un film complicato, associato qui a "Rosso sangue", di Leos Carax. quello che dice Godard,"A story should have a beginning, a middle, and an end, but not necessarily in that order", si adatta perfettamente per questo film. magari va visto più di una volta per apprezzarlo meglio, merita comunque la visione - Ismaele
… non c’è traccia di seriosità nel contrappunto filmico: anche se l’intrigo dell’Hotel Concorde Saint Lazare produce situazioni drammatiche e citazioni letterarie da Shakespeare, Sciascia e Conrad, il tono di fondo conserva una qualità giubilatoria che è l’esatto contrario della malinconia. Indebitato con chiunque, il manager Jim Fox Warner (Hallyday) passa le sue giornate a giocare a biliardo e copulare con Françoise (Baye), la moglie di uno dei suoi creditori. Il detective Prospero (uno spettrale Laurent Terzieff) è ossessionato dall’inspiegabile omicidio consumatosi due anni prima nell’albergo e se ne sta chiuso nella stanza del delitto scrutando tutto e tutti con una telecamera. Il boss mafioso (Alain Cuny) si aggira per l’hotel portandosi dietro una bambina bionda, un ragazzino taciturno e un contabile inetto. Il pilota Emile (Brasseur) va e viene, rimandando di giorno in giorno il confronto con la moglie insoddisfatta che lo incita a riscuotere il denaro dovuto da Jim. La formula del noir è sarcasticamente disgregata e fatta a pezzi, insomma, salvo ricomporsi in uno pseudofinale che “telefona” la soluzione dell’enigma con una nonchalance letteralmente impagabile. In questo sensoDétective rappresenta il punto terminale del noir, il confine estremo al di là del quale il genere si sfalda, dissolvendosi nella ruminazione iconografica. L’anno dopo Leos Carax, riprendendo Julie Delpy (una delle due attrici lanciate da Godard inDétective insieme a Emmanuelle Seigner), frequenterà le stesse latitudini narrative in chiave apocalittico-fumettistica conRosso sangue. Un possibile dittico sulla malleabilità concettuale e iconica del genere.
L'essence même du cinéma selon Jean-Luc
Godard se déploie magistralement dans ce policier absurde, fascinant et
déconcertant. Le cinéaste y emploie ses effets stylistiques habituels, comme un
travail accru sur le son et une bande originale qui vise les coupures abruptes
au détriment d'un fond sonore docile et confortable. Les références à la
littérature et au cinéma prennent également une place importante, tout comme
l'approche novatrice pour l'époque de la vidéo et de l'informatique. Mais tous ces éléments sont soumis à la
narration très particulière de Godard, qui enfreint les conventions du cinéma
pour mieux les démontrer…
… The images of the film, beautifully
photographed by Bruno Nuytten, are dense with information, some of which leads
nowhere, as one might expect of a shaggy-dog story. In Mr. Nuytten's camera,
people and objects swim into focus like fish seen when one is scuba diving. The
entire movie, in fact, seems to take place in some other reality, some place
where physical - which equals psychic -movement is as difficult as it would be
under water.
''Detective'' is most
certainly not a film for everybody. It is obscure, elitist and maybe just a bit
too jokey…
un film strano, e pieno di interesse, perché è uno dei due (il migliore) girati come regista da Jacques Brel. sa di Fantozzi, sa di Tati, ci sono i piccioni viaggiatori come in "Ghost Dog", sa di tristezza delle spiagge del Belgio, c'è la schifosa guerra coloniale in Congo, ci sono i rapporti tra una madre padrona e un figlio oppresso, i rapporti d'affetto con una strana puttana. non sarà un film perfetto, ma vivo, triste e amaro, per me un piccolo e miracoloso capolavoro - Ismaele
In a French
seaside town, at a boarding house for civil servants recovering from surgery
and maladies, the six male residents’ lives change dramatically when two women
arrive: Catherine, lively, sexually liberated, willing to kiss, dance, and
sleep with the men, and Leonie, reserved, formal, conservative. Leonie finds
herself attracted to Leon, a Belgian who was a mercenary in Katanga in 1964,
wounded and carrying psychological scars as well. The other men continually
play practical jokes on Leon, some of them cruel. As Leon courts Leonie, his
horrid mother brings him emotional distress as do his memories of war. Can the
two of them get past these obstacles?
A strange and cruel history, played on a musical rhythm like a sonatina.
