martedì 25 settembre 2018

Naufragio – Pedro Aguilera

Robinson non parla molto, è arrivato con qualche barcone, passa per l'esperienza dello sfruttamento nelle serre e poi in fabbrica.
ha la fortuna di trovare qualcuno che gli vuole bene, a suo modo.
ma sembra che lui abbia una missione, ogni tanto è affetto da attacchi di qualcosa che sembra epilessia.
alcune pietre sconosciute a noi gli indicano il cammino, interrogate danno delle risposte che non sappiamo.
Robinson arriva dall'Africa, è gentile e misterioso, ma inquietante, come tutto ciò che non si capisce.
un film che non si dimentica facilmente.
buona visione - Ismaele







Naufragio è un film scomodo, a malapena classificabile, la cui indefinibile cripticità si apre ad una varietà non numerabile di interpretazioni e approcci che in ultima analisi prima che comunicare con una sfera razionale si rifanno direttamente al rapporto tra immagine e percezione, tra immagine ed interiorità. che questo viaggio sia un viaggio nell’anima o dell’anima, un’allegoria demoniaca o una metafora messianica, poco importa. così come poco importa che robinson sia un clandestino, un demone, un semi-dio o un messia. quest’immagine non nasconde un segreto ben preciso, ci rende soltanto un mistero.

Naufragio, ad uno sguardo ulteriore, diviene inoltre metafora. Robinson viene “gettato” sulla Terra unicamente per percorrere quel “viaggio dell’eroe” di volgeriana memoria. Egli viene investito della funzione di protagonista, e gli viene conferito anche un antagonista con cui scontrarsi per “risolvere” l’intreccio. Ecco dunque che Naufragio diventa una metafora stessa, non tanto (o non solo) del cinema, quanto (anche) del “racconto”. Cosa che giustificherebbe, tra l’altro, l’atmosfera straniante che si respira lungo il corso del film.
La regia di Aguilera si è fatta più sottile e personale rispetto al precendente La influencia. La costruzione del tessuto visivo è attenta nel rispecchiare il mondo di Robinson: la visione è come filtrata da una soggettivizzazione dei quadri, che non mancano sovente di “vibrare” per restituire la tensione emotiva del protagonista stesso. Il sonoro, sempre in primo piano, amplifica questo cinema tutto sensoriale vicino a registi come Bruno Dumont e Carlos Reygadas. Due registi non casuali, ma importanti per comprendere – almeno in parte – la strada che Aguilera, con Naufragio, vuole percorrere. Due autori accomunati da un interesse per un cinema di sensazioni, finalizzato ad una sorta di trascendenza di tipo spirituale, sottolineata, spesso, dalle tematiche stesse affrontate dai film. Con Naufragio Aguilera anticipa, per così dire, il Dumont di Hors Satan costruendo un film che si poggia principalmente su di una figura messianica che è, a tutti gli effetti, “al di là del bene e del male”: un nuovo Zarathustra – come lo sarà Le Gars -, che attrae inspiegabilmente chi gli sta attorno.
A missione compiuta, Robinson scompare nell’oscurità. Torna ad essere un’ombra, seguendo un fuoco fatuo in fondo ad una caverna. Che sia anche questa una sottile metafora del mezzo cinematografico e del racconto? Che il nostro protagonista, una volta conclusa la storia, ritorni ad essere solo un fantasma, solo più una “possibilità” di una storia? Questo non lo sappiamo: possiamo solo immaginarlo.

Después de un debut tan duro como "La influencia", Pedro Aguilera regresaba al largometraje tres años después con "Naufragio", que no le andaba a la zaga. Interpreto esta segunda obra, y no soy el único, como una suerte de revisión de la historia de "Robinson Crusoe", de Daniel Defoe, en clave inversa: ahora tenemos a un inmigrante africano llamado precisamente Robinson que llega a Europa y que emprende aquí su aventura en busca de una vida mejor como un paria total. En concreto, llega a España, y en concreto, valga la redundancia, a Almería, al sur del país, a un pueblo deprimido donde sí que hay cierto trabajo en la agricultura para los inmigrantes como el protagonista, que hacen la labor que los nativos no quieren hacer. Pedro Aguilera insiste en el cine social más crudo retratando las consecuencias una vez más de la pobreza, pero ahora centrándose en la búsqueda del "Sueño Europeo", que resulta ser una pesadilla. En un estilo pausado, minimalista, a veces extrañamente alucinógeo y con ciertas metáforas, el director nos introduce en un ambiente hostil y deprimente poblado por unos personajes despreciables y directamente feístas donde, sin embargo, queda algún resquicio para la esperanza y para la dignidad de las buenas personas. "Naufragio" es muy dura, pero no es tan desesperanzada como "La influencia", y tiene algunas escenas verdaderamente hermosas y algunos personajes que consiguen conmover entre tanta inhumanidad de la peor calaña. El filme, además, habla de homofobia, de machismo, de escasas miras vitales, de un enfrentamiento generacional terrible y de una vida rural embrutecida alejada de toda idealización. "Naufragio" es horror cotidiano, frustración, apatía, miseria y negrura en unos espacios opresivos y atascados en lo rancio hasta sus últimas consecuencias. Y, sin embargo, es también belleza y lucha por un futuro mejor. Creo que es una película española poco conocida e imprescindible. Hay que reivindicarla.

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