Martin
Scorsese firma il suo ultimo film, ambientandolo appena fuori Gioia Tauro, in
un villaggio di case abitate da calabresi di etnia rom,
Pio
è un ragazzino che non va a scuola, forse non è mai stato bambino, sicuramente
si deve già comportare come un uomo, diventa il leader della famiglia quando il
padre e il fratello maggiore sono in galera.
a
sua volta è fratello maggiore di altri bambini ed esempio per molti altri, è
ingenuo, ma determinato, impara in fretta tutto quello che serve per crescere e
sopravvivere nella giungla della vita, non ai confini della legalità, ma
proprio fuori.
sembra
proprio un film del neorealismo, dove i bambini hanno modelli che imiteranno,
come sempre, ci sono in più gli smartphone, ma il resto non cambia.
e poi
c’è il mito del cavallo, quando i rom li usavano ancora, e li veneravano (mi è
venuto in mente un bel film
di qualche anno fa, protagonisti gypsies irlandesi con gli amati cavalli)
pochi
hanno visto A Ciambra, ma sono anche pochi quelli che avrebbero potuto
vederlo, al cinema.
intanto
è il candidato all’Oscar per l’Italia, buona fortuna, se la merita.
chissà
che dopo la nomina qualche sala lo metta in programmazione, difficile, ma se
accadesse non fatevelo sfuggire - Ismaele
ps:
naturalmente il film non è di Martin Scorsese, che però lo produce.
il
regista è Jonas Carpignano, bravissimo.
…Quello di Pio è un ritratto come non se ne fanno più nel
cinema italiano. Un ragazzo alla ricerca affannosa ma ostinata, caparbia, di un
punto di riferimento, di un appoggio nell’amore, nell’affetto. Questa la sua
impresa eroica. Dietro ai piccoli avvenimenti che si succedono nella comunità,
dietro al caotico guerreggiare e sovvertire di Pio troviamo un adolescente che
si sta affacciando all’età adulta in conflitto con la famiglia. È combattivo ma
in fondo spaurito come chiunque si trovi di fronte all’entrata in una terra
incognita. La richiesta di attenzione e amore per quanto confusa è evidente. E
la frenesia che in numerosi tratti pervade il film è come il riflesso del caos
e dell’inquietudine di Pio.
Inquietudine e caos sfociano in un rapporto empatico e
intenso con la comunità di immigrati africani e in particolare con uno di essi,
un giovane molto carismatico. Pio è spontaneo, privo di pregiudizi e tratta
tutti allo stesso modo, compresi i “marocchini”, come i rom chiamano gli
africani.
Carpignano riproduce con vivida precisione i dialoghi delle
due comunità. Sembra tutto spontaneo, ma tutto è scritto. Il suo film ritrova
gli intenti del neorealismo, senza mai scimmiottarlo scolasticamente. In
effetti il suo stile è diverso, forse più prossimo a quello dei fratelli
Dardenne o di Robert Bresson. E siamo lontani da tanto cinema italiano che
scivola nell’ovvio e nel telefonato, dai facili sentimentalismi e dagli
ammiccamenti. Gli stati d’animo, la sofferenza e la condizione umana sono
restituiti attraverso un’attenta rappresentazione dei comportamenti e degli
eventi che ne conseguono. Nel movimento della vita.
L’intero film in realtà, dietro un’apparenza documentaria,
rifiuta l’eccesso di evidenza dell’immagine patinata, la fotografia del film fa
percepire la grana dell’immagine, è frequente una sorta di effetto di
sospensione, di galleggiamento della temporalità, sono ripetute le tonalità di
verde scuro e grigio-azzurro, anche nei ricorrenti tramonti, albe e crepuscoli,
creando un effetto ovattato, uterino. Il regista, anche grazie a una troupe
affiatata, rivela una sensibilità pittorica, non pubblicitaria, riuscendo a
rendere bello tutto quello che viene inquadrato, anche i rifiuti. Riesce quindi
a esprimere atmosfere intense, in bilico con l’onirico, che culminano con la
lunga sequenza notturna dove ritroviamo l’uomo e il cavallo del prologo.