J.Brel preferred Agfacolor to the market leaders blank film brands, because of
their colder colors. I cheer this
movie like one of my favourites.
una parte dei fratelli Dardenne, o di un Ken Loach dei vecchi tempi, una parte de "I soliti ignoti" di Monicelli, o di "Palookaville", qualche spruzzatina de"Il mio amico Eric", mischiare con cura (questa è la parte difficile, ma Ken Loach è bravissimo) ed esce fuori un gran bel film, non perdetelo, anche se siete astemi - Ismaele
La parte degli angeli, sia chiaro da subito, non è un
film perfetto.
Non lo è perché costruito attorno ai suoi personaggi, con tutto il cuore
possibile, e per nulla attento alle evoluzioni tecniche.
Non lo è perché dedicato e partecipe, e non troppo
attento ai dettagli che per uno script definito al millimetro risulterebbero
stonati - il rapporto tra Robbie ed i parenti di Leonie, o quello con i suoi
persecutori, la facilità d'esecuzione del colpo alla distilleria -.
Non lo è perché privo di una direzione precisa, a metà
tra la drammatica denuncia e la commedia dai toni di favola urbana.
Eppure, è pervaso di cuore dal primo all'ultimo
minuto, è tosto e commovente, riesce ad affrontare tutto il carico di una vita
al limite senza mai esagerare in retorica, pesantezza, eccesso di realismo…
… sguardo
disincantato su reietti in cerca di redenzione, un'ironia palpabile dalla prima
all'ultima sequenza, messaggio politico ben presente (perché questa società è
un qualcosa a cui ribellarsi sempre e comunque, ognuno con le proprie armi
ovvero le proprie capacità) che però non appesantisce una narrazione lieve e
fruibile anche da uno spettatore non per forza avvezzo alle dinamiche del
cinema d'autore.
Si sorride spesso e si ride anche di questi
quattro soliti ignoti al doppio malto…
… El director de“Buscando a Eric” (2009) se
entretiene con gusto en la visita a la bodega o en las catas y en la subasta, y
no le importa que algún momento del golpe o la propia conversión de Robbie en
experto catador parezcan poco verosímiles o se caiga en un costumbrismo
pintoresco de cliché, porque sólo aspira a decir que la parte de los
ángeles es lo que le corresponde a cada persona y no le será quitado.
Porque es su dignidad, su trabajo, su familia.
… La
primera parte de la película es estupenda. El oído del espectador se hace
pronto a los marcados acentos escoceses que narran un guión que se siente
doloroso, divertido y real. La escena en la que la víctima recapitula los
hechos de la agresión de Robbie es sumamente poderosa. La identificación casi
al instante con la víctima y lo horrendo de los actos de Robbie no anula que se
integre la percepción de que el arrepentimiento y el dolor que él siente por
ser claramente culpable es genuino.
Puede
que una rehabilitación de servicios a la comunidad se queda corta para Robbie y
que verdaderamente necesite pisar terreno carcelario. Sin embargo nos lo
presentan como el personaje protagonista que el espectador está obligado a
acompañar durante toda la película. La secuencia finaliza con la madre de la
víctima gritando en la cara de Robbie para instantáneamente pasar a un plano de
Robbie sujetando a su bebé, su hijo. ¿Compasión por su verdadero
arrepentimiento o indignación de que una persona que ha cometido tan recientemente
tal agresión tenga el privilegio de ser padre?
En
este sentido, la naturaleza contradictoria de la película es desafiante y
excelente. Un ejemplo de que Robbie —más que convincente Paul Brannigan— es el
personaje adecuado para ser el protagonista…
tratto da un gran libro (qui) il film è fatto di
silenzi, rimpianti e rimorsi.
uno sguardo impietoso sul genere umano e un bianco e nero splendido.
chi vuole ridere non ci provi, gli altri non si dimenticheranno presto di
Frank Machin - Ismaele
…The rugby games also have to be as dirty and real. The camera gets down on
the field with the players, catching every blow, all of the blood and mud. Lindsay
Anderson makes it so you can see the bruises forming on the bodies and feel the
crush of every powerhouse hit. Frank is locked in an eternal scrimmage, and
there is no way out.
This makes the title This Sporting Life into the film's
greatest irony. Though evoking a feeling of play, its true meaning is that all
of existence is a game, one that is ongoing, and that seemingly can't be won.
