in Ma loute appaiono i grandi attori, che
impersonano dei dementi, le bambine diventeranno come loro, chissà.
qui non
c'è speranza per nessuno, tutti sono dannati, non ci sarà mai un incontro e una
comprensione fra los de arriba e los de abajo, la mobilità sociale è
impensabile, i servi saranno sempre servi, come i loro figli, non si discute, i
ricchi fanno schifo, classisti fino al midollo.
questo il
film lo fa capire benissimo, ma è un film esagerato, grottesco, sopra le
righe.
tutti
sono caricature, macchiette, i poliziotti per primi, sembra di vedere le
comiche (che erano mute, ma qui si parla una lingua a noi incomprensibile, per
cui l'effetto è quasi lo stesso).
i ricconi
sono dei parassiti, chissà se lo capiscono, la religione è un collante fra le
classi, anche il prete è un demente.
il
regista è tecnicamente bravissimo, ma il film non mi ha convinto,
Ma
Loute sembra una variante di P'tit Quinquin, che era
davvero bello, Paganini non ripete, Bruno Dumont invece si ripete, riuscendo
anche un po' ad annoiare, alla lunga.
(i Cahiers de Cinema lo mettono al quinto posto rispetto
alla prima posizione del precedente)
comunque
buona visione, giudicate voi - Ismaele
… Si contrappongono personaggi di due diverse classi
sociali. I poveri, la famiglia Brufort a cui appartiene Ma Loute, interpretati da
attori non professionisti, sono pescatori, raccoglitori di mitili e
trasportatori a braccia di turisti tra una riva e l`altra della baia durante la
bassa marea. Dall`aspetto ricordano i mangiatori di patate di Van Gogh. Sono
antropofagi, divorano carne umana (borghese) ed emettono grugniti bestiali. I
ricchi, la famiglia Van Peteghem, interpretati da attori famosi: Fabrice
Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, vengono a
trascorrere le vacanze in una villa di stile egizio sopra il villaggio.
Borghesi in decadenza, atteggiati e inebetiti, per i quali è tutto meraviglioso
e fantastico, che nascondono un passato incestuoso e perverso. Si sono sposati
tra cugini per favorire la fusione dei loro capitali.
Alto e basso, ricchi e miseri, si cade e si vola, da un lato si mostra un perbenismo di facciata, dall`altro una primitività bestiale.
Un film dalle immagini forti, tra il reale e il surreale, tra il comico e il crudele (alla Tarantino) che non è altro che la trasposizione della commedia umana con tutte le sue sfaccettature e le sue contraddizioni.
Alto e basso, ricchi e miseri, si cade e si vola, da un lato si mostra un perbenismo di facciata, dall`altro una primitività bestiale.
Un film dalle immagini forti, tra il reale e il surreale, tra il comico e il crudele (alla Tarantino) che non è altro che la trasposizione della commedia umana con tutte le sue sfaccettature e le sue contraddizioni.
…da un lato la derisione
è universale, e colpisce tutti. C'è però una differenza cruciale, ed è una
differenza di classe (sociale): i viziatissimi altoborghesi,
al limite dell'idiozia, sono derisi in quanto caricaturali; i
poveri lo sono perché sono grotteschi. Pur con una certa
approssimazione, è possibile affermare che mentre il grottesco sta per una
deformità naturalizzata, considerata come inerente all'ordine delle cose, il
caricaturale è una questione di stile. È una deformazione
deliberata e intenzionale di un oggetto la cui originaria non-deformità è fuori
questione, e data tanto implicitamente quanto inequivocabilmente. Per questo i
ricchi personaggi violentemente caricaturati sono interpretati da attori
famosi; non così i poveri, non di rado interpretati addirittura da non
professionisti.
Certo, dietro l'individuazione di questa stessa
differenza c'è ancora la classe: sono i ricchi a pensare, ipocritamente, che la
turpitudine dei poveri non abbia origini sociali, ma sia nell'ordine naturale
delle cose. Il gioco a cui gioca il film è in effetti, proprio questo:
costringe lo spettatore a spostare una mal riposta illusione ideologica per poi
sbattergli in faccia l'evidenza di quanto torto abbia. Lungo più di metà del
film, infatti, Dumont sembra suggerirci che una mediazione pacifica tra i due
mondi sia tutto sommato possibile (l'eponimo Ma Loute, primogenito dei
miserevoli Brufort, si innamora ricambiato della figlia dei ricchi). Poi però
lungo tutta la seconda nega recisamente la percorribilità di qualsiasi
conciliazione, schiaffeggiandoci con un “no” dietro l'altro, vale a dire con
altrettanti ribaltamenti e U-turn narrativi che, per pura virtù di accumulo,
finiscono per fare esplodere qualsiasi forma di integrità del racconto.
