Percy Fawcett non è un'esploratore che vuole conquistare, vincere, uccidere, vuole solo trovare una città dimenticata nella giungla.
è un esploratore "buono", non vuole esportare il suo british way of life, non è un disperato senza famiglia, che si butta nella foresta per dimenticare.
e non è neanche fortunato, la città, forse, non la trova, o forse sì, ma noi non lo sapremo.
e però nella sua ricerca è felice, è la sua ragione di vita, ha un nome da riabilitare, una famiglia che gli vuole bene, una moglie straordinaria e paziente, erede di Penelope.
il film è una sorpresa, James Gray ne fa pochi e buoni.
e come resistere a un viaggio nella foresta amazzonica, senza le zanzare, seduti in una sala climatizzata?
buona visione - Ismaele
…Le
armi e le potenzialità del cinema allora per Gray sopravvivono davvero come
interruzione, digressione, lato oscuro della luna (matter of fact it’s all dark),
isola non trovata ma bella più di tutte,
che aumenta familiarità e riconoscibilità proprio rimettendo in circolo canoni,
immaginari, stili e riferimenti (d’accordo
Coppola, ma l’apertura è innegabilmente ciminiana, e in ogni caso la
cocciutaggine del progetto, totalmente impossibile da veicolare sul mercato,
ancora una volta accomuna Gray a questi due autori-suicida di film che non
sembrano volersi mai chiudere, assumere una forma definitiva: anche di Civiltà perduta percepisci in
ogni istante la possibilità di mille montaggi alternativi, director’s cut con scene diverse, tagliate aggiunte o
allungate…). Con l’intento lucidissimo di riaffermare “siamo giàstati qui”, qualcuno ci è già passato.
Amare il cinema di James Gray significa perciò condividere con lui e con i suoi personaggi la luce incommensurabile e indescrivibile che ti colpisce ogni volta che ti rendi di nuovo conto che l’entrata per un giro alla ricerca della Citta’ di Z è sempre aperta, ancora li, davanti (e dentro) ai nostri occhi. Farsi divorare dal sogno, per essere liberati dalla condanna.
Amare il cinema di James Gray significa perciò condividere con lui e con i suoi personaggi la luce incommensurabile e indescrivibile che ti colpisce ogni volta che ti rendi di nuovo conto che l’entrata per un giro alla ricerca della Citta’ di Z è sempre aperta, ancora li, davanti (e dentro) ai nostri occhi. Farsi divorare dal sogno, per essere liberati dalla condanna.
Lo strano caso di James Gray. Che, dopo i primi quattro
(bellissimi) film molto contemporanei e un filo autobiografici su immigrati
ebrei (e irlandesi) negli States, con C’era una volta a New York ha
cambiato radicalmente cinema, occupandosi ancora di immigrazione, ma in forma
di period movie e melodramma. Adesso un altro film nel e sul passato, con
sontuosità di scenografia e costumi e neanche più il tema dell’emigrazione a
collegarlo ai suoi precedenti. Un’altra cosa, un altro film, davvero un altro
cinema. Anche parecchio convenzionale, con militari in alta uniforme ai
ricevimenti, cottage anzi castelli nel countryside, interni maestosi di
ministeri e altre reali istituzioni tra Otto e Novecento inglese. Che non lo si
riconosce più, il rigoroso Gray delle tormentate famiglie askenazite. Ma perché
mai avrà accettato di girare questo The Lost City of Z -
tale il titolo originale -, certo
tratto da una biografia diventata bestseller, certo prodotto dalla Plan B di
Brad Pitt, ma così inesorabilmente medio-mainstream? Un’avventura amazzonica
con delirio del suo protagonista, che sarebbe anche di molto fascino se non ci
fossero già certi indimenticabili Herzog, intendo Aguirre e Fitzcarraldo. Un
paio di anni fa s’è poi visto ai festival e anche in qualche sala nostra il
notevole El Abrazo de la Serpiente, di cui
par di rivedere molti passaggi in Civiltà perduta. E
dal confronto Gray esce stritolato…
…James
Gray riempie la sua opera, il parallelo tra la sua perseveranza
e la missione di una vita di Fawcett è quanto mai prossima, dall’inizio alla
fine.
Scandendo un processo a fasi, tra andate e ritorni, addii e
ricongiungimenti, cavalca ellissi necessarie (non occorre ogni volta
ripresentare i pezzi precedenti, i vari viaggi è come se fossero un tutt’uno),
rendendo vivo lo spirito di esplorazione, mentre il fascino della (possibile)
scoperta è quanto mai scardinante.
Tra uomo e natura, progresso e civiltà perdute, o meglio
sconosciute, la composta eleganza delle vita occidentale e culture tutte da
scoprire, l’arroganza dettata dal principio di superiorità insito nell’uomo
bianco, verso i selvaggi ma anche le donne, Civiltà perduta trabocca, rendendo piena
giustizia alla macchina dei sogni che è (dovrebbe essere) il cinema, oggigiorno
sempre più ancorata in un porto sicuro, che è sinonimo di ripetitività.