Frank often describes himself as feeling "champion," but that is only
when he is out in front of the struggle. A man can keep fighting, but with no
prize at the end, what for? You get knocked down, and then you get back up,
until the day you decide to stay in the dirt. Judging by the closing shots, one
does not imagine Frank Machin happy.
Brutish rugby
player excels in the sport but suffers from self-doubt and can't get past his
perplexing obsession with a widowed landlord (Rachel Roberts). Awfully similar
to Williams' A Streetcar Named Desire - Harris is square-jawed Stanley, Roberts
is a combination of Blanche and Stella - and the ending's even a little
similar, with Harris' brutish demeanor finally destroying the woman he loves
(him shouting her name in the last shot is yet another giveaway). The
performances are consistently superb even though the story gives out in the
last act, once it gets through all of its clever flashbacks and returns to the
characters chewing scenery and physically battering each other (also, is the
spider a reference to Bergman's Through a Glass, Darkly?).
uno di quei film che non ti immagini, il primo film di Mike Leigh, c'è un giovanissimo Tim Roth, già bravo, ci sono Gary Oldmann e Alfred Molina (Diego Rivera in Frida). è una storia nell'Inghilterra degli anni '80, di una famiglia che vive di sussidi di disoccupazione, ci metti un po' a capire come funziona poi cresce sempre più e i personaggi ti restano attaccati. un piccolo capolavoro, da non perdere - Ismaele
Mike Leigh'sMeantimeis a brutish, nasty movie about
brutish, nasty people, a thoroughly unpleasant cinema of abjection that burrows
deep into the unpleasant, aimless lives of its protagonists like a maggot
digging its way into rotted flesh. The film centers on a family who live an
entirely government-supported existence: terminally unemployed, accepting the
dole week after week, living in squalor, doing nothing all day but watch TV and
wander the streets as hooligans. They get drunk when they have the money, and
otherwise they simply cause whatever trouble they can or find something,
anything, to pass the seemingly endless bland hours that face them. For father
Frank (Jeff Robert), this existence is the proof of his incompetence and
failure, an entire lifetime spent to get him to this dismal place. To make
matters worse, his two sons promise to be only a continuation of his own
failure: Mark (Phil Daniels) is a snide, nasty thug, an aging juvenile
delinquent who doesn't seem to be outgrowing this phase, while Colin (Tim Roth)
is "slow," with no hope of finding his way off this miserable path.
Leigh documents, with unflinching honesty, the drudgery and ugliness of this
life. The film expresses with its every image the hopelessness and
worthlessness that these people feel, discarded and left to rot, with no hope
of finding any work, the dole keeping them alive at just barely the level of
subsistence…
This earlyMike Leighfilm is ostensibly about nothing more
than how depressing life is on a London council estate in Thatcher’s Britain.
Leigh is probably his best, certainly his bleakest. The suspicion is that Leigh
was providing the middle classes with vicarious misery of estate life, Meantime
is still powerful, and darkly funny...
This is Mike Leigh's finest film. Next to this
masterpiece his later feature films feel very contrived, it just flows
beautifully. It's also very honest, the best depiction of the effects of
unemployment I've ever seen on film. But of course as with all Mike Leigh's
films it's all about the performances of the actors and they're all pitch
perfect. I feel a bit sorry for Tim Roth, his first film role and without a
doubt his greatest, how could he ever equal it, it was all downhill from here. A
truly heartbreaking performance and if you're not moved by it then you have no
empathetic feeling. I also particularly like the performances of Jeff Robert
and Pam Ferris as the Mum and Dad. It's a tragedy that this film missed out on
getting a theatrical release since it was a few months after it was finished
that Channel 4 began shooting on 35mm with a view to feature film distribution.
Because it's a 'TV' film it's unjustly ignored in comparison with Leigh's later
films, but don't let that put you off, this is a masterpiece. The music is
beautiful as well perfectly matching the mood of the film.