Opportunamente, uno dei personaggi a un certo punto non la smette di confondere
il termine dénouement (scioglimento narrativo) con débordement (l'eccesso,
lo straripare fuori dai margini)…
…Nella seconda parte alcune dinamiche si fanno ripetitive
e il gioco mostra leggermente la corda, ma le trovate surreali e la
caratterizzazione dei personaggi sono divertenti fino all'ultimo e non mancano
sequenze visivamente geniali…
Osserviamo
il poster: all’interno dell’ovale si nota una variegata umanità dalla quale
emerge almeno un tratto comune: ognuno dei soggetti ivi riportati ha una posa
da perfetto imbecille, poi leggiamo sotto al titolo la paternità dell’opera e
un pochino di dubbi si materializzano: ma come? È proprio quel Dumont lì?
Quello che faceva quei film là e a cui difficilmente si sarebbe pensato di
accostare una locandina del genere? Perché comunque le locandine sono
importanti nei circuiti di vendita, presentano il prodotto, lo identificano,
attraggono, ed è per tale motivo che, ad esempio, le opere sperimentali non
hanno bisogno di poster poiché non necessitano di pubblico ma di persone, di
esseri umani, ed è sempre per questo che Dumont ha piazzato già nel primo
strato di Ma Loute (2016) con cui dobbiamo rapportarci la
quintessenza del film stesso, ovvero un prodotto di marcata attorialità, di
focus caricaturale, di commedia esacerbata e a volte anche un po’ scema…
Va bene tutto però dopo un po’ uno si annoia, si
infastidisce. Ma Loute parte anche bene, per mezz’ora il
film è piacevole e divertente in tutte le sue eccentricità; c’è la critica
sociale, c’è uno sfondo politico (ma anche Grease è
politico!), ci sono le solite derive umane di Bruno Dumont. Però poi hai la
sensazione che il regista ti molli per strada, che si dimentichi che tu sei lì,
come un fesso, seduto in sala a fissare uno schermo enorme in una sala
semideserta con qualche altro poverino che ha provato il brivido del film
francese pazzariello proveniente da Cannes. E finisce che
con il sopracciglio alzato osservi un grande obeso volare nel cielo con un
effetto visivo che nemmeno Méliès, che nemmeno alle prime dieci ore di un corso
serale di After Effects faresti così male – ma male male!...
… Estremizzando
i due mondi, il regista francese chiede alle sue star di non trattenersi in un
alcun modo, cercando anzi una recitazione sempre sopra le righe, oltre il
teatrale, per rimarcare l’ipocrisia di una nobiltà già all’epoca antistorica e
decaduta. Di contro, alla famiglia di pescatori, suggerisce di non dimenticare
mai la natura ferina che ne contraddistingue anche i tratti somatici,
costringendoli a fagocitare (letteralmente) le carcasse di una specie destinata
all’estinzione.
Il tutto, naturalmente, incastonato nella cornice
struggente e mozzafiato di un luogo selvaggio che, a quanto pare, neanche la
forza del vento è capace di trasformare. Saranno le persone, piuttosto, a
volare via, vuoi per miracolose ascese verso il divino, vuoi per trasformarsi
in veri e propri palloni aerostatici con cui adornare una festa in
giardino. Ed è anche nell’insistenza di questo nonsense esasperato che Dumont,
trascorsa la prima mezz’ora del film, finisce per annoiare. Quasi incapace di
arrestarsi, come accade con gli innumerevoli ruzzoloni dell’irresistibile
Machin, personaggio che sembra uscito dalle comiche in bianco e nero dei
primordi della storia del cinema. Ma anche quello è un giochino che dopo un po’
stanca.
Chissà, forse è ancora presto per dirlo con certezza, ma
ancora tendiamo a preferire il Dumont vecchie maniere. Si rideva meno
(anzi, per nulla), ma i suoi film erano capaci di durare ben al di là dei
titoli di coda. Un cinema cannibale, quello sì capace di mangiare anche lo
spettatore, che non faceva prigionieri.