Così, James Gray apre una vorticosa finestra sul passato e
portali verso un futuro, di finzione e reale (un cinema che punta ad allargare
i propri confini e un mondo che guarda avanti per la gioia di apprendere), che
rimane una chimera.
Difatti, le tematiche presenti colmano oceani di vuoto e
vengono chiarite senza eccessi, tra il (secondario) prestigio, le difficoltà
fisiche e mentali che servono per arrivare al traguardo, la necessità di
conoscenza che sopravanza il desiderio di conquista, lasciando alle spalle la
sicurezza per trovare chissà cosa (con pericoli insediati ovunque), con il
conseguente gusto di vedere qualcosa di immacolato, un avvicinamento alla morte
per vedere meglio la vita, tutto questo sempre facendo ricorso a una dialettica
che dosa le parole, rimanendo comunque chiarificatrice (non c’è niente di
oscuro, mentre tanto è primordiale e qualcosa mistico)…
…Gray si fa coinvolgere e coinvolge lo
spettatore nella 'folle' ricerca di un uomo che riesce a convincere altri ad
accompagnarlo trasformando anche una profonda ostilità che gli proviene
dall'ambito familiare. Questo non significa per lui sottrarsi ai doveri imposti
dalla Storia. Così la scena più significativa del film finisce con il divenire
quella in cui lo si vede al comando di un plotone nelle trincee della Prima
Guerra Mondiale. Dinanzi alla follia devastatrice del conflitto la sua ricerca
si fa rileggere come la razionalità di chi vuole riportare alla luce ciò che
un'antica civiltà ha voluto non distruggere ma costruire.
…Il cuore del film non è tanto il sogno di gloria (o di
riabilitazione del proprio nome) del protagonista, ma quanto tale realizzazione
possa pesare sul rapporto con la moglie e i figli, i quali hanno dovuto fare i
conti con un marito e un padre che li ha spesso abbandonati per le sue
esplorazioni (in particolare la moglie Nina e il figlio maggiore Jack esternano
il loro dissenso, la moglie pur non facendo venir mai meno il suo appoggio, il
giovanotto esprimendo così anche la sua opposizione a questo padre al tempo
stesso impegnativo e sfuggente). Ancora una volta la figura centrale nel cinema
di Gray è divisa fra gli affetti e le proprie ambizioni e se nelle precedenti
pellicole erano queste ultime spesso a doverne fare le spese, stavolta forse
c'è una variazione positiva, visto che la famiglia Fawcett comprende quanto
importanti siano i viaggi e le ricerche per il proprio caro e si comporta di
conseguenza; nei film di Gray i protagonisti normalmente scelgono di optare per
la risoluzione dei contrasti, però stavolta il tutto avviene senza che il personaggio
principale debba rinunciare ai propri obiettivi (rinuncia, sì, alla felicità
domestica ma ovviamente questa per lui sarebbe stata comunque una scelta
sacrificata, come si capisce dalla scena in cui un mesto Fawcett dichiara ad un
giornalista americano di apprezzare la vita domestica). In questo la decisione
di Jack di unirsi al padre nel suo ultimo viaggio, lo struggente ma asciutto
addio fra Percy e il secondogenito Brian e il bellissimo finale, fra sogno e
realtà, in cui Nina idealmente raggiunge i propri cari nella giungla (mi è
stato fatto notare come in effetti il bravo Gray diventi grande nel concludere
i propri film) sono i tre momenti chiave di "Civiltà perduta", dai
quali si può capire come, nonostante il triste destino dei protagonisti, l'opera
sia meno negativa dei precedenti film del regista (perché neanche la
risoluzione dolce-amara di Two Lovers
faceva eccezione fino in fondo)…
…Civiltà perduta è un blockbuster
d’altri tempi. Due ore e venti minuti, ma sarebbero potute essere tre, anche
quattro. Non ci stupirebbe una director’s cut. Un’altra follia. La giungla, i
confini inesplorati, perdersi nuovamente. Civiltà perduta è una storia
infinita, un eterno ritorno. Ce lo dice la macrosequenza a cavallo tra la
guerra e il nuovo viaggio, quasi una fase di stanca, una impasse. Impossibile
stare lontani dalla giungla, impossibile non tornare. Anche con la mente: alla
giungla, alla fotografia di Darius Khondji, a questo cinema anche imperfetto,
forse incompleto, ma dannatamente vivo. Il cuore è nella giungla.
Un anti-Aguirre?? Un po' mi attira un po' mi pare a rischio retorica....
RispondiEliminanon è anti-niente, e non è a rischio retorica, almeno come l'ho visto io.
Eliminaprova e mi dirai
Bene! Erano le impressioni dal trailer. Non so quando potrò, ma segno nella lista che ho in testa (dove poi qualcosa rimane e qualcosa viene cancellato...)
Eliminamai credere a un trailer :)
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