Dal 20 dicembre al 9 gennaio sul nostro sito e su Trovacinema, in esclusiva e in streaming gratuito, la visione integrale di "Dimmi che destino avrò", appena passato al Festival di Torino: l'incontro tra un poliziotto e una donna di origine rom. Il distributore Gianluca Arcopinto: "Il nostro dono per tutte le famiglie". QUI
Wes Anderson è uno a parte, quasi direi che fa sempre lo stesso film, con variazioni, slapstick, follie, a volte mi sembra che stia per scivolare verso la boiata pazzesca (anche "Ubriaco d'amore", di un altro Anderson, mi ha fatto lo stesso effetto), poi naturalmente Anderson (entrambi) riprendono le fila e la sinfonia è compiuta e ha un senso e anche è bella, ma qualche attimo di spavento te lo prendi - Ismaele
…Moonrise
kingdomè una via di mezzo tra una fiaba per ragazzi e
un cartone animato vintage. È un mondo guardato dagli occhi di Suzy e Sam, anzi
- per essere più precisi - attraverso il binocolo di Suzy e gli occhiali con la
montatura scura di Sam. Un mondo amplificato, ipercolorato, surreale, magico,
trasgressivamente innocente, pieno di scoperte e di avventure, in cui gli
adulti appaiono buffi e insensati, a volte lontani e cinici, insomma il mondo
in cui tutti noi bambini abbiamo vissuto, ma che forse abbiamo dimenticato, e
che Anderson è bravissimo nell'aiutarci a ricordare…
Il film cattura lo
sguardo dello spettatore fin dalle primissime meravigliose immagini, con il suo
tripudio di colori anni '70 e i suoi carrelli. Poi è colpo di fulmine anche con
i personaggi, tutti adorabilmente outsider: dai due piccoli protagonisti,
un'imbronciata baby Lana del Rey e un orfanello nerd sapientello, il capo-scout
imbranato, il marito stralunato e depresso, il polizietto un po' scemo…
...Ho terminato la
visione - tra l'altro, priva del ritmo e del mordente che dovrebbe conquistare
il pubblico in un film d'avventura e ricerca, pur se interiore - assolutamente
determinato a dedicare al buon Wes tutte le bottigliate che meriterebbe, quasi
soddisfatto all'idea di scrivere un post che potesse sfogare tutta la delusione
rispetto alla meraviglia provata in passato per i già citati Tenenbaum o Steve
Zissou - per non parlare dello spreco di Bill Murray in una parte che non gli
si addice neppure da lontano -. Poi ho fatto un
respiro profondo e ho pensato ai due protagonisti, al loro rapporto con il
mondo esterno, sentendomi come uno degli scout pronti a vessare il povero Sam
con il loro fare da bulli, ed ho avuto come un'illuminazione: non avrei
trattato la pellicola di Anderson come i suoi due piccoli eroi non avrebbero
voluto essere trattati a loro volta…
…Moonrise Kingdom, a dispetto del titolo ancor più altisonante
delle sue grancasse, degli oboi e dei fiati arrangiati da unPurcell e sapientemente orchestrati daAlexandre Desplat, resta il tentativo volgarissimo e altrettanto volgarmente
pacchiano di ricostruire un'epoca (per fortuna) tramontata e che nessuno, tranne
i diretti interessati, vorrebbe per davvero né con nessun mezzo restaurare. E
lo si fa nel modo più becero e laccato che un regista pur tecnicamente capace
comeAnderson riesce a concepire: immergendo il suo
film in un ricettario take away ebbro di salse amarognole e carni bovine troppo
cotte in alcuni tratti, crude in altri e lasciate marcire alle estremità;
frullando ammennicoli d'antan con un pizzico di cattivo gusto e una sfarinata
di kitsch per poverelli; mescolando in una teglia di prevedibilità e servendo
infine in un tripudio rococò di piattini, tazzine e forchette intagliate, tra
una saliera del Cellini e le
chincaglierie arcimboldesche di una camera delle meraviglie asburgica. La
pietanza sedurrà pure gli occhi, ma l'intingolo è talmente rozzo da
appiccicarsi alla lingua e compromettere con inesorabile sventura i piaceri di
una buona cucina. Si ingoia per educazione per la prima mezzora, quindi si
corre al gabinetto... pardon, alla toilette, a rigettare quanto ormai lo
stomaco (e il buonsenso) non riescono più a trattenere.
