sabato 8 dicembre 2012

Old Joy - Kelly Reichardt


avevo visto un altro film di Kelly Reichardt (qui), lo stile è lo stesso, c’è un cane in comune e un viaggio, qui di due amici dalla città verso la natura e ritorno.
se qualcuno aspetta una trama classica resterà deluso, qui c’è solo un dialogo continuo fra due amici, il viaggio e attesa.
non è entusiasmante, ma se si prova a immedesimarsi in Kurt o Mark allora si resta imprigionati nella storia.
non c’è una morale, ma forse la radio che vomita notizie dice che fuggire è impossibile - Ismaele



…Film minimalista che, da un lato, può apparire come un inno a prendere la vita con lentezza, assaporandone ogni attimo, cercando di uscire dalla frenesia che caratterizza la società contemporanea, e dall’altro, attraverso uno sguardo spesso sarcastico, sembra criticare l’inettitudine e l’immobilismo dei due protagonisti, incapaci ognuno a modo suo di trovare la chiave per illuminare di gioia la loro vita. Il viaggio, fatto di soste, inversioni di marcia, falò e bagno termale rigenerante, appare come l’ultima occasione per riappropriarsi di un rapporto partecipativo alla vita.
La pellicola, però, rimane troppo chiusa su se stessa per rimandare ad una rappresentazione sociale più ampia. Il fatto che il film si apra e si chiuda con le parole dei dibattiti politici, provenienti dalla radio dell’automobile di Mark, non basta per considerare raggiunto l’intento della regista americana quando questa dichiara di voler fare dell’amicizia tra i due uomoni “una metafora dell’autoindulgenza e dell’inconcludenza della sinistra”.

…Sorprende positivamente l’atmosfera intima che si genera a cospetto di un plot risicatissimo con solo due momenti in cui rivela allo spettatore il nucleo personale del film, ovvero i monologhi di Kurt in cui si intravede, anzi si intrasente, una leggera sofferenza che ha possibili scioglimenti, come la paura di perdere un amico prossimo a diventare padre, o lo scoramento nel vedere un uomo allacciato invisibilmente alla sua condizione di (quasi) papà, di marito, di cittadino, di americano (alla radio ascolta solo programmi che parlano di politica), insomma, un uomo che non è libero, e così gli occhi di Mark, durante il racconto di Kurt appoggiato a quella ringhiera che sembra una croce, si fanno brillanti, lucenti, svincolati dal peso della società...

The plotless lyrical film about a strained reunion between two old friends who have gone in different directions has very little dialogue and reverberates with a sense of nostalgia for a lost time, a lost friendship and a lost opportunity for this country to move in the direction of the counter-culture without being co-opted by the Establishment. The two friends are both good people, but both feel lost in an America that is also changing but not necessarily for the better. In the end, the film is like a haiku that one can only interpret through their own experience. It's an hermetic film that one can only enter if one has experienced similar things to the two elusive slacker-like characters that we know so little about yet probably know enough about them to say we do know them. But we can't even be sure if Kurt is gay or if Mark and he were once lovers. The only thing we can be sure of is that the journey is the most important thing and not the end, and that there's something special about this film for those who have been where these two have been (searching for a way to live that matters).

Regina del minimalismo indie, Kelly Reichardt confeziona un gioiellino. Pacifico, rappacificante, rinfrescante. Will Oldham, il barbuto protagonista, è un cantautore americano conosciuto anche come Bonnie "Billy" Prince e il film sembra aderire perfettamente al suo folk scarno e rugiadoso.

Pay no attention to the breathless copy on the back of the DVD case about the film being "more than a lo-fi indie riff on Brokeback Mountain" and "an elegy for the '70s American cinematic revolution." Shades of both Brokebackand character-driven '70s films are evident in Old Joy, but I'd argue it owes a far greater debt to the cinematic tone poems of Gus Van Sant and David Gordon Green than anything else; Reichardt seems intoxicated with the natural beauty of the Cascades (and rightly so), using the burbling streams and towering trees to underscore how much of life is focused on the self, rather than taking surroundings into account. Spartan at only 73 minutes, Old Joy feels more leisurely paced than it really is, keeping the narrative free from extraneous distraction and allowing the focus to remain on the rekindling of Kurt and Mark's friendship.
But just as easily as films like Old Joy can draw you in, they can be overpraised, hyped as a must-see and bit by bit, become worn down to something ordinary. So I'll simply say this: Old Joyis a minimalist masterwork, a beautiful, ambiguous film that works on you like a great piece of fiction (not coincidentally, Reichardt co-adapted the film's screenplay from Jon Raymond's short story) and stays with you long after the film's haunting final shot has faded from view.

Difficile de nier le fait qu'« Old joy » est un film profondément humaniste, dont le scénario, aussi fin soit-il, prend le temps d'instiller un certain malaise entre deux amis d'enfance dont les différences, renforcées par le passage du temps, provoquent nécessairement une incompréhension réciproque. L'opposition entre les deux modes de vie de ces personnages, l'un futur parent, l'autre éternel enfant, rend leurs tentatives de communion touchante. Car au fil du récit, ce voyage aux sources d'une amitié, ne fera que creuser le fossé qui les sépare en mettant à jour leurs différences.

Malheureusement, le rythme volontairement lent, flirtant avec le contemplatif, de la mise en scène, finit par se retourner contre les intentions même de la metteur en scène. Car celui-ci étouffe toute émotion, reléguant peu à peu les rapports à la nature et à des modes de vies proches de celle-ci, à de simples lubies, loin d'un monde adulte où les « vrais » problèmes se posent. Le film apparaît alors comme défaitiste, et profondément tourné vers un monde où chacun compliquerait volontairement les choses, laissant finalement naturellement derrière, ceux qui voudraient penser ou communiquer autrement.

2 commenti:

  1. La bontà di questo film risiede nella sua nazionalità secondo me, la Reichardt ci fa vedere un'America altra, maggiormente a misura d'uomo, dove i sentimenti, belli o brutti che siano, risultano più sinceri.

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  2. nella cinematografia di ogni paese, compreso il nostro, esistono film che sono fuori da mode e che non sono fatti solo per incassare.
    capitano film, e quelli di Kelly Reichardt sono fra questi, che stupisce abbiano un produttore (e meno male ne esistono)
    d'accordo con te che sono sinceri, senza trucchi

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