E poi si crea un tono intimo e di forte empatia verso
esseri umani che sono quotidianamente oggetto di odio e diffidenza, verso le
minoranze etniche, verso azioni che normalmente non sono considerate buone. Ma
il film rovescia l’equazione: comportamenti ritenuti cattivi non equivalgono
per forza a esseri umani cattivi. Un’empatia rivoluzionaria perché va contro
tutto quello che mezzi d’informazione e politica riversano contro di loro…
...El
tono realista no impide que Carpignano ruede algunas escenas de gran belleza plástica
en un juego de luces, colores y sombras fruto de un gran trabajo de
planificación e, incluso, recurra a un par de alegorías oníricas que remarcan
el origen gitano de la familia, de una época en la que eran libres y sin jefes.
También es destacable el uso magnífico de la música que potencia la atmósfera y
remarca la multiculturalidad del entorno. En el debe algún momento
excesivamente cliché y un final excesivamente subrayado. Nada, en cualquier
caso, que impida que A ciambra sea una notable película.
…A
Carpignano va riconosciuto, una volta di più, la capacità di guardare e
restituire la dignità umana di una microcomunità marginale, lontano dalle
narrazioni dominanti di questo paese. Come il Cherubino di Mozart o il Noura
di Halfaouine - L’enfant des terrasses (Férid Boughedir,
1990), Pio ha la leggerezza e la sfacciataggine di chi, per età e per
condizione di spirito, riesce ad attraversare le frontiere invisibili che
separano braccianti e prostitute africani, rom calabresi e locali in odore di
mala. Pio corre e salta da uno spazio all’altro ma Carpignano non ci regala
illusioni di sorta sulle ricadute possibili di questo lavoro di tessitura. Al
funerale del nonno Emiliano non ci sono facce nere e gli unici gagé,
oltre al prete, sono gli inviati della solita famiglia delle Audi nere, venuti
per l’omaggio di rito. Pio non sa né può prendere le distanze dalla legge del
clan familiare, che fotografa un ordine delle cose esteso dallo spazio pubblico
a quello del carcere, come emerge dalle parole del fratello maggiore. Il
rispetto che i locali tributano ai rom è condizionato dal rafforzamento dei
rapporti di forze che inchiodano migranti e prostitute nere al loro ruolo di
corpi schiavili, disponibili al lavoro bracciantile e sessuale.
La
percezione dell’orizzonte sospeso e interminabile della micronarrazione di
Carpignano ci consente di guardare con fiducia a una possibile ricomposizione a
venire ma con la certezza che il suo cinema ben difficilmente produrrà messaggi
spendibili in chiave sociologica o in qualsiasi modo consolatori. La sua
passione per una verità che parte dalle persone e dalle cose equivale a una
scommessa, tanto affascinante quanto rischiosa, sul piano della
rappresentazione e dei discorsi soprattutto per quanto riguarda
l’antitziganismo egemonico in Italia, ancor più che in altri paesi europei.
Davanti agli occhi di uno spettatore medio, intossicato da decenni di retoriche
criminalizzanti ed esplicitamente razzializzanti, A Ciambra rischia
di produrre pericolosi cortocircuiti e far rientrare dalla finestra, per il
tramite del circuito comunicativo, un determinismo socioculturale che pure,
ancorandosi al valore dell’esperienza microlocale, Carpignano cerca di tenere a
distanza. Mi auguro che, come e più che Mediterranea, se
(auspicabilmente un quando) A Ciambra troverà la strada per le
sale italiane, il regista sappia accompagnare il film, attivando una
conversazione con gruppi e comunità, rom e non rom, che da anni lavorano sui
territori per facilitare un processo di inclusione che stenta ad essere praticato
sul piano delle politiche governative.
…Il film di Carpignano, però, va ben oltre la
voglia di mostrare per la prima volta un mondo ostracizzato se non censurato
dal cinema. La sua specificità, la sua ragion d’essere finisce per interrogare
l’essenza stessa del cinema e la sua forza creativa, perché il regista non si è
accontentato di raccontare un ambiente e una comunità così lontani dai percorsi
più battuti: ha scelto di far interpretare ai rom i loro stessi personaggi,
innescando un’identificazione che supera ogni facile distinzione tra finzione e
documentario. Il Pio del film è l’autentico Pio Amato che vive tra gli zingari
della Ciambra. E così i suoi familiari e i suoi amici.