in "Ubriaco d'amore" bisogna lasciarsi andare fiduciosi alla storia, spesso temi possa svoltare verso il precipizio di una boiata pazzesca, alla fine tutto si tiene, il regista è bravo, e anche gli attori. dei film "minori" di Paul Thomas Anderson preferisco"Sidney", ma anche questo non è male. e ancora di più preferisco "Il petroliere", un film epico, e speriamo in "The Master" - Ismaele
… Rimane una storia
irrisolta e pericolosamente in bilico tra superficialità (il tema è attuale) e
mistificazione (l’amore di una donna come scialuppa di salvataggio), che non ha
la capacità di penetrazione delle precedenti ricognizioni (anche grottesche)
dell’autore sulla complessità degli esseri umani, né la generosa volontà di
completezza (Sandler non riesce a creare un vero personaggio). MaUbriaco d’amoreè soprattutto un film di un’impressionante
bravura tecnica, premiata a Cannes nel 2002 (ex-equo con Im Kwon-Taek), che
però mette in luce anche tutti i difetti di Anderson, più di quanto fossero
riuscite a mostrare le sue precedenti prove. La tecnica di Anderson è basata
sulla completa subordinazione della storia e dei personaggi alla funzione
espressiva della macchina da presa. E se nei film precedenti era riuscito a
contenere questo disequilibrio sotto la soglia di un pericoloso manierismo,
grazie alla grande complessità della scrittura, dimostrandosi capace di saper
raccontare una storia e uno spaccato sociale, oltre che di saperli mostrare
attraverso il gioco delle angolazioni e dei movimenti della macchina da presa
(in cui rimane forse il più grande regista attuale insieme a Tsui Hark), inUbriaco d’amore, Anderson
sembra prendersi una pausa, e ridurre la complessità formale del suo cinema
alla vocazione espressionista della regia e all’empatica monodia dei codici…
…La luce livida di
un’alba periferica si scalda a un sole hawaiano appena tramontato, la tragedia
di un impiegato modello si carica di cromatismi acidi e dannatamente vitali, al
raggelante brivido di una voce notturna si sostituisce un bacio che, nel
silenzio di una nuova alba, conclude il prologo di una traccia amorosa pronta a
spiccare il volo (in direzione del pubblico?). Il cinema è finzione (“Sembra di
stare alle Hawaii”), la bellezza che è fonte e risultato di simili immagini è
magnificamente reale. Il valore dell’opera non è guastato dal consapevole gioco
degli stereotipi, anzi: i tasti ribattuti dell’armonium (della sceneggiatura)
costruiscono un tappeto sonoro di perturbante eleganza, una sequenza
ininterrotta di onde audiovisive, dolci e ossessive come (in)frangibili tubi di
cristallo. Una miniatura (per gli standard del regista) che, al solito, ricerca
e trova un’essenzialità densa di annotazioni imprevedibili, sfumature irresistibili,
invenzioni elettriche su un tema che la più sfrenata astrazione conduce a una
purezza sbalorditiva. Un gioiello con un solo difetto: una brevità lancinante.
… "Ubriaco d'amore" vive e gira
circolarmente in una cerchia di connubi oggetti-episodi che hanno nel paradosso
la propria risposta d'identità. Possiamo dire quindi che il film si svolge su
due piani: quello di commedia sentimentale e quello di noir notturno stile
"Fuori Orario". Ciò forma un mix esplosivo e straripante di idee.
Fondamentale è l'uso degli spazi, all'interno dei quali si muovono i
personaggi: dal "vuoto" iniziale il luogo di lavoro si trasforma in
ambiente strapieno di confusione. Le strade sono spesso deserte, oggetti di
illogiche corse senza senso o colme di gente per una sfilata di carri.
Supermarket pieni zeppi di prodotti e privi di clienti. Demolizione degli
oggetti in spazi piccoli e claustrofobici (il bagno del ristorante) o salotti
di casa (vetri frantumati). Corridoi di palazzi ricchi di freccette e numeri,
che sembrano usciti direttamente da un film di Tati,
Non tutto è percepibile e spiegabile nel film di Anderson eccetto l'amore, che
è forse il solo aspetto chiaro nella vita di Barry. Nasce cosi' per caso, e il
rapporto prosegue in modo del tutto lineare e trasparente. Le pellicole
raccontano più volte storie d'amore particolari, in contesti elementari.
