Henri-Georges Clouzot è uno che sta nell'Olimpo dei registi, e anche in questo film, che dicono minore, si vede perfettamente.
tre anni dopo Testimone d'accusa (di Billy Wilder), Clouzot gira un film per metà in tribunale, durante un processo a una donna, il resto è racconto di quello che è successo, e che le parole del processo non rendono e non possono rendere.
BB, bravissima e bellissima, è già condannata a priori da giudici e giuria, troppo diversa da come bisogna essere, per gli avvocati un caso che segue i precedenti e precede i successivi, niente più.
e tutti gli attori sono perfetti (anche il poliziotto che la controlla a vista, durante il processo, uno sguardo parlante).
un piccolo capolavoro, da non perdere - Ismaele
questo è il millesimo post di questo blog, intanto.
tre anni dopo Testimone d'accusa (di Billy Wilder), Clouzot gira un film per metà in tribunale, durante un processo a una donna, il resto è racconto di quello che è successo, e che le parole del processo non rendono e non possono rendere.
BB, bravissima e bellissima, è già condannata a priori da giudici e giuria, troppo diversa da come bisogna essere, per gli avvocati un caso che segue i precedenti e precede i successivi, niente più.
e tutti gli attori sono perfetti (anche il poliziotto che la controlla a vista, durante il processo, uno sguardo parlante).
un piccolo capolavoro, da non perdere - Ismaele
questo è il millesimo post di questo blog, intanto.
QUI il film completo con i
sottotitoli in inglese
Un magico Clouzot con
un palco attori in stato di grazia, ondeggia tra il dramma passionale ed il
legal thriller, miscela un pizzico di spudoratezza, cinismo e ingenuità, fa
incontrare borghesi benestanti con giovani intellettuali della Comune e
realizza in definitiva un piccolo grande capolavoro. La Bardot è semplicemente
stupenda ed irriverente, il regista non lesina fugaci inquadrature alle sue
curve sinuose; dall'altro lato durante le fasi processuali ci sono due titanici
Meurisse e Vanel che dominano la scena e non mancano di suscitare qualche
sorriso. Il finale è probabilmente prevedibile ma godibile, una storia che
sembra vertere sul mito della Bardot come icone sexy e come figura femminista
ed indipendente più che concentrarsi sul dramma processuale e sentimentale vero
e proprio. Clouzot si conferma un regista immenso.
La Veritè è
l'ennesimo film da recuperare di un regista messo un po' troppo in disparte.
Aldilà dell'oggettività dei fatti, ciò che si vuole processare è principalmente
la condotta dell'imputata, contraria alla morale benpensante. La condanna che
si vuole emettere è già scritta e pesantemente condizionata fin dall'inizio,
giacchè non viene lasciato spazio ad alcun tipo di attenuante. In quest'ottica
l'utilizzo dell'attrice/icona Brigitte Bardot è perfetto nella sua
funzionalità. Il suo modo di essere, la sua sensualità così provocante, ma
vissuta in maniera sincera e genuina fa storcere più di una volta il naso agli
astanti. Di conseguenza diventa un meccanismo da stritolare a tutti i costi.
… La vérité est à plus d'un titre ironique. Il renvoie aux jeux de dupes
du tribunal, véritable scène pour les journalistes qui se soucient uniquement
de leur papier et pas de l'affaire. De même, comme au spectacle le public
est vivant suivant les actions des protagonistes. Tout le monde se fiche de la vérité car seule compte celle
que l'on veut entendre ou faire entendre…
… Ce que
nous transmet La Vérité à
travers cette scénographie mettant en place un duel entre l'accusation et
l'accusée, c'est un autre combat : celui du cinéaste et de son actrice. Clouzot veut casser le mythe pour
faire jouer l'actrice. Dans la première partie il joue sur son image, lui fait
danser le cha-cha-cha et met en avant ses formes généreuses et son regard
polisson. Dans la deuxième, le procès, il entend arracher ce masque et
la montrer dans sa nudité de femme malmenée par la vie. Il la bouscule sur le tournage et
elle résiste. Les journalistes s'emparent de ce tournage sulfureux qui dure
plus de trois mois et épuise Clouzot. Sa femme Véra est hospitalisée, mais
c'est un échange de baffes entre l'actrice et le réalisateur qui fait les choux
gras de la presse people. Ce combat contamine tout le film ; et l'on ne voit
plus Dominique mais Bardot, on ne voit plus le procureur ou le juge, mais le
cinéaste. C'est un constat d'échec de la part du cinéaste et la grande limite
de cette œuvre - l'une des plus faibles de Clouzot - mais c'est aussi sa singularité
qui fait qu'aujourd'hui encore on peut s'intéresser au film…
… La succession de séquences brouille les
pistes tout en constituant l’assemblage d’un puzzle narratif, même si la
linéarité est respectée dans les retours en arrière. Le montage judicieux
d’Albert Jurgenson n’est pas pour rien dans la montée de tension dramatique qui
en résulte. Si La vérité s’avère aussi un véritable film
d’atmosphères, on appréciera la qualité des portraits que le cinéaste brosse
des quartiers parisiens et de ses microcosmes, au-delà des stéréotypes.
L’indulgence du cinéaste ne touche que les tenants de la liberté ou de
l’intégrité, à l’instar de Michel (Jean-Loup Reynold), l’étudiant
anticonformiste, ou du couple formé par le vieil avocat Guérin (Charles Vanel)
et sa fidèle assistante (Jacqueline Porel), rares figures d’humanité dans un
monde sans pitié. La vérité est enfin la révélation du talent de
tragédienne de Brigitte Bardot, dont les qualités dramatiques avaient déjà été
déployées dans En cas de
malheur (1957) de Claude
Autant-Lara. Tout en étant fidèle à son personnage et son mythe, l’actrice se
montre ici digne des plus grandes, et en particulier quand elle crie le désespoir
de son personnage. Ce film demeure, avec Le mépris, le
meilleur de sa carrière.
Nessun commento:
Posta un commento