E’ un film d’amore, e non solo, e anche un gran bel
film. La storia è divisa in due parti (1&2), la prima quella
dell’innamoramento e amore, la seconda quella della delusione e della realtà.
Adele è una ragazza curiosa della letteratura e della vita, Emma una ragazza
più grande, artista e oggetto della devozione di Adele. Quando tutto finisce fra
loro Adele non riesce a dimenticare, ancora il mondo non l’ha corrotta, Emma ha
progetti ambiziosi e archivia Adele.
Come nei film precedenti Abdellatif Kechiche è straordinario nel raccontare
i giovani (francesi), nell'età fra i 14 e i 18 anni, come pochi riescono, senza
usare trucchetti. I suoi giovano sono veri, e vivi.
La scena finale è come quella di “Tempi moderni”,
Adele cammina inquadrata di spalle, solo che Adele è sola e non c’è tanta
speranza come c’era per Charlie Chaplin e Paulette Goddard.
Il film ha avuto molte critiche a volta scandalizzate per il sesso che le
due ragazze non risparmiano davanti alla telecamera del regista, in realtà non
c’è assolutamente niente che dia fastidio, non c’è niente di sporco o morboso,
le tre ore della durata del film non pesano, non ci si annoia un minuto, tutto
il tempo è necessario per raccontare anche i dettagli.
Ps: c’è qualcosa che scandalizza, che una ragazza a 20-22 anni possa
diventare maestra, Adele è una maestra giovanissima, lo scandalo è che da noi
una giovane o lavora in un call center, semischiava, o non lavora, lo scandalo
è tutto nostro, bisogna ringraziare il film anche per questo, un giovane che lo
vede può capire anche che un lavoro da semischiavi non è l’unico possibile -
Ismaele
qui racconta
qualche retroscena del film il regista Abdellatif Kechiche
…Abdellatif Kechiche porta sullo schermo tre ore che diventano Attimo,
quell'attimo fugace e intenso che poche volte è possibile cogliere sullo
schermo, Léa Seydoux ed Adéle Exarchopoulos si buttano a capofitto nel
travolgente flusso narrativo, senza interpretare ma semplicemente
"vivendosi". Ed il resto è tutto sensazione, atmosfera, essenza…
…La vita di Adele è
un’opera d’arte totale. Kechiche guarda alla letteratura, alla pittura, alla
scultura, al cinema degli anni Venti. La scoperta dell’amore e del sesso per
Adele avvengono come per quella Marianne la cui vie viene
raccontata in un celebre romanzo di Marivaux. La fisicità delle due
protagoniste è limpida e delicata come quella di marmoree statue da museo
neoclassico, romantica e avvinghiata come quella posseduta dagli amanti di
Klimt, mai scomposta o diabolica come nelle folli rappresentazioni di Egon
Schiele. Ma c’è ampio spazio anche per citare e mostrare Lulu – Il vaso
di pandora (1929) di Pabst, che, non a caso, raccontava anch’esso di
una passione a dir poco tormentata.
Insomma, La vita di Adele è un grandissimo film, di quelli
che si fanno ancor più belli nella nostra mente nei giorni successivi alla
visione, che sa farsi ricordare per la completezza e la compiutezza resa on screen al sentimento amoroso. Raramente il
cinema si è avvicinato così tanto alla realtà.
…Inspiegabilmente, La vie d'Adèle è un film soffocante.
Nonostante la macchina da presa a mano, non fa filtrare neanche un po' d'aria.
E questo va bene nel finale di delusione, ma cosa c'entra con la prima parte,
la scoperta dell'amore? Sono squilibri che neanche la giovane attrice
protagonista, per quanto eccellente, può coprire. La prima parte del film è
uguale alla seconda – le risate si trasformano in pianti, le carezze in
schiaffi, ma La vie d'Adèle non cambia.
Questi i difetti. Non mi concentrerò sulla banalità dei dialoghi, che ho
trovato davvero mal scritti. Con una certa cattiveria, si potrebbe dire che
sono già sentiti, a rischio ovvietà, come il film stesso. Ma La vie d'Adèle,
progetto di un capolavoro, mi ha fatto pensare proprio a questo: che
sia la vita ad essere banale?