Possiamo dire che "Ubriaco d'amore" narra una storia priva di
particolari complicazioni, ma attorno alla quale sembra girovagare una giostra
che contrasta ogni ragione e logica…
…L'inizio
e' spiazzante e lascia ben sperare, poi la voglia di stupire prende il
sopravvento e si accompagna, con inevitabile stridore, a una narrazione
prevedibile e un po' ruffiana. La regia, da originale e innovativa, diventa
quindi invadente e mai lieve, come nelle dichiarate intenzioni. In particolare
si sente la mancanza di un taglio deciso da imprimere al racconto, sempre
incerto tra convenzione e libertà creativa. E' vero, può essere bello lasciarsi
andare all'irrazionalità di un cinema privo di tesi da esporre e lucidamente
folle, avvolgente e sconvolgente al tempo stesso. Ma "Ubriaco
d'amore" (terribile il titolo italiano!) resta imbrigliato in una
irrisolta via di mezzo…
mi capita subito dopo "The life of David Gale", e allora si capisce benissimo cosa non andava in quel finale, didascalico e ad effetto. nel film di Claude Miller, con attori magnifici, i colpi di scena finali ci sono, e c'è molto non detto. e questo fa tutta la differenza. per me un piccolo capolavoro, provare per credere - Ismaele
… Signori , giù il cappello che qui
ci troviamo di fronte a del grandissimo cinema.
E non lo
dico solo per la faccia percorsa da rughe profonde come canyons di Lino Ventura
che da par suo disegna magistralmente la figura del commissario Gallien deciso
a far rispettare la legge. E neanche per come questo film mette in evidenza la
grandezza di Michel Serrault che i più in Italia conosceranno solo per la
caratterizzazione farsesca dell'omosessuale Albin nella saga de Il vizietto. Qui è nella parte
del notaio Martinaud, sospettato di pedofilia e dell'omicidio con violenza
sessuale di due bambine. E neppure per la breve ma incisiva apparizione della
divina Romy Schneider. Tre attori che amo follemente riuniti in un unico film
non bastano a farmi dire che è un capolavoro…
…si Serrault
était une évidence pour interpréter Martinaud, quel meilleur choix que celui de
Lino Ventura pour donner vie à Gallien. Avec toute sa puissance, Ventura
incarne un personnage au charisme hors norme, un homme dont les coups de gueule
frappent comme les uppercuts d’un poids lourd. Une force brute qui utilise le
décor étriqué du commissariat comme un ring. Un combattant prêt à en découdre
et à gagner son duel, coûte que coûte... A leurs côtés,
les seconds rôles sont tenus par la regrettée Romy Schneider et Guy Marchand,
parfait en petit flic cynique et perfide. Sous l’œil de Miller, ces personnages
fascinent pendant toute la durée d’un récit servi par un scénario riche en
rebondissement et en tous points maîtrisé. Film construit sur les dialogues, Garde
à vue doit évidemment beaucoup à Michel Audiard dont c’est l’une des dernières
œuvres. Audiard prouve
ici que sa gouaille pouvait aussi bien faire mouche dans le domaine de la
comédie que dans celui du drame. Il fut d’ailleurs récompensé d’un
César pour son travail tout comme le furent Serrault et Marchand. Enfin,
ajoutons à cela une très belle photographie signé Bruno Nuytten et vous tenez
là un grand classique du cinéma français…
…Garde a Vue(1981), one of Miller’s early films, relies on a
brilliant script by Michel Audiard which does not mean that it is not cinematic.
It can be loosely termed ‘noir’ in that it is about brutal crime and the
artificial division maintained in crime stories between the law abiding citizen
and the criminal is erased. Noir is usually about ordinary people led into
committing murder but whileGarde a Vue(based on a novel by John Wainwright)
does not take this course, it still convinces us that the impulses leading to
criminal conduct of an extreme nature are more common than is admitted.Garde a Vueis
essentially a police drama involving two characters – the suspect and the
policeman interrogating him. Inspector Gallien (Lino Ventura) is investigating
the rape and murder of two little girls. The only suspect is attorney Jerome
Martinaud (Michel Serrault), but the evidence against him is circumstantial. As
the city celebrates New Year’s Eve, Gallien calls Martinaud to his office and
interrogates him for hours on end while the latter continues to maintain his
innocence. As the interrogation continues, gaps begin to emerge in Martinaud’s
story. He was in the vicinity at the time of each crime but Martinaud is
apparently lying about what he was doing.
To illustrate the ‘cinema’ inGarde a Vue, the film cuts briefly to the scene to
illustrate what Marinuad claims he saw. The most striking one perhaps concerns
the lighthouse that night. The night was foggy and when Gallien asks Martinaud
if he heard anything, the latter cannot recall. When the Inspector persists,
Martinaud finally explodes. “What should I have heard?” he wants to know. “The
foghorn,” replies the Inspector as he walks out of the room and the film cuts
back to the lighthouse – but now with the foghorn blaring on the soundtrack.
