già Caparezza cantava un eroe, poi Amelio sceglie Antonio Albanese per essere un eroe dei nostri tempi, reale, ma anche no.
film tristissimo, buio, senza sole, e senza troppe vie d'uscita.
non adatto a che è anche solo un po' depresso.
e però merita di essere guardato, per quanto nerissimo, ma per un bel po' di gente altri colori all'orizzonte non se ne vedono, solo il buio dell'avvenire - Ismaele
film tristissimo, buio, senza sole, e senza troppe vie d'uscita.
non adatto a che è anche solo un po' depresso.
e però merita di essere guardato, per quanto nerissimo, ma per un bel po' di gente altri colori all'orizzonte non se ne vedono, solo il buio dell'avvenire - Ismaele
…Se il suo candore elementare, che fa di
Antonio una variante problematica del personaggio di Totò il buono (dal titolo
del romanzo di Cesare Zavattini da cui è tratto il soggetto di Miracolo a Milano, di cui Amelio scrisse: «è forse il
film più bello della nostra vita? Qualche volta penso di sì»), può ancora
riempire lo sguardo in un mondo che non ha più niente di fiabesco, sono
appiattite su traiettorie stereotipate alcune figure che orbitano intorno a lui
(i mafiosi orchi tenutari della palestra, gli imprenditori burattinai di loschi
affari, gli immigrati solidali vicini di casa), ridondano le domande («Sei
felice?», «Hai bisogno d'aiuto?») che egli rivolge inutilmente a una
generazione di figli tormentati, spiazzano le incongruenze (preso d'assalto dai
cronisti, Antonio risponde che, sì, la ragazza era piena di vita) e sono
numerosi i dialoghi francamente indigeribili (Antonio: «La fame è una brutta
cosa, l'appetito aiuta»). Meglio allora passare oltre certi tic irrigiditi e
proseguire la ricerca di risposte sulla felicità - ovvero sull'«immensa
tristezza che deriva dall'essere la vita com'è e non come dovrebbe essere»
(Zavattini) - soffermandosi altrove: osservare la città, Milano come spettrale
cupola estesa sul paese, che sovrasta le umane figurine passeggere schernite da
slogan fossilizzati del fallimento (UN GRANDE FUTURO PASSA DI QUI; LA TERRA
TREMA). E ricordarsi che, come conclude questa commedia with a tear - and perhaps, a smile,
l'ultimo sorriso, la via di fuga, come il volo di Totò, spetta a chi continua a
vegliare a suo modo su di noi.
…La pellicola ha una struttura in parte
frammentaria, fatta di tanti blocchi, in ognuno dei quali il Nostro si
confronta con un lavoro o con una personalità che in varia misura condiziona le
sue giornate fatte di lavori tanto diversi eppur tremendamente simili. È un
assetto narrativo già suggerito nei primi tre minuti che anticipano i titoli di
testa. Sono momenti di piccole potenziali tragedie quotidiane, ingentilite da
un tocco di ironia che in questo caso Albanese lavora in tonalità più soffuse
del solito. Per metà dell'opera o poco più la gradevolezza dell'insieme supera
la mancanza di una urgenza espressiva. Ma quando le avversità, toccando anche
una tragedia, si assestano su grigi binari, i fattori sembrano frettolosamente
addizionati e, probabilmente, destinati a rimanere irrisolti (chiaro ma fuori
dal mondo il ribaltamento di "Lamerica").
Le conseguenze non sono spiegate e alla fine ci si rifugia in un ritorno all'ottimismo intriso da un titubante semi-onirismo, dove le distanze tra le varie tonalità subiscono degli scarti aggrovigliati e sfocati.
In questo modo Gianni Amelio, straordinario autore che, soprattutto negli anni 90 imprimeva alla materia un furore incalzante anche nelle pause e nei silenzi, sceglie una gradazione più leggera proprio per confrontarsi con una attualità tanto precaria. È una medicina preparata con nobiltà e abnegazione, ma la malattia non ne viene intaccata.
Le conseguenze non sono spiegate e alla fine ci si rifugia in un ritorno all'ottimismo intriso da un titubante semi-onirismo, dove le distanze tra le varie tonalità subiscono degli scarti aggrovigliati e sfocati.
In questo modo Gianni Amelio, straordinario autore che, soprattutto negli anni 90 imprimeva alla materia un furore incalzante anche nelle pause e nei silenzi, sceglie una gradazione più leggera proprio per confrontarsi con una attualità tanto precaria. È una medicina preparata con nobiltà e abnegazione, ma la malattia non ne viene intaccata.
…L’Intrepido è una favola che non trova il coraggio né
di affondare fino in fondo nel dramma né di abbandonarsi alla leggerezza,
scegliendo invece di caricare le spalle di Antonio Albanese – buon protagonista ma lungi da essere un
mattatore – di un peso troppo gravoso che passa per l’intrattenimento e giunge
alla pubblica riflessione. Sebbene qualcuno abbia già paragonato l’espressione
bonaria e timida del comico – svestitosi ormai dei feroci panni del volgare ma
divertente, e intellettualmente onesto, Cetto La Qualunque – ai protagonisti
del cinema muto di un tempo e persino ad un novello Chaplin, nell’amara ironia
di Gianni Amelio, che pure con tanta insistenza lo aveva
immaginato e voluto nella sua pellicola, Albanese appare trovarsi solo
parzialmente a suo agio.
…Quello di Amelio è un
film in cui i personaggi non appena sono lasciati soli fanno un'espressione
triste e guardano nel vuoto o contro un muro, che non rispondono, che buttano
gli oggetti per terra senza spiegare perchè, poichè pare non ci sia nulla da
spiegare, sono preda di un vago mal di vivere tanto acuto quanto immotivato
quanto fastidioso.
Vivono in un universo anch'esso
chapliniano fatto di spietati padroni e viscidi uomini d'affari ma non hanno
nessuna tenacia, semmai un certo far poetico che non si trasforma mai in
poesia, limitandosi a volerlo essere.
E anche Antonio Pane, il folletto felice
senza motivo di questo film, si aggira inerme, incapace di fare qualsiasi cosa.
Addirittura accompagna un bambino al parco dietro indicazione dei datori di
lavoro (rigorosamente senza pretendere di sapere perchè) e quando è là e si
accorge che il bambino adesca uomini più grandi (cioè pedofili) si indigna ma
non fa nulla per fermare la situazione (mette su lo sguardo triste).
L'intrepido è un film che cavalca il malcontento sociale ma lo fa
proponendo figure ben più deprecabili e vittimiste, che scaricano ogni
responsabilità, e lo fa senza fornire alcuna motivazione ma con i silenzi e le
espressioni da cane bastonato che lasciano intuire solo quello che lo
spettatore già ha deciso di pensare.
…C’è soprattutto Milano, magnificamente
fotografata da Luca Bigazzi e finalmente, per chi ci abita e la conosce,
credibile. La nuova Milano Garibaldi-Isola, e quella delle periferie. L’intrepido ha un andamento rapsodico, accumula
segmenti e singoli episodi e non ce la fa a costruire, o non vuole, una
progressione narrativa e drammaturgica. Un film orizzontale, non senza
ripetizioni e ridondanze. Però l’occhio di Amelio è assoluto, è quello di un
maestro; il dolore quotidiano, la durezza di questa Italia senza lavoro e come
implosa, depressa e ripiegata su di sé, sono restituiti come nessuno ha saputo
fare nel nostro cinema negli ultimi tempi…
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