lunedì 6 febbraio 2012

L'arte di vincere - Bennett Miller

certo la storia della figlia di Brad Pitt è un po' inutile, per i miei gusti, ma nel complesso il film è davvero meritevole.
Brad Pitt è bravo, te lo aspetti.
posso dare un motivo, necessario e sufficiente per vedere questo film, per i dubbiosi: Jonah Hill merita l'Oscar per il miglior attore non protagonista - Ismaele



L'idea di fondo de L'arte di vincere è molto forte, oseremmo dire “politica” nel senso inteso più ampio del termine, così come lo concepisce Aaron Sorkin: un sistema correttamente eseguito e basato sull'interazione di un gruppo di individui può essere più valido del singolo che eccelle. Miller mette in scena questo messaggio e gli uomini che tentano di renderlo verità con ottima professionalità, aiutato dalla fotografia elegante di Wally Pfister. 
L'arte di vincere non deve essere confuso per un semplice film sportivo, quando invece è una storia basata su chi resta nelle retrovie e vede lo sport come comunità, spinta etica, ideale raggiungimento dell'eccellenza. La visione del baseball che il film ci propone è molto interessante, per niente scontata, e dietro di essa ovviamente c'è l'America come ognuno vorrebbe che fosse. Magari anche ferita e rabbiosa, ma sempre disposta a credere nel miglioramento collettivo.

Molte storie cinematografiche hanno calcato i campi sportivi dalla forma di diamante. Anche questa si inserisce quasi nel filone dei film di genere, distaccandosene grazie a un’angolazione abbastanza inconsueta, dato che la rappresentazione dell’evento agonistico non è così marcata. Anzi, spesso è demandata a filmati di repertorio recuperati per sottolineare la veridicità dell’accadimento. 
E accanto a questi unisce la frenesia per la ricerca di un posto nel mondo messa in atto da una persona già grande, associandovi quella più grossolana dei grandi vecchi scout, per poi intervallare con la presenza contenuta ma abbacinante dell’allenatore interpretato da Philip Seymour Hoffman (cosa non riesce a fare con alcuni movimenti delle braccia e calzando un semplice cappellino!).

Sarei stato curioso di vedere come avrebbe diretto la vicenda Steven Soderbergh, licenziato poco prima dell’inizio delle riprese e sostituito da Miller. Rimango col dubbio (o semmai con una segreta speranza) di una vicenda raccontata sottolineando l’aspetto retributivo dei giocatori e il loro impiego quasi meccanico. Avrei preferito un approfondimento su questo aspetto, qui appena accennato e preso poco in considerazione; alla fine Billy sembra un manager irritabile e disinteressato come tanti altri. Non so quanto basti la rispolverata del suono di una chitarra rossa per salvargli le chiappe da una collocazione appena appena sentimentalistica…

L’arte di vincere, questo il titolo italiano, è 5% di baseball giocato e 95% di baseball parlato. Principalmente si parla appunto di numeri, di soldi e stipendi, di valori e percentuali di rendimento dei giocatori, secondo il rivoluzionario modello matematico messo a punto da Michael Lewis, sorta di beautiful mind delle statistiche sportive e autore del libro su cui si basa la sceneggiatura. È meglio fare un esempio: c’è una scena in cui Brad Pitt e Jonah Hill (prima d’ora specializzato nel ruolo dell’adolescente arrapato in alcune celebri commedie teen) gestiscono una sorta di contrattazione triangolare, una compravendita di giocatori con alcuni manager di altre squadre, il tutto al telefono. Detto così, può sembrare un passaggio altamente anticinematografico, e invece è una delle scene più godibili del film (in sala ridevamo in molti). A scoprire le carte, ovviamente, si trovano alla sceneggiatura due fuoriclasse come Steven Zaillian (Schindler’s List e Gangs of New York, per dire) e Aaron Sorkin (The Social Network, ultimamente). Per parte sua il regista (qui all’opera seconda dopo Truman Capote – A sangue freddo) adotta un punto di vista coraggioso e sta nel backstage, tra uffici e spogliatoi, dove le partite si vedono in tv e si analizzano su un monitor…

3 commenti:

  1. Insomma è piaciuto anche a te. A dire il vero non mi attira per nulla e di sicuro non lo vedrò al cinema, però a questo punto sarei sciocco a non farlo neanche più in là. Non ho letto una sola critica negativa.

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  3. se mi chiedi se è un'"americanata" ti rispondo che lo è, ma fatta bene e con una sceneggiatura davvero buona.
    non è un film imprescindibile, ma di sicuro te lo ricordi per Jonah Hill, ma non solo.

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