mercoledì 19 dicembre 2012

Moonrise Kingdom - Una fuga d’amore - Wes Anderson

Wes Anderson è uno a parte, quasi direi che fa sempre lo stesso film, con variazioni, slapstick, follie, a volte mi sembra che stia per scivolare verso la boiata pazzesca (anche "Ubriaco d'amore", di un altro Anderson, mi ha fatto lo stesso effetto), poi naturalmente Anderson (entrambi) riprendono le fila e la sinfonia è compiuta e ha un senso e anche è bella, ma qualche attimo di spavento te lo prendi - Ismaele




Moonrise kingdom è una via di mezzo tra una fiaba per ragazzi e un cartone animato vintage. È un mondo guardato dagli occhi di Suzy e Sam, anzi - per essere più precisi - attraverso il binocolo di Suzy e gli occhiali con la montatura scura di Sam. Un mondo amplificato, ipercolorato, surreale, magico, trasgressivamente innocente, pieno di scoperte e di avventure, in cui gli adulti appaiono buffi e insensati, a volte lontani e cinici, insomma il mondo in cui tutti noi bambini abbiamo vissuto, ma che forse abbiamo dimenticato, e che Anderson è bravissimo nell'aiutarci a ricordare…

Il film cattura lo sguardo dello spettatore fin dalle primissime meravigliose immagini, con il suo tripudio di colori anni '70 e i suoi carrelli. Poi è colpo di fulmine anche con i personaggi, tutti adorabilmente outsider: dai due piccoli protagonisti, un'imbronciata baby Lana del Rey e un orfanello nerd sapientello, il capo-scout imbranato, il marito stralunato e depresso, il polizietto un po' scemo…

...Ho terminato la visione - tra l'altro, priva del ritmo e del mordente che dovrebbe conquistare il pubblico in un film d'avventura e ricerca, pur se interiore - assolutamente determinato a dedicare al buon Wes tutte le bottigliate che meriterebbe, quasi soddisfatto all'idea di scrivere un post che potesse sfogare tutta la delusione rispetto alla meraviglia provata in passato per i già citati Tenenbaum o Steve Zissou - per non parlare dello spreco di Bill Murray in una parte che non gli si addice neppure da lontano -.
Poi ho fatto un respiro profondo e ho pensato ai due protagonisti, al loro rapporto con il mondo esterno, sentendomi come uno degli scout pronti a vessare il povero Sam con il loro fare da bulli, ed ho avuto come un'illuminazione: non avrei trattato la pellicola di Anderson come i suoi due piccoli eroi non avrebbero voluto essere trattati a loro volta…

Moonrise Kingdom, a dispetto del titolo ancor più altisonante delle sue grancasse, degli oboi e dei fiati arrangiati da un Purcell e sapientemente orchestrati da Alexandre Desplat, resta il tentativo volgarissimo e altrettanto volgarmente pacchiano di ricostruire un'epoca (per fortuna) tramontata e che nessuno, tranne i diretti interessati, vorrebbe per davvero né con nessun mezzo restaurare. E lo si fa nel modo più becero e laccato che un regista pur tecnicamente capace come Anderson riesce a concepire: immergendo il suo film in un ricettario take away ebbro di salse amarognole e carni bovine troppo cotte in alcuni tratti, crude in altri e lasciate marcire alle estremità; frullando ammennicoli d'antan con un pizzico di cattivo gusto e una sfarinata di kitsch per poverelli; mescolando in una teglia di prevedibilità e servendo infine in un tripudio rococò di piattini, tazzine e forchette intagliate, tra una saliera del Cellini e le chincaglierie arcimboldesche di una camera delle meraviglie asburgica. La pietanza sedurrà pure gli occhi, ma l'intingolo è talmente rozzo da appiccicarsi alla lingua e compromettere con inesorabile sventura i piaceri di una buona cucina. Si ingoia per educazione per la prima mezzora, quindi si corre al gabinetto... pardon, alla toilette, a rigettare quanto ormai lo stomaco (e il buonsenso) non riescono più a trattenere.

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