il film è una mezza delusione, c'è grande mestiere, scene forti e a volte memorabili, ma la storia non mi ha preso più di tanto, anzi poco.
i film belli di Kim Ki-duk sono "Ferro 3", "Primavera, estate..." e Bad guy", secondo la mia opinione, questo si può vedere, ma non è indimenticabile, le cose migliori sono quelle nelle quali i ritmi sono lenti e non serve la violenza, altri sono molto più bravi, in Corea, nei "generi" vendetta e violenza.
so di essere in minoranza, Fantozzi aveva usato parole più estreme per un film capolavoro, questo non è da disprezzare, ma il capolavoro è lontanissimo, a Venezia hanno fatto un pasticcio - Ismaele
"Pietà"
è la storia di un contrappasso, di una rieducazione forzata, di un
rovesciamento tra vittima e carnefice, di una abisso morale che non ammette
ritorni e risalite. Kim-Ki duk è un genio dello stile. Racconta con immagini
crude e asciutte, al limite del sostenibile, nel contempo realistiche e
simboliche, descrivendo gesti e ambienti con precisione tagliente, giocando tra
crudeltà e conati di tenerezza. Cinema d'autore certo, ma questa volta la
cerebralità ci è sembrata eccessiva rispetto alla capacitrà di emozionare.
L'esercizio è diventata una lezione, non una testimonianza che sa di un
"corpo a cuore". L'immagine michelangiolesca della Pietà è solo una
citazione che non si consustanzia. E se fosse questo il meno riuscito dei suoi
film? Che poi abbia vinto a Venezia, non ci può fregare di meno. A me è
piaciuto più Bellocchio.
…Adottando una messa in scena che sfiora più volte la
tragedia greca, il regista si sofferma su un sentimento di pietà che sgorga
dalla società contemporanea, soggiogata da violenza e soprusi e che trova nel
dio denaro l’origine e la fine di tutte le cose. Inevitabilmente il titolo
dell’opera si ricollega al capolavoro di Michelangelo, come testimoniato da una
delle immagini di locandina, un’immagine che abbraccia il dolore e la
sofferenza dell’umanità intera. La regia vivace ed eclettica non cade mai
vittima del virtuosismo più sfrontato, anzi, aiuta il regista a non prendersi
sul serio pur analizzando concetti importanti e di denuncia. Ecco allora che
ironia ed egocentrismo fluiscono costantemente, tra una gamba fracassata e un
braccio mozzato c’è posto per più di un sorriso, irrisione crudele, forse, di
un mondo che non accetta il fatto di prendersi mai seriamente e che è destinato
a non cambiare le sue radici, quelle insite nella natura di un uomo come
l’avidità, la violenza o la vendetta. Imperfezioni di scrittura si ravvisano
con facilità ma i colpi di scena non mancano e questo basta per coinvolgesi
totalmente nel nuovo progetto del cinquantaduenne coreano…
…La struttura apertamente
allegorica sull’omicidio di tutta una classe della società coreana,
esplicitamente dichiarata dalla sequenza in cui il protagonista guarda lo
skyline della città e il quartiere di baracche di lamiera destinato a sparire
per far posto agli ennesimi grattacieli, diventa il limite più pesante e
asfissiante di un film malauguratamente tra i meno riusciti di Kim Ki-duk, che
non riesce a far vibrare – se non nel balenio tremolante e effimero di alcuni
fulgidi istanti – il rapporto tra la madre ritrovata e il protagonista…
…Una storia potente che, tuttavia,
nel suo dispiegarsi avverte la mancanza di qualcosa come se il regista coreano
avesse (forse volutamente?) sottratto una serie di elementi cari al suo cinema.
Non c’è la poesia di Ferro 3, né la nota
struggente de La samaritana o l’incanto della Natura di Primavera, estate, autunno,
inverno… e ancora primavera ed è come se, in questo film,
mancasse quel tocco – seppur estremo – di magia che ci ha fatto amare, quasi
incondizionatamente, le opere precedenti. Il film tocca così le corde profonde
del dolore ma, al tempo stesso, rende visibile un’assenza, ovvero l’incanto di
quello stile che sa coinvolgere fino in fondo, nella visione e nel racconto.
Resta, sì, l’intensità ma senza il prodigio.
Mi hai dato un colpo al cuore. :(
RispondiEliminaIo ci contavo parecchio. Comunque sono d'accordo sui titoli in pole position a cui ci aggiungo anche La samaritana.
"La samaritana" è solo quarto:)
Eliminaappena lo vedi mi fai sapere
Ti dirò, anche io uscito dal cinema sono rimasto un po' con l'amaro in bocca, poi però il film è cresciuto e posso ritenermi soddisfatto. La rappresentazione del contesto economico e sociale manca di sostanza, quella che invece riguarda l'umanità e i conseguenti legami tra madre e figlio l'ho trovato riuscito.
RispondiEliminaCredo che ci sia molto da ragionare intorno al concetto di "pietà" applicato da Kim, significati religiosi (di dio) e personali (dell'uomo). La vendetta non è per me il fulcro ma solo un mezzo usato dal coreano.
Insomma, carne ce n'è a mio avviso.
forse dipende dal fatto che sono vegetariano:)
RispondiEliminala parte migliore è l'ultima parte e il sacrificio finale, una fine (in entrambi i sensi) sconvolgente.
per arrivare all'ultima parte si deve soffrire, poi si viene ripagati, ma per arrivarci...
concordo, il fatto è: possibile che a Venezia non ci fossero film superiori a questo? Ovvero: perché The Master non ha vinto il Leone?
RispondiEliminaqui (http://luigilocatelli.wordpress.com/2012/09/08/venezia-festival-il-giallo-del-leone-doro-pare-che-la-giuria-avesse-deciso-per-the-master-ma-poi/) un'ipotesi
RispondiElimina