il film racconta di quel paese, senza servizi, senza futuro, in balia di una natura matrigna, di uno stato indifferente, di un signorotto che sembra di qualche secolo prima.
eppure il poeta del villaggio (un bravissimo Marcello Fonte), e tutti gli abitanti amano la loro terra e ci stanno attaccati come possono.
poi un'alluvione, una frana, nel 1951, li costringe a scendere a valle, lasciandosi un buio medioevo alle spalle, senza un posto dove poter morire.
(nello stesso anno è successo lo stesso, coincidenza, in un paese della Sardegna che si chiamava Gairo, una frana costrinse gli abitanti a lasciare il loro paese, abitato dalla notte dei tempi, e a scendere a valle).
vedendo il film ti affezioni agli abitanti di Africo, ai bambini, e al poeta, lucciole ormai estinte, per usare le parole di Pasolini.
un film che non sarà perfetto, ma che merita molto - Ismaele
ps: nel 1979 Corrado Stajano scrisse Africo (leggi qualcosa qui)
un libro da non perdere, come tutti i suoi libri.
Interessante e poetico, agreste e solidale questo
passaggio montano calabrese, tuffo nel passato degli anni 50, diventa una
pellicola elegante e seria, politica e attuale per rappresentare:
A la vita di campagna (semi estinta)
B la vita calabrese (magica nella totale povertà e assenza)
C la generosità d'animo che sprigiona dal non avere, ma dall'essere che inevitabilmente sfocia in una totale e appagante condivisione, sorta di baratto esistenzaile che, per fortuna ancora oggi persiste come stile vita in centri calabri.
Ottimi gli attori, perfetti nei ruoli, veramente intensi e credibili. Ottima la storia dove la latitanza dello stato permane da 70 anni fino ad oggi, dove le strade hanno buche immense, dove a Tropea e Vibo si muore di parto ancora oggi - sei donne solo nell'ultimo mese. Tutto rimane come allora ed è per questo che i paesini arroccati dove gli scorci sono peraltro bellissimi, con viste mozzafiato, anche nella fotografia, si svuotano. Perchè lo stato latita.
Ad Africo, un paesino arroccato nella valle dell'Aspromonte calabrese, alla fine degli anni '50, una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo e perché non esiste una strada di collegamento. Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal sindaco. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capeggiati da Peppe (Francesco Colella), decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l'opera. Giulia, la nuova maestra elementare (Valeria Bruni Tedeschi), viene dal Nord, e vuole insegnare l'italiano "se Africo entrerà nel mondo grazie alla strada, i ragazzi dovranno conoscerlo prima, imparando a leggere e a scrivere". Ma per il brigante Don Totò, quello che detta la vera legge, Africo non può diventare davvero un paese "italiano"…
A la vita di campagna (semi estinta)
B la vita calabrese (magica nella totale povertà e assenza)
C la generosità d'animo che sprigiona dal non avere, ma dall'essere che inevitabilmente sfocia in una totale e appagante condivisione, sorta di baratto esistenzaile che, per fortuna ancora oggi persiste come stile vita in centri calabri.
Ottimi gli attori, perfetti nei ruoli, veramente intensi e credibili. Ottima la storia dove la latitanza dello stato permane da 70 anni fino ad oggi, dove le strade hanno buche immense, dove a Tropea e Vibo si muore di parto ancora oggi - sei donne solo nell'ultimo mese. Tutto rimane come allora ed è per questo che i paesini arroccati dove gli scorci sono peraltro bellissimi, con viste mozzafiato, anche nella fotografia, si svuotano. Perchè lo stato latita.
