mercoledì 6 maggio 2020

Il seme della violenza - Richard Brooks

un professore, a New York, va a insegnare in una classe turbolenta.
deve trovare il modo di interessare quei ragazzoni a qualcosa.
una classe senza il metro di distanziamento sociale, senza stimoli per imparare, dove ci si guarda in faccia, senza didattica a distanza.
Glenn Ford e Sidney Poitier sono perfetti, e fanno del film un piccolo gioiellino.
vedere per credere - Ismaele


         


E' uno di quei film di una volta, con molta sostanza e zero effetti speciali (l'avessero fatto oggi chissà quanto sangue e scene di lotta...). Non perdetevelo!

Un film capostipite del genere, ma oltre che capostipote anche originale nel suo genere, senza dare stereotipi di cui i suoi "figli" hanno vissuto.
La generazione di cui parla era una realtà di quegli anni, il mondo nascente del rock, era il sintomo principale della generazione venuta dalla guerra ed il regista, forte di una sua scrittura ha saputo caratterizzare molto, mediando con personaggi di routin, che hanno aiutato a svolgere la storia con penetrazione. Vedendolo oggi, con il senno nostro, si giudica in maniera positiva, perchè distanti da quel momento storico, ci aiuta ad entrare dentro una situazione giovanile inadeguata, di cui ancora oggi ne abbiamo delle tracce che sono forse anche di più, il malessere giovanile c'è ancora oggi, anche se dovuto a ragioni diverse.

…Si tratta di un mondo dove i valori sono stati capovolti, come ben rappresentato dal ragazzo che esce a testa all’ingiù dall’edificio scolastico, e dove le famiglie e gli insegnanti hanno perso il controllo dei loro ragazzi. Il poliziotto che scorta Dadier in classe definisce questi nuovi giovani “i figli della guerra” – la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea -, che hanno avuto i padri al fronte e le madri costrette ad andare a lavorare. Sono i nuovi banditi, i nuovi ribelli al sistema americano, organizzati in bande giovanili: indossano giubbotti con delle nichilistiche X sulla schiena e con la bandiera dell’esercito confederato.
Per accompagnare lo spettatore in questo territorio minaccioso è stato scelto un personaggio-guida, un giovane insegnante illuminato di nome Dadier (interpretato da Glenn Ford, eroe solitario, solo apparentemente debole e dimesso, di famosi western e noir). Tocca a lui affrontare gli studenti, sin dall’inizio rappresentati come soggetti chiusi e inarrivabili con i quali è impossibile ogni comunicazione. Vedi gli armadietti serrati col lucchetto in fondo alle inquadrature in cui compaiono i ragazzi: un lucchetto aperto sarà tenuto tra le mani dall’insegnante il giorno in cui riuscirà a comunicare con il giovane Miller. Ed è proprio attraverso la trasformazione di Miller che il film suggerisce la missione compiuta da parte dell’insegnante (nella scena finale l’allievo indossa un serioso impermeabile al posto della classica t-shirt sbarazzina alla James Dean o alla Marlon Brando). Utilizzando un linguaggio che parli direttamente ai ragazzi risvegliandone la curiosità, Dadier lavora sulla provocazione. La sua rivoluzione consiste nel dare agli studenti la possibilità di esprimersi sui temi a loro più vicini, lasciando che si raccontino, attraverso il magnetofono, ai compagni in classe. Da una parte, infatti, l’insegnante lascia libero sfogo alle emozioni degli studenti (vedi la scena dell’analisi del cartoon in classe, che attribuisce un ruolo didattico strategico al linguaggio audiovisivo), dall’altra permette loro di diventare i protagonisti dell’attività scolastica (vedi la scena della recita dove i riflettori sono puntati sui ragazzi).

La parte migliore del film è lo sfondo, il materiale visivo ed umano su cui Brooks ha costruito la storia. Dopo cominceranno i fatti che costituiscono il vero plot narrativo: il tentativo di violenza ad una professoressa, Ford che prende a pugni uno studente, i due giovani professori che si sbronzano e pateticamente ascoltano il jazz («Perché non ci lasciano insegnare?» si domandano), poi le botte nel vicolo, ecc... Tutto il film diventa la storia del povero professor Glen Ford in lotta con l’ambiente e con se stesso (ha la possibilità di insegnare in una scuola ‘modello’) per la realizzazione dei propri principi morali…
A Ford che gli parla di galera Morrow risponde che è sempre meglio che andare nell’esercito a farsi ammazzare (Ford è un reduce di guerra e siamo subito dopo la Corea). Non è ancora politicizzata come rivolta, ma è comunque già rivolta, anche se ancora individuale/pragmatica, e si capisce che questi ragazzi saranno quel li che negli anni ‘60 bruceranno le cartoline precetto per il Vietnam.
In un’altra scena, forse la più simbolica del film, Morrow e gli altri distruggono l’intera col lezione di dischi jazz del professore di matematica. Non c’è nessuna memoria né storica né musicale in questa generazione. E davvero la prima generazione del rock’n’roll che non ha più alcun rispetto per la musica precedente, l’anno zero della nuova cultura giovanile.

Blackboard Jungle fut imité et lança une vogue de films sur la délinquance juvénile, de qualité inégale. Film franchement avant-gardiste, il semble toujours d’actualité aujourd’hui.

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