… Il digitale può - in altri film - aver appiattito
alcuni elementi visivi, ma fornisce molti aiuti a un film come questo. Rende
possibile inquadrare campi larghissimi su cui far irrompere nettamente un volto
stravolto in primo piano. Rende a portata di mano semplici effetti speciali
digitali molto utili per le scene slapstick, con i personaggi che letteralmente
volano di qua e di là. Il dominio della post-produzione infine consente scene
spettacolari come la tempesta a un passo dalla spiaggia assolata, forse l'apice
visivo e drammatico del film, dal sapore quasi verghiano. D'altro canto
un film del genere vive sul fisico dei propri attori in particolare quelli non
protagonisti (i già citati Billie e Machin, ma anche Eternel, il padre di Ma
Loute) che comunicano potentemente con la loro sola presenza - ma anche
sull'autodeformazione di Luchini.
Dumont sostiene che nessun registro richieda la stessa attenzione formale del comico. Nei tempi, ovviamente, si veda l'estenuante taglio della cacciagione, ma anche nella fotografia, con la selezione ad ogni caduta di Machin della prospettiva in cui risulti maggiore la ridicolaggine. Seguendo questo principio il regista mantiene un estremo controllo formale - si veda ad esempio il lavoro sul suono - ma allo stesso tempo si sente libero di strabordare con i temi e le svolte narrative. L'unico vero difetto del (bel) film sta in questa simpatica ingordigia che a volte taglia fuori lo spettatore a forza di accumulare gag, brevi sottostorie e temi assurdi. Come in cucina, mescolare sempre tutto - ad esempio il dramma e il grottesco nel dialogo tra Luchini e la Binoche - conduce a pasti che vengono ricordati di più per la loro stranezza che per la loro bontà. "La trasgressione mi interessa, che sia l'ambiguità sessuale, il cannibalismo, l'incesto, etc. - sostiene Dumont - Posso trattare la mostruosità, il proibito, attraverso il comico." Il film è pregevole visivamente e regala risate sincere, ma alla fine piacerà anche nella misura in cui si accetta questo punto di vista.
Dumont sostiene che nessun registro richieda la stessa attenzione formale del comico. Nei tempi, ovviamente, si veda l'estenuante taglio della cacciagione, ma anche nella fotografia, con la selezione ad ogni caduta di Machin della prospettiva in cui risulti maggiore la ridicolaggine. Seguendo questo principio il regista mantiene un estremo controllo formale - si veda ad esempio il lavoro sul suono - ma allo stesso tempo si sente libero di strabordare con i temi e le svolte narrative. L'unico vero difetto del (bel) film sta in questa simpatica ingordigia che a volte taglia fuori lo spettatore a forza di accumulare gag, brevi sottostorie e temi assurdi. Come in cucina, mescolare sempre tutto - ad esempio il dramma e il grottesco nel dialogo tra Luchini e la Binoche - conduce a pasti che vengono ricordati di più per la loro stranezza che per la loro bontà. "La trasgressione mi interessa, che sia l'ambiguità sessuale, il cannibalismo, l'incesto, etc. - sostiene Dumont - Posso trattare la mostruosità, il proibito, attraverso il comico." Il film è pregevole visivamente e regala risate sincere, ma alla fine piacerà anche nella misura in cui si accetta questo punto di vista.
A very
different film from Dumont. This absurdist film takes place in the 1910s at a
beach site where local poor fishermen literally live off tourists and the
inbred bourgeois rich family that keep a mansion on the beach. I say literally,
because they not only make money by being their ferrymen, they also eat them
when they get too hungry. The rich family of inbreds are all acted
over-the-top, from the bumbling incompetent hunchback, to the hysteric women,
and they have a girl that frequently changes her sex and clothing on a whim. A
Laurel & Hardy police-man duo are investigating the missing people, the fat
one frequently rolling down hills or falling down, and trying not to be
distracted by the cross-gender teenager, a budding romance between the two
families, and a nudist beach. This leads to a surreal, fantasy climax that
doesn't seem to go with the rest of the movie. Although this may bring up
comparisons to Delicatessen thanks to the cannibal comedy, the slapstick is
awkward, and the over-the-top treatment is also annoying and also doesn't allow
the satire to be anything other than silly. But it's odd enough to keep one
entertained, and it's visually beautiful to look at.
da qui
da qui
Purtroppo non posso che sottoscrivere.
RispondiEliminaAdesso vediamo che cosa ne uscirà dal prossimo film che sarà un... musical.
la gag del poliziotto superobeso che rotola ogni volta, poi non fa più ridere,speriamo bene sì, per il prossimo film!
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