Perché Carpignano abbia sentito il bisogno di
abbattere queste divisioni di genere l’ha dichiarato a Ciak: «Credo che il pubblico sia ormai stanco di vedere
sempre le stesse cose e lavorare su questo confine significa offrire qualcosa
di nuovo. Gli attori portano con sé esperienze e aspettative, spesso nascondono
i personaggi. Pio Amato ha quell’autenticità che piace alla gente». Ma sarebbe
fare un torto all’intelligenza ridurre tutto a una questione di sorpresa e di
autenticità.
Alla base di questa scelta mi sembra che ci sia
un’insoddisfazione per i modi in cui il cinema sembra essere capace di
raccontare la complessità del mondo reale. Da qui la scelta di mescolare le
carte in maniera così provocatoria. Da qui l’adozione di uno stile di ripresa
che volutamente rompe e sporca il modo tradizionale di inquadrare: macchina
mobilissima, obiettivo incollato sui volti, anche a scapito della comprensione
immediata.
Il rischio è quello di un cinema che finisca per
vampirizzare la realtà, puntando troppo sulla capacità di scioccare lo
spettatore; la scommessa è quella di spingere chi guarda a confrontarsi con un
mondo che probabilmente non incrocerebbe mai.
…A Ciambra non è un film
qualunque, e non solo per le ambizioni del regista di Mediterranea (cui è strettamente connesso, al
punto che si può legittimamente parlare di dittico): non è un film qualunque
perché ha il coraggio, a tratti quasi sfrontato, di partire dal proprio
territorio per fare cinema, raccontare per
immagini, creare, fingere senza mai mentire. Non è un film qualunque perché
nessuno in Italia ha interesse a raccontare le comunità rom e sinti, e
tantomeno la vita quotidiana dei migranti che dall’Africa cercano di
sopravvivere attraversando il braccio di mare che divide l’Italia dalla Libia;
non è un film qualunque perché non si affida mai alla retorica, né fa leva sulla
pietas cristiana. No. A Ciambra non è un film
qualunque. Anche per questo motivo, e forse soprattutto per questo motivo,
nessuno sa ancora se e come distribuirlo nelle sale…
Nonostante la sensazione di
già visto, di reiterazione più o meno esasperata di quasi tutto quello che ci
circonda, intorno a noi spesso ci sono storie e volti spesso ignorati. E con
questo non intendo mica mettermi a pontificare sull’insensibilità
dell’atomizzata società moderna, o altre affermazioni tipiche di un Diego Fusaro
qualsiasi. No, il mio è piuttosto un mea culpa, un’ammissione di miopia
sociale. Ne ho preso coscienza giusto qualche giorno fa, dopo essere uscito
dalla proiezione di A Ciambra, film di Jonas Carpignano incentrato
sulle vicende che vedono coinvolto un ragazzino appartenente alla comunità rom
di Gioia Tauro. Ed io, cresciuto ad una manciata di chilometri dai luoghi in
cui la pellicola è ambientata, di tutto ciò ne ero quasi ignaro. Sì, conoscevo
le storie, anzi, certe leggende, ma insomma, alla Ciambra, porzione di Gioia
Tauro da cui il film prende il nome e dove è stipata la comunità rom in
questione, non ci avevo mica mai messo piede. E neanche potevo immaginare che,
a due passi da casa mia, potessero vivere persone così distanti, ma allo stesso
tempo tanto vicine a me. E Carpignano, a prescindere da tutto, è riuscito a
cogliere tutto ciò, trascendendo l’impronta documentaristica che il film solo
perifericamente ha, tentando invece di raccontare una storia di formazione
classica ma che classica non è, per via di un’ambientazione disgraziata e
stratificata…
…Ciò che, appunto, rende
unico il lungometraggio è proprio lo sguardo limpido e sincero
del suo autore, che non condanna né assolve, non loda né biasima ma,
semplicemente, osserva con umana partecipazione i moti dell'animo di Pio, la
saggezza del nonno anziano, gli ammonimenti della madre, i buffetti che si