A secondary motif pertaining to the attorney’s
marriage is crucial inGarde a Vue.
Martinaud’s wife Chantal (Romy Schneider), it gradually emerges, despises her
husband and believes him guilty of the crimes. At the climax of the film,
Chantal visits Inspector Gallien and tells him the story that will convict her
husband. The story goes back several years to the early days of their marriage
when the two were visiting friends. The friends had a daughter named Camille –
a lovely child of eight or ten with whom Martinaud was taken up. At one moment,
Chantal surprised the two deep in conversation, and from a distance, it looked
exactly like an intimate one between two adults. As Chantal bursts out to
Inspector Gallien, her husband “had no business making Camille smile the way
she did”…
… Il film si svolge quasi interamente in una
stanza, e in casi del genere gli attori coinvolti e la sceneggiatura sono elementi
fondamentali su cui si basa l'intera operazione.
L'opera di Claude
Miller, fortunatamente, ha dalla sua parte due attori straordinari e uno script
a prova di bomba, coinvolgente, avvincente e ricco di sarcasmo e ironia.
Lo scambio di
battute tra il notaio e il commissario calamita l'attenzione senza mai segnare
il passo, sviluppando in parallelo sia l'aspetto thriller del film che quello
più umano e toccante.
Lino Ventura e Michel Serrault - perfetti nelle rispettive parti di commissario
e notaio interrogato - donano ai loro personaggi tutte le caratteristiche e le
sfumature sufficienti a far immedesimare chiunque prima in uno e poi nell'altro
uomo, ritratti entrambi con estremo realismo e senso della misura…
raramente mi è capitato di vedere un film con delle critiche che vanno da zero a dieci. a me è piaciuto, sopratutto una battuta del dibattito, certo è vero che la fine è proprio telefonata, qualcuno dice "vergognosa" perché non funzionale alla storia (il dubbio sarebbe stato molto meglio, sono d'accordo), il giudizio complessivo è comunque positivo. solo vedendolo ci si può fare un'idea, buona visione - Ismaele
…The acting in "The Life of David Gale" is splendidly done but serves a
meretricious cause. The direction is by the British directorAlan Parker, who at one point had never made a
movie I wholly disapproved of. Now has he ever. The secrets of the plot must
remain unrevealed by me, so that you can be offended by them yourself, but let
it be said this movie is about as corrupt, intellectually bankrupt and morally
dishonest as it could possibly be without David Gale actually hiring himself
out as a joker at the court of Saddam Hussein.
I am sure the filmmakers believe their film is against the death penalty. I
believe it supports it and hopes to discredit the opponents of the penalty as
unprincipled fraudsters. What I do not understand is the final revelation on
the videotape. Surely David Gale knows that Bitsey Bloom cannot keep it private
without violating the ethics of journalism and sacrificing the biggest story of
her career. So it serves no functional purpose except to give a cheap thrill to
the audience slackjaws. It is shameful...
…Avec une journaliste au
départ non convaincue de l'innocence de David Gale et qui devient peu à peu la
clé de la vie d'un Kevin Spacey dans le couloir de la mort, le film flirte avec
la propagande contre les " injustices ", et n'est finalement qu'un
film dramatique de plus sur les américains et leur système judiciaire quelque
peu défaillant. Un petit regret toutefois pour les 5 minutes en trop, qui,
évitées, auraient laissé au spectateur une fin plus ouverte…
…el principal problema deLa vida de David Galeno es tanto de forma como de
fondo. Los conflictos que plantea la película carecen de interés, los
argumentos en torno a la pena de muerte son ridículamente superficiales y las
motivaciones de los personajes se pierden entre los vericuetos de la trama. Y
al final, lo que se presumía un gran alegato contra la pena capital queda
eclipsado por un desenlace tonto y efectista, en el que se trivializa una
realidad que cuesta la vida a cientos de personas cada año en Estados Unidos, a
menudo con pruebas insuficientes y en juicios en los que no se cumplen las
mínimas garantías procesales. Y por este camino, la película de Alan Parker
deja de ser sólo mediocre para convertirse en sencillamente inmoral.
