Corso Salani sceglie come protagonista Eliana, un'attrice che vuole spostarsi da Tel Aviv a un kibbutz, nel deserto del Neghev (ai confini dell'Europa?). Eliana scopre pregi (e difetti?) del kibbutz sionista e socialista di Yotvava.
i responsabili del kibbutz incensano la loro utopia, i palestinesi, i selvaggi, non esistono.
buona (kibbutziana) visione - Ismaele
QUI si può vedere il
film completo
L’attrice israeliana Eliana Schejter, in fuga dalla
frenesia metropolitana e alla ricerca di un ‘altro mondo’ a misura d’uomo,
decide di sperimentare il modello di vita del kibbutz Yotvata, nel deserto del
Neghev, al confine con la Giordania. Dai grattacieli di una Tel Aviv
ultramoderna al paesaggio arso e desolato del Neghev, si assiste al repentino
passaggio dal modello neocapitalista di stampo europeo alla proposta di una
società basata su valori etici comunitari, che tuttavia si fonda sulla difesa
militare dei propri confini, garantiti grazie agli M16. Nella vita del kibbutz
tentano di incarnarsi e convivere utopia socialista e ideologia sionista.
Salani osserva questo progetto comunitario,
raccontando le tappe obbligate che la sua guida Eliana dovrà seguire per essere
accolta nel kibbutz: il periodo di prova dura due anni, durante i quali si è
sottoposti al severo giudizio della comunità che dovrà alla fine votare a
maggioranza l’accoglienza dei nuovi membri. Il risultato è uno sguardo inedito
sui meccanismi su cui si fonda il modello sociale proposto dal kibbutz:
uguaglianza di diritti e doveri, formazione identica per tutti, uguali salari.
Ogni momento della vita aggregativa e lavorativa è esplorato con discreta e
attenta partecipazione: l’istruzione, il lavoro nel settore caseario, la
difesa, il tempo libero, gli spazi ricreativi e il teatro.
Al termine del suo viaggio lungo i margini
dell’Europa, Salani ci porta fuori dai confini geografici del continente, in
Israele, Stato il cui perimetro è stato modellato al tavolo della storia più
recente, mostrandoci per la prima volta una rappresentazione concreta e
visibile del confine: come limite, linea di demarcazione che ci separa
dall’altrove, luogo di emergenza di scambi e contraddizioni generati da questo incontro,
ma anche come linea che si cancella e riscrive per definire nuovi spazi
interiori, tratto sempre mutevole entro cui disegnare la storia e la nostra
identità.
Al confine d’Europa c’è Israele:
paradossale ma illuminante considerando la provenienza dei suoi abitanti. E al
suo confine ci sono i kibbutz, chiusi da recinzioni nel deserto: un altro mondo
e al tempo stesso l’incarnazione ultima di un’utopia europea, sionista e
socialista, devota a un comunismo basico e radicale. E così il viaggio della
ragazza in fuga da Tel Aviv diventa una vera piccola indagine, tra fascinazione
e disagio, di una realtà anomala in un territorio anomalo, che invita lo
spettatore a riconsiderare il senso dei valori e dei confini.
Dai grattacieli di una Tel Aviv
ultramoderna al deserto del Neghev si assiste al repentino passaggio dal
modello neocapitalista di stampo europeo alla proposta di una società fondata
su valori etici e difesa con gli M16: nella vita comunitaria del kibbutz
tentano di incarnarsi e convivere utopia socialista e ideologia sionista.
Salani osserva questo progetto comunitario,
raccontando le tappe obbligate che la sua guida Eliana dovrà seguire per essere
accolta nel kibbutz: il periodo di prova dura due anni, durante i quali si è
sottoposti al severo giudizio della comunità che dovrà alla fine votare a
maggioranza l’accoglienza dei nuovi membri. Il risultato è uno sguardo inedito
sui meccanismi su cui si fonda il modello sociale proposto dal kibbutz:
uguaglianza di diritti e doveri, formazione identica per tutti, uguali salari.
Ogni momento della vita aggregativa e
lavorativa è esplorato con discreta e attenta partecipazione: l’istruzione, il
lavoro nel settore caseario, la difesa, il tempo libero, gli spazi ricreativi e
il teatro.
Al termine del suo viaggio lungo i margini
dell’Europa, Salani ci porta fuori dai confini geografici del continente, in
Israele, Stato i cui bordi sono stati modellati al tavolo della storia più
recente, mostrandoci per la prima volta una rappresentazione concreta e
visibile del confine.
Esso è limite, linea di demarcazione che ci
separa dall’altrove, luogo di emergenza di scambi e contraddizioni generati da
questo incontro. Ma il confine è anche bordo, linea che si cancella e riscrive
per definire nuovi spazi interiori, tratto sempre mutevole entro cui disegnare
la storia e la nostra identità.
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