domenica 26 luglio 2015

Il gusto del sakè - Yasujirô Ozu

la tradizione, una figlia femmina si deve sacrificare per il padre, e poi sarà troppo vecchia per sposarsi.
Ozu si interroga sulla vecchiaia (intanto non sapeva che, a 62 anni, era il suo ultimo film), e il protagonista si interroga, e lui e i suoi amici bevono così tanto che morranno alcolisti, se continueranno così.
si ride anche, rumorosamente, ma lo sfondo è triste, e come poteva essere diverso?
è un film geometrico, la cinepresa sta ferma, si muove il resto, sembra una cosa folle, è perfetta, nessuna smagliatura.
leggo qui che qualche pazzo (sempre sia lodato) porta al cinema i film di Ozu.
cercate Il gusto del sakè, è Cinema - Ismaele





Tre uomini di mezza età, Kawai, Horei e Hirayama, si ritrovano a una celebrazione a bere insieme a un loro anziano insegnante. Quest'ultimo, che vive in povertà, rivela la sua disperazione per aver impedito alla figlia di sposarsi e averla così condannata all'infelicità. Hirayama, che si trova in una situazione analoga, vedovo e accudito dalla figlia Michiko, comincia a pensare che sia tempo di trovare uno spasimante all'altezza di Michiko.
Ricordato dai più come l'ultimo film di Ozu, e di conseguenza come il suo testamento, Il gusto del saké non è mai stato pensato per essere tale, visto che il regista stava lavorando a un altro film quando il male ha avuto il sopravvento su di lui. Ma i fraintendimenti si spingono fino al titolo, visto che né quello italiano né quello internazionale - An Autumn Afternoon - si avvicinano all'originario Il sapore della costardella, dal nome di un pesce che in autunno si avvicina alle coste per riprodursi. Questioni di anagrafe cinematografica a parte, l'opera sviluppa coerentemente il discorso autoriale dei film dell'ultimo periodo del regista, quello a colori. Emancipazione femminile che lentamente guadagna conquiste, consumismo e tecnologia che crescono di pari passo, evoluzione di un'identità nazionale salvaguardata attraverso i punti fermi della società umana (matrimonio, aiuto reciproco tra genitori e figli).
Nei pochi minuti che seguono l'incipit sono condensate tutte le situazioni tipiche di Ozu. Tentativi di combinare matrimoni, anziani che indulgono in chiacchiere licenziose davanti a un bicchiere di saké, i tempi che cambiano. E le situazioni si ripetono in maniera duale: per un personaggio oggetto di un'azione ce n'è sempre un altro nella medesima situazione. Così, per il rifiuto di mogli e figlie di sbrigare faccende domestiche a comando, come per un padre vedovo con una figlia in età da matrimonio, guardare all'altro da sé aiuta a comprendere meglio la propria situazione individuale…

Il 1962 è l'anno di uscita de "Il gusto del sakè" e nessuno si sarebbe immaginato che quello sarebbe stato l'ultimo film della lunga carriera di Yasujiro Ozu, il regista giapponese più importante insieme ad Akira Kurosawa. Ancora il cinema di Ozu stupisce per la semplicità e la sintesi con cui riesce ad imprimere sul grande schermo i moti emotivi dell'anima, senza per questo dimenticarsi di gettare il suo sguardo sulla società giapponese di quegli anni. Nel raccontarci la storia di Shuhei Hirayama, Ozu compie un'importante riflessione sulla vecchiaia alla luce di un complesso rapporto tra padre e figlia. Il film non è altro che la lunga descrizione, a momenti con toni leggeri in altri momenti più gravi, della maturazione di un uomo che deve affrontare il proprio egoismo e la propria gelosia paterna per lasciar sposare la figlia. Il tutto è descritto con delicatezza e garbo, quasi come se la regia fossero un insieme di immagini sussurrate, come se ci trovassimo nel cervello ordinato del signor Hirayama…

Nel Giappone il pensiero confuciano ha creato una famiglia forte, con dei legami profondi e puri. La pietà filiale obbliga i figli a prendersi cura dei genitori fino alla loro morte. Devono ripagare il debito nei loro confronti. Shuhei Hirayama è vedovo. Ha due figli. Michiko, la maggiore, di venti quattro anni ed un figlio più giovane. La figlia ha superato l’età da matrimonio, ma non mostra interesse nello sposarsi in quanto il suo dovere è stare con il padre. Le riprese sono tutte a livello del pavimento, deliziose. Camera ferma. Le persone passano davanti in base al loro compito. I personaggi principali invece si siedono di fronte. Il film ha una tecnica molto bella. In un mondo di immagini agitate ma anche irregolari, in Ozu c’è una grande pulizia, di grande candore. Tutto è già deciso per linee geometriche, disegnate Questo linguaggio è la forza di un pensiero ordinato: quello del padre e della figlia. E’ un film di grande emotività, umano. Il padre si convincerà di dare sua figlia in moglie, a malincuore. Accondiscende perché quello è il suo dovere. La figlia accetterà: quello è il suo dovere. Sapere del futuro marito è insignificante. Ozu non lo mostra neppure. E neppure ci interessa. Siamo affascinato dall’amore filiale e dal dovere. Commovente è la scena finale. La figlia si è sposata ed è via di casa. Il padre torna dalla cerimonia. E’ felice e triste. Si sente solo. A casa c’è solo il figlio. Saranno le sue parole a riportare il giusto ordine delle cose: “Sarò io a prepararti la colazione domani.” Il figlio conosce i suoi obblighi e per la prima volta si pone al servizio del padre.



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