Ad Africo, un paesino arroccato nella valle dell'Aspromonte calabrese, alla fine degli anni '50, una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo e perché non esiste una strada di collegamento. Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal sindaco. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capeggiati da Peppe (Francesco Colella), decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l'opera. Giulia, la nuova maestra elementare (Valeria Bruni Tedeschi), viene dal Nord, e vuole insegnare l'italiano "se Africo entrerà nel mondo grazie alla strada, i ragazzi dovranno conoscerlo prima, imparando a leggere e a scrivere". Ma per il brigante Don Totò, quello che detta la vera legge, Africo non può diventare davvero un paese "italiano"…
…Calopresti
ha definito Aspromonte – La terra degli ultimi una
sorta di racconto western; ed è proprio nel momento in cui ricerca quella
dimensione collettiva, unita allo sguardo antropologico e al tentativo di
raggiungere un portato “epica” (espresso nello scontro che è culturale e
sociale insieme, con le istituzioni da un lato e il bandito col volto di Rubini
dall’altro) che il film gioca le sue migliori carte. L’isolamento del paese,
unito a quegli scorci sul mare a rivelare meraviglie invisibili (e
irraggiungibili), funge da detonatore per le tensioni a stento trattenute;
tensioni rappresentate in un affresco collettivo che si fa apprezzare per il
suo realismo, per la puntualità con cui mette in scena la quotidianità di una
comunità, per l’attenzione a evitare gli stereotipi e le figure
macchiettistiche. Persino il personaggio interpretato da Fonte – figura
decisamente meno cupa di quella vista in Dogman – riesce a essere
funzionale pur nei suoi tratti grotteschi. Il film di Calopresti, tuttavia,
perde decisamente compattezza e mordente quando sbanda sul versante più
elegiaco e fiabesco, cercando di comporre un elogio – malgrado tutto – della
semplicità contadina e dei suoi rituali, che cozza decisamente contro il suo
dichiarato realismo. Soprattutto, il film risulta debole quando tenta (con poca
convinzione) di adottare il punto di vista del piccolo Andrea, e di sposare
quello sguardo infantile – che vorrebbe trovare una sponda da un lato nella
figura della maestra, dall’altra in quella del Poeta – che non viene né
approfondito, né adeguatamente contestualizzato…
…I personaggi sono
ben disegnati e tra tutti spicca Marcello Fonte, un vero e proprio poeta a suo
agio nella sua Calabria natia. Non si può dire altrimenti per Valeria Bruni
Tedeschi, il cui personaggio è fuori contesto per scelta registica ma che manca
di spessore psicologico. Non di grande impatto anche Sergio Rubini, nel
personaggio del cattivo con poche apparizioni su un grande cavallo bianco con
fucile in spalla.
Quello che
veramente colpisce in “Aspromonte – La terra degli ultimi” è la location
perfetta, quella di Ferruzzano, paese abbandonato da
tempo e di grande impatto paesaggistico. Meravigliosi gli interni delle case e
i costumi di scena. In sintesi, si potrebbe dire che la cornice è perfetta, ma
il quadro non lo è altrettanto nonostante l’ottima performance degli attori che
recitano per lo più in dialetto calabrese.
…Gli
intenti di Calopresti sono nobili e accompagnati da una evidente cura nel
dettaglio. Il film ha delle ambientazioni sceniche suggestive, si avvale di una
colonna sonora evocativa firmata da Nicola Piovani, la fotografia di Stefano
Falivene immerge l'azione in colori dalle sfumature grigiastre che annullano il
senso di natura rigogliosa e benevola attorno ai protagonisti. E la regia
stessa di Calopresti è generosa nel suo prodigarsi in scene ritmate, sequenze
di gruppo, ricostruzioni d'ambienti d'epoca aderenti al contesto. E in più
Valeria Bruni Tedeschi, pur costretta in un ruolo che sa di già visto e di
usurato, fornisce ancora una volta una prova attoriale in grado di catalizzare
su di sé i momenti più forti dal punto di vista emotivo.
Ma "Aspromonte" ha proprio nella generosità, o meglio nel suo eccesso, la più pesante zavorra che non fa decollare mai il film. Fin troppo didascalico in fase di scrittura, il film è sceneggiato con troppa superficialità. Gli snodi narrativi diventano tappe forzate e ampiamente prevedibili di una vicenda che viene messa in scena con un'esagerata dose di semplicità. Tutto è meccanico, sottolineato, evidenziato e fornito di didascalie, a volte nelle scelte di regia, a volte in quelle di scrittura. Certo, quando si vuole lavorare per metafore, il rischio è sempre presente, ma a volte Calopresti davvero non riesce a porre dei limiti…
Ma "Aspromonte" ha proprio nella generosità, o meglio nel suo eccesso, la più pesante zavorra che non fa decollare mai il film. Fin troppo didascalico in fase di scrittura, il film è sceneggiato con troppa superficialità. Gli snodi narrativi diventano tappe forzate e ampiamente prevedibili di una vicenda che viene messa in scena con un'esagerata dose di semplicità. Tutto è meccanico, sottolineato, evidenziato e fornito di didascalie, a volte nelle scelte di regia, a volte in quelle di scrittura. Certo, quando si vuole lavorare per metafore, il rischio è sempre presente, ma a volte Calopresti davvero non riesce a porre dei limiti…