giovedì 8 giugno 2017

Wiener-dog - Todd Solondz

un bassotto è sempre presente,nel mosaico di storie che Todd Solondz tiene insieme.
non parla, è a volte un oggetto, osserva, interagisce, o lo lascia credere.
i cani sono diversi dai peluche, hanno il difetto di cagare, e possono stare male, e a volte ci si libera di loro, ma se trovi Dawn sei salvo, e capita che anche Danni de Vito abbia un bassotto, o viceversa, sembra un film difficile da seguire, ma non è vero, merita la visione, poco ma sicuro, crudo e poetico.
buona visione - Ismaele




Todd Solondz è un autore che non mostra tentennamenti nel fare della diarrea un elemento cardine del film (c’è una carrellata sulla scia di diarrea lasciata da Bassottino davvero sublime), giocando in maniera sottilmente sardonica sul rapporto di causa-effetto tra le fobie esistenziali di disillusi patentati e i fisiologici stimoli del corpo. Oppure di iniettare i germi insani del razzismo attraverso la storia di un cane “brutto, sporco e cattivo” di nome Mohammad, che soleva violentare tutte le cagne che aveva a tiro rimanendole incinte. Storia raccontata da Dina al piccolo figlio Remi, come se si trattasse di una favola innocua, con tono affabile e gentile : per fargli capire l’utilità della sterilizzazione dei cani. E neanche di mostrare un cane imbottito di esplosivi o di creare continue assonanze concettuali tra la forma del cane bassotto e i salsicciotti che imbottiscono gli Hot-Dog (appunto “cane salsiccia” viene spesso etichettato il cane bassotto). Todd Solondz è così, un acuto osservatore delle cose americane che lui preferisce far emergere usando l’arma corrosiva della provocazione. “Wiener-dog” rappresenta un ottimo compendio di questa poetica della dissacrazione, un film ostinatamente sconsolatorio, una sinfonia dolente che sembra voler celebrare la dismissione dei migliori valori…
Todd Solondz sembra spiare i suoi personaggi, ma non per creare una sorta di effetto realista da poter trasportare nei suoi film, ma per coglierli in tutta la loro nuda verità, affrancandoli da quei filtri sociali che possono mascherarne il cinismo o mitigarne il disincanto. Nel suo cinema, l’utilizzo di dialoghi corrosivi è funzionale per un analisi acuta della società americana che si vuole condurre senza veli, vestita di tutta la crudità che gli è propria. Un’analisi che è tanto più vera quanto più dirette appaiono le parole utilizzate, che stanno li, a fare chiarezza sullo stato delle cose, a non nascondere l’innascondibile, a dirigere il traffico tra le spigolosità caratteriali. A chiedere spiegazioni sulla gratuità della tristezza.

…Solondz non ha fiducia nella società contemporanea, che offre troppe maschere e punisce chi invece è talmente “incapace” di nascondersi da giocare sempre a viso scoperto, facendolo impazzire o distruggendolo spiritualmente - esattamente come si può fare a un cane in gabbia – eppure prova per i protagonisti quella compassione di cui sono privi i loro antagonisti, ed è in quei minimi istanti di dolcezza, quando tra i personaggi riesce a instaurarsi tramite lo sguardo una breve ma autentica unione spirituale, che egli ritrova il valore di un’umanità ancora palpitante sotto metri e metri di solitudine. Il ritorno di Dawn, resuscitata dal suo suicidio, e riunita all’ex ragazzino bullo – ora tossicodipendente - che per primo l’aveva amata, è il regalo prezioso di un film discontinuo che conferma, pur nei suoi difetti, lo sguardo notevole del suo autore.

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