Belfagor me lo ricordo, faceva paura davvero.
Massimo se lo ricorda bene, la mamma lo proteggeva.
il film è sull'assenza, al protagonista manca qualcosa più della madre, gli manca un perché, e solo la dottoressa Elisa riesce a dargli una spinta decisiva a diventare un altro, non a dimenticare la madre, ma ad affrancarsi.
ci sono cose inutili nel film, le scene a Sarajevo (uno cattivo, molto cattivo, direbbe che è per dare una piccola parte a Piergiorgio, figlio di Marco Bellocchio), per esempio, ma c'è anche Roberto Herlitzka, per pochi minuti preziosi.
Massimo bambino è molto bravo, e anche da grande Massimo non delude, solo che vedere Valerio Mastandrea fuori dalla Roma popolare fa uno strano effetto.
non è un film indimenticabile, ma nel complesso è un bel film.
Marco Bellocchio fa un film onesto, da una sceneggiatura non originale, e con interpreti che sanno il fatto loro, e un direttore della fotografia che è Daniele Ciprì.
al cinema le luci e i colori di Daniele Ciprì rendono più che a casa, secondo me.
buona visione - Ismaele
Massimo se lo ricorda bene, la mamma lo proteggeva.
il film è sull'assenza, al protagonista manca qualcosa più della madre, gli manca un perché, e solo la dottoressa Elisa riesce a dargli una spinta decisiva a diventare un altro, non a dimenticare la madre, ma ad affrancarsi.
ci sono cose inutili nel film, le scene a Sarajevo (uno cattivo, molto cattivo, direbbe che è per dare una piccola parte a Piergiorgio, figlio di Marco Bellocchio), per esempio, ma c'è anche Roberto Herlitzka, per pochi minuti preziosi.
Massimo bambino è molto bravo, e anche da grande Massimo non delude, solo che vedere Valerio Mastandrea fuori dalla Roma popolare fa uno strano effetto.
non è un film indimenticabile, ma nel complesso è un bel film.
Marco Bellocchio fa un film onesto, da una sceneggiatura non originale, e con interpreti che sanno il fatto loro, e un direttore della fotografia che è Daniele Ciprì.
al cinema le luci e i colori di Daniele Ciprì rendono più che a casa, secondo me.
buona visione - Ismaele
…Intendiamoci,
l’argomento in sé è potente e significativo ma per poterlo narrare di nuovo
(oggi) in modo veramente convincente e personale forse sarebbe servita
un’impostazione meno scontata, e anche una sceneggiatura più attenta alla
costruzione umana del personaggio che, ad esempio, vediamo improvvisamente
giornalista sportivo e poi, altrettanto repentinamente, inviato in zona di guerra.
A ciò, si aggiunge il fatto che Valerio Mastandrea, pur all’altezza
(professionalmente) del compito che gli è stato assegnato (il ruolo del
protagonista da adulto), non sembra proprio plausibile nei panni di un medio
borghese nato e cresciuto nella Torino degli anni Sessanta e Settanta.
Fai bei sogni è, dunque, un’opera
cinematografica che riesce a tenersi in piedi soprattutto grazie alla sua
solidità registica, alla costruzione di alcune scene in cui l’emozione viene
comunicata in modo trattenuto, alla mano di un cineasta che è in grado anche
solo con alcune intense inquadrature di tenere accesa l’attenzione dello
spettatore. Queste ultime sono vere, autentiche, apparizioni estetiche di un
cinema di estrema importanza, quello di Marco Bellocchio, che ha dato
tantissimo alla cultura visuale del Novecento (In Italia, e non solo) ma che, a
nostro avviso, non sembra più possedere una tangibile spinta propulsiva.
…è potente e
rivelante la scena di lui Massimo - di nuovo restio - accetta l’incarico
offertogli dal direttore del giornale di rispondere ad una lettera in cui si
afferma l’odio verso le madri - e in generale l’ordine costituito. Nella
rubrica del giornale Massimo scrive in maniera viscerale, racconta la sua
esperienza sofferta, di figlio senza madre e con desiderio di abbracci.
Cosicché tutti i lettori conoscono il suo modo di esprimersi, fuori dalla
sezione sportiva o di cronaca cui aveva finora lavorato. Ma ciò sigla la fine
della purezza di Massimo. In questo caso ha usato la madre - e la sua morte -
per ottenere un successo mediatico, seppellendola definitivamente: è ciò che
infatti un altro giornalista gli fa notare, tanto che Massimo innervosito
attacca il telefono in faccia.
È forse
questo l’aspetto più innovativo che Bellocchio riesce ad offrire. Ovvero la
capacità di denudare una propria sofferenza, per far immedesimare sì i lettori,
ma aumentare anche il proprio business. È giusto usare l’esperienza intima per
ottenere successo? La madre di Massimo sarebbe stata d’accordo nel sentirsi
raccontata in un articolo di giornale? Se dal punto di vista giornalistico la
riposta è no, lo è da quello letterario. È un omaggio ad una donna che non c’è
più, ma dall'altra parte la si è usata per uno scopo anche economico - pur se
attraverso la trasfigurazione letteraria.
