune. "Le cose che hanno lo stesso
odore debbono stare insieme" dice il vecchio a proposito di legno e miele.
Dani e Michele sono impregnati dello stesso odore della deprivazione che li
porta a pensare di non essere più capaci di amare coloro che hanno invece più
bisogno di loro. Potrebbero avere entrambi bisogno di quella prima neve che
offra una nuova visione del mondo, esteriore ed interiore…
…Mosso da un umorismo che rende leggero lo svolgersi
della vicenda e da paure ancestrali come quelle legate a un orso che può
palesarsi dietro una porta da un momento all’altro, La prima neve regala sprazzi di poesia attraverso
immagini da cartolina che solo l’occhio attento di un esperto documentarista
come Segre riesce ad accogliere. Senza celare le drammatiche vicende che
sovente accompagnano le rotte di fortuna delle imbarcazioni che provengono da
oltre lo stretto di Sicilia, La
prima neve fornisce anche un
ottimo e ottimista esempio di integrazione multirazziale e multiculturale, che
passa per una società sulla carta tradizionalista e chiusa come quella
agricola, oltre ad avere il merito di portare sullo schermo due attori
(Jean-Christophe Folly e la rivelazione Matteo Marchel) capaci di muoversi in
uno spazio teatrale insolito che lascia interagire realtà e finzione, corpi e
anima, senza sembrare mai artefatto.
…Segre combina di nuovo la sua profonda vocazione
documentaristica con la finzione. Mostra padronanza nei mezzi d'espressione
cinematografici, ma l'effetto stavolta, rispetto al suo primo film, è meno
riuscito, sbilanciato. I personaggi sono poco incisivi e lo script non è
all'altezza della bellissima fotografia di Bigazzi e dei meravigliosi scorci
ambientali. Il regista insiste con improvvise panoramiche, riprese pure e
dettagliate pulite della natura alpina e prealpina, ma non sembra prestar la
stessa attenzione al lato "umano". In questo senso è un film
economicamente "sprecone", che non ha saputo sfruttare al meglio gli
elementi a disposizione. Molti binari morti o spunti poco utili, che non
vengono sviluppati e finiscono per appesantire il film. Fra i personaggi si
riscontra un'incuria simile. Come nel suo film precedente Segre sceglie pochi
personaggi, ciononostante alcuni di questi sono incompiuti o non
sviluppati. Lo zio Fabio (Giuseppe Battiston) ad esempio, come i compagni
di Michele, sono marginali non tanto nel minutaggio, quanto nella mancanza di
spessore, non rispondono alle aspettative, non si inseriscono fino in fondo
nella storia. Lo stesso Dani - meglio invece per Michele - non è abbastanza
caratterizzato e si fa fatica ad affezionarsi alla sua storia…
"Un giorno devi andare" l'ho apprezzato e già questo, nonostante le varie critiche (ma tengo in considerazione la tua, di segnalazione ;) mi sembra un buon motivo per gettare uno sguardo anche al film di Segre. Grazie!
RispondiEliminami è sembrato troppo "lineare", probabilmente questa è una sua caratteristica e così bisogna prenderlo.
Eliminaquando imparerà ad essere antipatico e scomodo, come lo è stato nei documentari, andrà meglio, secondo me.