tirano i bambini. Descrive e partecipa, Carpignano, alla vita quotidiana di
questa realtà emarginata, con una naturalezza a tratti miracolosa, con
l'entusiasmo infantile di colui che, da esterno, si trova catapultato in un
universo nuovo, affascinante e pregno di vitalità…
…Malgrado una struttura
narrativa non certo originale e talvolta prevedibile, malgrado qualche
forzatura - soprattutto in prossimità della conclusione - e qualche prolissità
di troppo, "A Ciambra" è un film prezioso, da conservare avidamente,
imperfetto ma non meno profondo e toccante. Cinema del reale e insieme atto
d'amore verso la finzione artistica, "A Ciambra" è lo sguardo,
umile e dimesso, sul mondo di Pio, dei suoi famigliari e dei suoi amici; ma è,
più che ogni altra cosa, un bellissimo - eppure estremamente crudele - romanzo
di formazione, come ci svela il finale, prima che i titoli di coda (ambigui
proprio per la loro solarità ed essenza pop, nonché epitome
perfetta della natura chimerica dell'opera) calino il sipario su questo
racconto che conferma, ancora una volta, Jonas Carpignano come uno degli autori
italiani più interessanti della sua generazione.
…Il suo vero pregio infatti sta nel mostrare del
proprio protagonista sia la forza e la concretezza che non ci si aspetterebbe
mai (la capacità di trattare con gli adulti e fregarli, la mancanza di paura
nel gettarsi in imprese difficilissime, l’autonomia di giudizio e di pensiero
in ogni situazione), sia al tempo stesso la fragilità incredibile che sarebbe
più facile attendersi ma che il film riesce a rendere inattesa. Pio, a fronte
di tutta questa durezza, è claustrofobico e ha paura della velocità dei treni,
ha momenti in cui necessità dell’abbraccio materno e cerca con difficoltà di
tenere tutto ciò ai margini della propria vita, di vivere in quel contesto
nonostante la fragilità.
Che il primo film italiano fieramente zingaro (cioè che non li guarda da fuori, condannandoli o salvandoli ma che sembra raccontato proprio da loro, con le loro idee e la maniera in cui parlano o si esprimono) sia una storia così onesta e diversa è probabilmente il miglior risultato si potesse ottenere.
Che il primo film italiano fieramente zingaro (cioè che non li guarda da fuori, condannandoli o salvandoli ma che sembra raccontato proprio da loro, con le loro idee e la maniera in cui parlano o si esprimono) sia una storia così onesta e diversa è probabilmente il miglior risultato si potesse ottenere.
…Non so quanto A Ciambra, nella sua totale assenza di ogni sdegno
civile e afflato redentore, piacerà alla prof democratica e ai critici bon ton.
Ma andarselo a vedere è un obbligo per la sua assoluta alterità e indipendenza
rispetto a ogni sistema cinema nazionale (anche stilistico, anche linguistico).
E fa niente se qui la compattezza di Mediterranea si
sfrangia e qualche volta viene meno nel corso delle quasi due ore (se ben
ricordo la proiezione a Cannes dopo la vittoria alla Quinzaine, con Carpignano
presente). Qualche taglio avrebbe aiutato. Ma la durata rivela anche le maggiori
ambizioni del regista, che abbandona certi toni comedy del film precedente per
tracciare il referto di un amarissimo confronto-scontro di civiltà in un pezzo
di Calabria. Di cinema così non se ne vede mai, e allora tutti in sala, je vous
en prie, a partire dal 31 agosto. Certo vien da chiedersi se Carpignano non
rischi anche lui di restare intrappolato nella Ciambra come Pio e gli altri. Se
non rischi di essere inghiottito da quel mondo che ha scelto come suo soggetto
e oggetto della sua narrazione e forse diventato per lui un’ossessione. E vien
da chiedersi se non sia il caso la prossima volta che vada oltre, che esca da
quel perimetro per esplorare altre universi e persone e altri sbattimenti.
Stiamo a vedere.