Sono gli
stessi pensieri intimi che il protagonista Massimo prova, e che Bellocchio
amplifica a dismisura fino a farla diventare un’ossessione. I film che Massimo
vede con la madre nutrono questo timore, da “Il bacio della pantera” a “Il
gabinetto del dottor Caligari”, e ogni visione si schiudeva con un abbraccio.
Fino al timore di essere catturato dalla figura demoniaca di Belfagor.
Alla
domanda sulle liceità di usare il dolore privato per scopi mediatici Bellocchio
non risponde, la semina. Una chiosa la offre la dottoressa Elisa mentre abbraccia
Massimo: “Lasciala andare”.
…Ora, si fa abbastanza fatica a capire cosa ci abbia
trovato Bellocchio in questo melodramma familiare ipersentimentalista e gonfio
di retorica con un protagonista orfano certo sofferente, ma pure qua e là
insopportabilmente narciso e autoriferito (vogliam parlare delle scene finali
quando il nostro non ha la minima parola di comprensione per la povera madre
accusandola, ancora!, di averlo abbandonato?). Una storia oltretutto trasposta
nel film con dialoghi al limite dell’inudibile, e con sequenze intere di cui
faremmo a meno, come l’escursione nei Balcani o quella sulla collina torinese
nella casa dell’amico ricco e stronzo. Per fortuna che Bellocchio c’è, ed è in
grado di cavare visioni e cinema vero anche da un feuilleton tra Carolina
Invernizio e Senza famiglia, per quanto aggiornato agli usi e agli
psicologismi della contemporaneità italiana. Specialista nel cinematografare
l’inconscio, appronta scene di un (sur)realismo più onirico che magico, dalla
bara della madre che sovrasta e schiaccia il bambino al megapresepe in cui par
di precipitare in un mondo parallelo. E le lezioni del sacerdote-mentore, e i
percorsi misteriosi nelle vecchie case colme di libri e carte e ogni possibile
soffocante arredo. E incubi e fantasmi e fantasticherie, molto giocando sul Belfagor televisivo anni Sessanta culto di
mamma e figliolo. La claustrofobia familiare, così bellocchiana da sempre,
trova in questo film un’altra occasione per imprigionare i personaggi e, per
contagio, pure noi spettatori. Bellocchio dissemina il suo racconto di
prefigurazioni, anticipazioni psichiche, premonizioni, come l’ossessione da
parte di Massimo bambino, ragazzo e adulto della caduta, del precipitare, una
spia di quello che sa ma non vuole ammettere di sapere. E via allora con la
statuetta di Napoleone lanciata dalla finestra, con Belfagor che precipita, con
il tuffo dal trampolino più alto della donna-salvatrice (una Bérénice Bejo
bellissima). Come in quel romanzo psicanalitico anni Ottanta, L’albergo bianco, dove la protagonista attraverso visioni inconsce pre-vedeva
e pre-sentiva quanto le sarebbe successo. Se solo Bellocchio avesse seguito con
più radicalità e convinzione questa traccia di connessioni, concantenazioni
inconsce, avremmo avuto un altro (e migliore) film…
…Bellocchio, capace di vertiginose astrazioni e di
altissimi afflati filosofici, racconta la storia di un salto nel vuoto
attraverso i tuffi di Cagnotto e la caduta dell'aereo del Grande Torino sopra
la collina di Superga, non mettendosi mai al di sopra di quelle "ovvietà
che sconvolgono" e che sono la forza primordiale del romanzo di Gramellini
perché parlano a tutti accantonando il comune senso del pudore (ma anche la
spocchia da intellettuale) come si fa quando ci si scioglie nel ballo, rendendosi
ridicoli e irresistibili nello stesso magico e imbarazzante istante. Le
raffinate musiche di Carlo
Crivelli sottolineano
invece la presenza costante di un battito nascosto che viaggia in direzione
contraria rispetto alla melodia di facciata, irrazionale e ingestibile come un
attacco di panico, rivelatore di una verità che nessuna glassa superficiale può
tenere nascosta…
da qui
…La trasposizione in pellicola di Fai bei sogni ad opera del nostro Marco Bellocchio però ha rovinato tutto come peggio non poteva. Non c’è nulla degli slanci e dello sguardo a tratti ironico riconosciuti al romanzo. Della luce che nonostante tutto, sorge. Il film procede stentato e tedioso, la sceneggiatura spezzata in lacci che non si annodano mai; nonostante la lunghezza niente e nessuno nel film “sta” nelle situazioni per il tempo sufficiente a entrarci in empatia, il montaggio passa da un decennio all'altro come a caso…
…La trasposizione in pellicola di Fai bei sogni ad opera del nostro Marco Bellocchio però ha rovinato tutto come peggio non poteva. Non c’è nulla degli slanci e dello sguardo a tratti ironico riconosciuti al romanzo. Della luce che nonostante tutto, sorge. Il film procede stentato e tedioso, la sceneggiatura spezzata in lacci che non si annodano mai; nonostante la lunghezza niente e nessuno nel film “sta” nelle situazioni per il tempo sufficiente a entrarci in empatia, il montaggio passa da un decennio all'altro come a caso…
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