mercoledì 27 aprile 2016

Les Souvenirs - Jean-Paul Rouve

un film francese che più francese non si può.
una storia piccola, un ragazzo che dei genitori un po' così, lui sta bene con la nonna, spontanea e sincera.
invecchia, come capita a tutti, sta in un ospizio, conosce gente, ma fugge.
il resto lo vedrà chi va a vederlo.
alcune scene sono divertenti, ultima le parole che dice la ragazza di Romain, arrivata con molto ritardo a un appuntamento, ma quelle parole le ascolterà solo chi vede il film.
imperdibile la direttrice dell'ospizio (che ormai ha nomi diversi, anche da noi, ma è lo stesso), gestisce la struttura come se fosse un supermercato.
non è un capolavoro, ma si vede con piacere - Ismaele





Les souvenirs procede con calma, senza strappi, fino ad ingranare pienamente, attraversato da piccoli simpatici personaggi come solo il cinema francese sa partorire: il padrone dell’hotel che assume il protagonista perché gli ricorda il figlio, il pittore di animali “irriconoscibili”, il benzinaio che regala consigli di vita. Figure fuggevoli che sanno farsi ricordare, anch’essi come piccoli souvenir che il film consegna dal grande schermo al pubblico.
Insomma, un film leggerissimo e leggiadro, una fiaba ai tempi di oggi, anche grazie ad una ammaliante colonna sonora “neo-melodica” francese, di quelle che cullano proprio come uno storico disco di Carla Bruni. “Quelqu’un m’a dit” cantava. “Qualcuno mi ha detto” cantava. Ecco Les souvenirs è un minuscolo film che vive del “mi hanno detto che…”, del passaparola, e grazie a questo saprà farsi ricordare…

Forse in Les souvenirs manca l’intensità struggente che caratterizzava le migliori opere di Lioret come Welcome e Tutti i nostri desideri, eppure Jean-Paul Rouve sembra ricercare quel tipo di cinema medio, molto borghese in effetti, capace di raccontare con la stessa semplicità l’innamoramento adolescenziale come la perdita di una persona cara, e le generazioni di nonni e nipoti che si incontrano negli spazi della Normandia per un ultimo, affettuoso, abbraccio. Finché lavora sul fuori campo o sulle mezze tinte del quotidiano Rouve riesce a dirci qualcosa di noi e a trovare una propria sfumatura emotiva, con dettagli che restano in mente e trovate comiche sorprendenti – il cassiere/filosofo all’autogrill è una grande idea. In altri frangenti invece il regista francese, qui anche cosceneggiatore, calca la mano, ricercando una costruzione narrativa – il doppio funerale che apre e chiude il film – e una drammaticità vagamente ricattatorie. Si tratta però di appunti viziati probabilmente da una nostra fascinazione sofisticata nei confronti di un tipo di cinema a cui questo film non interessa guardare. E non dobbiamo vergognarci di sorridere o piangere perché Les souvenirs, tratto dal romanzo omonimo di David Foenkinos, non è un film nocivo, ha un cuore e una capacità di raccontare le emozioni delle persone comuni che farebbe invidia a molte cinematografie europee – e non ci riferiamo soltanto all’Italia in questo caso, ma anche ai sempre troppo sopravvalutati danesi. Que reste-t-il de nos amours?

…La prima linea poggia interamente sulle spalle del giovane protagonista: il suo smarrimento senza false depressioni, il desiderio di innamorarsi senza facili corteggiamenti, le ambizioni letterarie senza reali convinzioni. La parte nostalgica si delinea invece tutta per contrasto coi personaggi più anziani, tenendo ben salda la regola che la sensibilità salta una generazione e che nonni e nipoti devono coalizzarsi contro gli aridi padri (comunque capaci di redimersi).
Attori bravi, perfetto equilibrio fra dramma e commedia e musiche assai familiari (una cover della classica Que reste-t-il de nos amours? di Charles Trenet, già tema portante di Baci rubati di Truffaut) lo tengono saldamente dentro la fascia media d’appartenenza. Senza strizzare troppo l’occhio alla Nouvelle Vague, al mumblecore o al sentimentalismo ricattatorio, Les souvenirs infatti sceglie la leggerezza come unico registro. Anche a livello di racconto, dove le varie sequenze sembrano succedersi legate da un filo leggero, senza lasciare eccessiva traccia nelle scene successive. Come in un sogno di cui si conservano solo sensazioni impalpabili non appena risvegliati.

La simplicité apparente de l’écriture est l’une des prouesses du film tant la ligne, si fluide, ne cesse de se complexifier. Jean-Paul Rouve et David Foenkinos trouvent le bon équilibre afin de diluer les informations qu’ils nous offrent en tissant un récit qui devient la poésie de l’ordinaire. Ils nous rendent complices des protagonistes tout en nous offrant une place de spectateurs tantôt amusés, tantôt attendris. Romain qui est au centre de l’intrigue devient le lien entre plusieurs pistes narratives qui se répondent à l’instar du désarrois de son père qui part à la retraite ou de son colocataire un peu gauche – véritable soupape de respiration.
La justesse d’interprétation est indéniablement l’autre atout du film. La connivence entre les différents protagonistes est une gageure à laquelle Jean-Paul Rouve répond avec adresse. Plusieurs registres de jeu semblent toutefois coexister pour notre plus grand bonheur. Ainsi à l’émotion palpable – et plurielle – lors de l’arrivée à la maison de retraite répond une énergie explosive d’autant plus déroutante que légèrement artificielle qui est véhiculée par le personnage (secondaire) de la directrice de l’établissement – merveilleuse Audrey Lamy. Un ton décalé qui répond de la logique du trait quelque fois grossier de l’écriture permettant de souligner la finesse des situations ou des sentiments mis en scène.
L’ensemble est gentiment artifiel et quelque peu enrobé. Toutefois la réalisation, dépourvue de prétention, nous trouble malgré ses maladresses.

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