…Non ci si aspetti dunque spettacolarità, pruriginosi sguardi erotici
(poiché nella lunghissima scena di sesso esplicito viviamo la pulsione sessuale
e la vitalità della giovinezza, né visioni disperate né visioni idilliache e
stilizzate), noiosi dialoghi risaputi, ma Vita, speranze, pianti e carezze, che
procedono in una lunghezza assente che si fa 'passare del tempo', 'passare
degli anni', sempre come se 'il passato fosse morto da pochissimo tempo'. E'
così che Kechiche entra nella Vita come pochi avevano fatto, secondo un
progetto ambizioso che chiunque regista dovrebbe porsi, e che qui si realizza,
senza farci sentire onnipotenti perché conosciamo qualsiasi sfaccettature della
protagonista, ma facendoci sentire parte dell'umanità, paradossalmente meno
soli, facendoci tirare un sospiro di sollievo per la possibile solidarietà che
noi vediamo costruirsi da parte nostra nei confronti di una protagonista
dispersa…
… Non si tratta dunque di un film sul lesbismo e le sue
difficoltà, ma di un film sulla condizione umana nel secondo decennio del 2000,
nella società europea e nel suo ceto medio dominante, di un film che conferma
la bravura di un autore e ne mostra nel modo più pieno le aspirazioni e le
ossessioni e ne dimostra i grandissimi pregi, ma anche la fatica o il rifiuto
di sollevare il suo sguardo oltre ciò che appare. Ci sono dei modi possibili di
andare oltre, di mirare più in alto, di volare più alto? Ci sono, si tratta
solo di cercarli.
La fotografia pur
densa e amara del mondo così com’esso oggi è, non può più bastare, e si tratta
insomma di cercare i modi di guardare dietro, oltre, sopra. Il cinema e le
altre arti non riescono più a farlo, sono rarissimi gli autori che vi si
cimentano e che hanno la forza di dirci qualcosa di nuovo, che ci dia qualche
appiglio per uscire dalla melma di questo presente; ma se non fanno questo, che
fanno?
…Se c'è una forza nel cinema, è quello della persistenza delle immagini
nella nostra memoria. Di Adèle e di Emma, Kechiche ci racconta la tranche
de vie che li legherà per sempre nella pellicola del regista, così
come Emma ha immortalato sulle sue tele la giovinezza di Adèle. Nel cinema
contemporaneo è ormai raro che ci si ritrovi a chiedersi cosa succederà ai
protagonisti, in questo caso ad Adèle, dopo che avrà voltato l'angolo di quella
stradina; un po' come quando Antoine Doinel, alla fine de "I 400
colpi", ci guardava negli occhi, invocando anche il nostro intervento,
allora vorremmo raggiungere Adèle, abbracciarla, e poterle dire che per andare
avanti bisogna lasciarsi qualcosa alle spalle.
…Kechiche, come se
seguisse la lezione di Bourdieu, non ci fa vedere le differenze di classe come
se rimanessero sullo sfondo mentre l’individuo persiste nella sua unicità e nel
suo amore fuori dal tempo. Le differenze di classe si insinuano nel profondo dei
nostri atteggiamenti, sono iscritte nei nostri corpi, nei nostri desideri.
Adèle è esclusa dalle discussioni colte dall’ambiente artistico di Emma, mentre
il suo desiderio sarà solo quello – modesto agli occhi di Emma – di diventare
una maestra d’asilo. I mondi pian piano si separano perché l’amore è anche
fatto di queste cose, della contingenza crudele delle differenze sociali. E del
fatto che l’ideale sociale a cui la nostra classe ci dice di dover appartenere
a volte semplicemente non si accorda col nostro desiderio inconscio.
La grande lezione di
Adèle però rimane la fedeltà al proprio amore, struggente e bellissima che va
oltre a tutte queste separazioni. Perché la fedeltà all’amore non è la fedeltà
alla fusione dell’Uno, ma la fedeltà alla differenza apertasi per la prima
volta, dopo la quale il mondo non sarà mai più come prima. Imparare a vivere
dopo quella ferita, vuol dire semplicemente imparare a vivere. Senza mai
smettere di crederci. Seguendo sempre il proprio desiderio. I will
follow, come canta Adèle ballando malinconica sulle note di Lykke Li.
…Kéchiche – lo aveva dimostrato nei suoi film precedenti – ha il dono raro
di catturare la vita, di catturarne il respiro, il ritmo interno, l’essenza
quasi biologica, corporea, fisica, più che psicologica. Sono in molti ormai a
usare ossessivamente la macchina a mano, ma come lo fa lui ci riescono in
pochi, lui i suoi personaggi non solo li pedina con la cinepresa, ma li sfiora,
li tocca, li avvolge, li penetra. La carnalità, prime che nei letti
abbondantemente sfatti di Emma e Adèle, sta nella relazione che si stabilisce
tra la cinepresa di Kéchiche e i corpi che ritrae. Vero, come dicono molti suoi
critici, che non ha il dono dell’ellissi, che non sa tagliare, che è prolisso,
che non tralascia nessun dettaglio, che i suoi film sono sempre troppo lunghi.
Ma ci sta, è il prezzo da pagare se vuoi stare e vuoi situarti all’esatto
livello di ciò che mostri e racconti, e poi ogni autore ha la sua impronta,
Kéchiche è questo, e visto che ne escono quasi sempre cose mirabili non mi pare
il caso di lamentarsi…