martedì 22 novembre 2016

Il corridoio della paura – Samuel Fuller

l'ambizione smisurata di Johnny Barrett è l'innesco di un film che è un altro mondo, esplora il manicomio.
Johnny Barrett vuole vincere il Pulitzer raccontando un omicidio e scoprendo i colpevoli dentro il manicomio.
ci riesce anche, ma a un prezzo smisurato.
il matto più matto è un nero che inneggia al Ku Klux Klan, ma Johnny Barrett perde il controllo, come i marinai di Ulisse al canto delle sirene, così è per lui il profumo del successo.
attori bravissimi e storia terribile, al confronto "Qualcuno volò sul nido del cuculo" è un film leggero, ma siccome non lo è immaginate cos'è il film di Samuel Fuller, meglio guardatelo.
dentro c'è il Cinema - Ismaele





Fuller costruisce un ingegnoso meccanismo predisposto di continuo alla rilettura interna ed esterna della vicenda, attribuendone significati molteplici, i personaggi assumono una funzione polivalente ed emblematica, ora assumendo una veste personale, poi traslata verso il giudizio e l’immedesimazione dello spettatore, incarnando la veste simbolica e mostrandone le ferite pubbliche che invece la storia e la società vorrebbero nascondere. E’ la denuncia della società americana intera, del suo perbenismo formale travestito di modernità, il manicomio è il mondo, una volta addentrati non se ne esce altrimenti, anche perché è la vita, scandita, abitudinaria e sottomessa. Milos Forman diede luce anni dopo ad un ritratto simile, al capolavoro Qualcuno volò sul nido del cuculo, dove però si mitizzava la ribellione, l’antieroismo, la lotta al sistema. Nell’opera di Fuller tutto ciò è assente, l’esplorazione della struttura sociale è interna e conforme a chi l’ha creata e in qualche modo dimostra di credergli. La spietata analisi parte dalla figura del protagonista, l’arrembante e sicuro Johnny Barrett che si crede in grado di potere uscire mentalmente indenne da un esperienza così estrema, come se il nuovo potere dei media non solo avesse il dovere di documentare il reale, ma detenesse anche il potere di rivelare nuove verità e giudicarle, di modificare gli equilibri sociali senza subirne conseguenze…

…Le riprese, di immediatezza rude ma non rudimentale, assecondano il percorso mentale del protagonista. La prima dissociazione è oggettiva, ossia rivolta all'immagine che Johnny ha di Cathy. Da poco entrato nell'ospedale psichiatrico, nel sognare la propria bionda compagna Johnny la visualizza diversamente dalla donna premurosa e preoccupata che si era adoperata per evitare che il proprio uomo finisse in pericolo: in una sequenza onirica sovraimpresse, la comparsa ectoplasmatica di una Cathy in miniatura mangiatrice di uomini rivela il desiderio inconscio del giornalista, dissociato dall'immagine reale sin qui profilata. Cathy, infatti, si muove e parla diversamente nel sogno rispetto alle scene precedenti.
La violenza registica di Fuller arriva oltre, nella scena impattante dell'elettroshock, aperta da un medium close-up e trasformata in una bolgia di immagini ancora sovraimpresse (Cathy che danza, le ninfomani, gli scontri razziali di Trent) e di suoni (le urla di Johnny ed una scala di piano discendente): overdose iconico-cacofonica con lo scopo di far esperire sensorialmente allo spettatore il rilascio della tensione, prima della dissolvenza in nero che accompagna la perdita dei sensi del paziente.
Almeno un altro tour de force d'inquadrature si può annoverare tra i vertici stilistici della carriera di Fuller: la sequenza della pioggia nel corridoio. Il piano sequenza che segue Johnny avvicina lo spettatore al protagonista, mentre la voce interna ci introduce nei pensieri del giornalista che cerca di ricordare il nome dell'assassino. Il reporter ha poi la sensazione che cominci a piovere: il rombo del tuono e l'effetto goccia accompagnano il trapasso di inquadrature dall'oggettiva alla soggettiva. È una soggettività dissociata: il bellissimo spostamento a sinistra della macchina da presa, che trascorre sull'ombra allungata di Johnny con la mano tesa per raccogliere le gocce, rivela, nel contrasto ombra/luce e nella generazione del doppio (l'ombra), la divaricazione tra realtà ed immaginazione, oggetto e soggetto, sanità ed insanità, ripetendosi subito dopo a corridoio vuoto: tale, infatti, è nella visione distorta di Johnny…

"If you don't like Samuel Fuller, you don't love cinema” (Martin Scorsese).
Samuel Fuller aveva le palle. Fu il precursore del cinema americano indipendente, padre putativo della nouvelle vague francese (un film come Quaranta Pistole ha profondamente influenzato Godard), di John Cassavetes e dei vari movie brats mid – seventies, Scorsese e De Palma su tutti. Fu anche letterato, giornalista e reduce di guerra. Era insomma, una vera furia, come furiosi sono i suoi film (uno tra i tanti, “Il bacio perverso”, film del 1964, incentrato sulla pedofilia).
“Il corridoio della paura” è l'apice della sua intera filmografia. Interamente girato in interni, è uno dei più claustrofobici e inquietanti bildungsroman della storia del cinema, vera e propria discesa agli inferi della coscienza umana. Romanzo di formazione si diceva, perché Fuller, da uomo vulcanico che ha vissuto ogni sorta di esperienza, rifiuta qualsiasi forma di conoscenza intellettuale o speculativa. Non esistono per il regista giudizi sintetici a priori. Il suo è un cinema di scontri, di antitesi. La vita, nel cinema di Fuller, va affrontata, con tutte le botte e i traumi che ne derivano. Così è per Johnny, giornalista del “Globe”, assetato di gloria e desideroso di vincere il premio Pulitzer. Il suo unico desiderio è quello di scrivere l'articolo dell'anno: quale occasione migliore se non un misterioso omicidio avvenuto all'interno di un manicomio? Con l'aiuto di uno psichiatra che lo addestra adeguatamente e quello della fidanzata, che fingendosi sua sorella, denuncia alla polizia le sue turbe da fratello feticista, egli viene internato. Scoprirà la verità, ma a caro prezzo…


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