martedì 29 maggio 2012

Le montagne blu (Tsisperi mtebi anu daujerebeli ambavi) – Eldar Shengelaya

del 1984, divertente e amaro, assomiglia a qualche film italiano comico d'ambiente ministeriale degli anni '60, con Totò o Manfredi.
vale la pena di trovarlo e vederlo, fa ridere, ma non solo - Ismaele


In 4 quadri e con epilogo si narrano le tragicomiche peripezie di uno scrittore georgiano che cerca inutilmente di far pubblicare il suo ultimo romanzo Montagne blu. Nel palazzo tutti, impiegati e dirigenti, hanno qualcosa d'altro da fare, mentre crepe minacciose fanno breccia nei muri finché l'edificio crolla. Nell'epilogo lo scrittore entra in un edificio nuovo, ma comportamenti e rumori sono gli stessi. Pur con smagliature tra il 2° e il 3° movimento, Shengelaya approda a una satira feroce e divertente, animata da una piccola folla di personaggi schizzati con brio. Conferma, a ritroso, come il cinema georgiano sia stato il più vitale e spregiudicato delle repubbliche sovietiche.

E' un'efficace satira del mondo del lavoro sovietico, soffocato dalla burocrazia e dai comitati, come pure popolato da impiegati e funzionari svogliati e inconcludenti. Il tono è leggero e ironico, sicché il film non scade mai nella farsa (grande pregio, questo), ed è portato avanti con inventiva e fantasia. Si potrebbe anche dire che la vicenda inizia con una certa serietà, ma si fa via via più ironica col crescere delle lungaggini e delle difficoltà, fino a diventare praticamente comica quando si raggiunge l'assurdo verso la fine. Lo strapotere della burocrazia - che non garantisce nulla ma ostacola solo il lavoro - e l'irraggiungibilità della meta sono elementi che ricordano molto da vicino i testi di Kafka. Lo stesso si può dire dell'idea che in teoria la trafila burocratica è percorribile e conduce alla meta, in pratica però non ci si arriva mai e ci si perde nel dedalo delle procedure. Se queste sono già di per sé farragginose, dall'altro lato vi sono impiegati che non hanno voglia di lavorare, e temporeggiano come possono con l'obiettivo di non fare il lavoro affatto. Il buffo è che inizialmente tutti dicono al povero scrittore che avrebbero letto il testo da approvare senza indugio, anche se dimostrano fin da subito col modo di fare che non sono affatto ansiosi di leggerlo: chi lo dimentica da qualche parte, chi lo presta a qualcuno, chi non ha tempo, chi è subissato da inutili riunioni e inutili telefonate, chi è sempre assente...

2 commenti:

  1. sì, ci vuole un po' di pazienza all'inizio ma poi piace, un po' come capita col Bolero di Ravel
    :-)
    visto quand'era nuovo, rivisto poco tempo fa, non è cambiato molto. Forse il gemello di "Prova d'orchestra" di Fellini, che però è più terribile e più profetico.

    RispondiElimina
  2. e poi qui manca il direttore.

    è vero, mica facile entrare nel film, poi sembra che i georgiani siano quelli con l'umorismo più vicino al nostro, di tutta l'ex-Urss

    RispondiElimina