…Kevin Spacey è bravo
come al solito (specialmente quando si lascia andare alla disperazione), Kate
Winslet funziona nel ruolo della giornalista, mentre Laura Linney nei panni
dell’idealista e sofferente Constance è decisamente convincente. Ma quando una
storia è debole, gli attori più di tanto non riescono a fare. Di punti deboli
ce ne sono tanti, e quello più evidente è probabilmente la frenesia con la
quale la giornalista capisce come stanno le cose. Un po’ più di incertezza e di
smarrimento avrebbe reso più coinvolgente la fase finale del film. Però,
purtroppo, non è così.
Hugo Claus è un grande scrittore (consiglio
“Corrono voci”, pubblicato in italiano) e ha fatto anche il regista di cinema.
la storia è tratta da una sua opera e
parla del ritorno a casa, dopo un paio d’anni di galera per una relazione
sessuale con la figlia, di un uomo, che ritrova la moglie, che intanto ha fatto
un bambino col migliore amico del marito. tema difficilissimo e però trattato senza sensazionalismi.
la storia ha una struttura teatrale e
merita molto, i dialoghi sono crudeli e sinceri - Ismaele
PS1: il protagonista è Frank Aendenboom (che faceva Gianni, in “Gianni e il magico Alverman”) PS2: come anche in un film di Carlos Reygadas (qui) Jacques Brel appare alla tv
uno di quei film da non perdere, Andrés Wood è un bravissimo
regista cileno e qui si racconta di Violeta Parra.
non è un film
agiografico, ci sono le debolezze e le grandezze di Violeta Parra, è un film
ruvido e sincero e Francisca Gavilán "è" Violeta.
vale davvero il
tempo della visione - Ismaele
Ps: da noi si sa troppo poco dei film che non siano europei e
statiunitensi, gli altri americani fanno cose diverse dai vicini todopoderosos,
altro stile, altre storie, bisogna cercarli, molti meritano molto
Violeta Parra, chanteuse, poète et peintre, est une véritable
icône de la culture chilienne. Violeta retrace le destin d’une femme hors du
commun, ses succès et sa déchéance. De son enfance aux côtés d’un père
alcoolique, en passant par son apprentissage de la guitare, son rapport brutal
et déterminé à la maternité et au monde, ses engagements esthétiques et
politiques, jusqu’à sa fin tragique. Rythmé par ses chants poignants et
minéraux, tout droit sortis des entrailles de la terre chilienne, et construit
avec une grande liberté, le portrait de cette artiste tourmentée et passionnée
est porté avec une grâce magnétique par Francisca Gavilan…
El filme del director de
Machuca sobre la cantautora más importante de Chile no es la típica biografía
ni tampoco otra rapsodia desatada sobre el dolor del artista incomprendido.
Esto no es, por suerte, La Vida en Rosa. La Violeta Parra de esta cinta
(magníficamente interpretada por Francisca Gavilán) es una mujer que sufre, que
llora y que tiene el final trágico que todos conocemos, pero no es una víctima.
En su ir y venir entre
el tiempo y el espacio, este retrato arma un personaje que consigue casi todo
lo que desea: el oficio de los cantores, el aplauso de los mineros, el aprecio
de la alta cultura parisina, el amor de un hombre más joven.
Pero la artista quiere
más. Y en su afán puede ser egoísta, hosca, incluso cruel. Esa contradicción
entre la ternura con que mira al país como grupo y las ideas fijas que la hacen
perder de vista a sus más íntimos, Wood la filma de cerca, con una cercanía
tibia inédita en su filmografía hasta ahora, una cercanía apenas presente en La
Buena Vida y que se arriesga –para bien- al exceso y a lo ambiguo.
El relato salta entre
épocas y lugares pero, si su fidelidad a los datos históricos podría
discutirse, está fuera de duda su calidad como experiencia en pantalla. Esta
bien puede ser la película más vistosa y ágil que haya estrenado su director…
Violeta se fue a los cielos no es una película
biográfica. No, al menos, en los términos de costumbre. Tras verla, no nos
sentimos en condiciones de abrumar con datos sobre Violeta Parra. Sí de decir
que hemos experimentado -que seguimos experimentando- su subjetividad, como en
un sueño, un sueño en el que por momentos fuimos ella.
La palabra subjetividad y la palabra sueño indican
que el realizador chileno Andrés Wood no procuró filmar la historia oficial de
Parra, como tampoco intentó respetar la cronología de su vida ni abordarla
desde el mero realismo. Prefirió lo episódico a lo abarcativo; lo pulsional a
lo práctico; lo caóticamente onírico a lo prolijamente real. Su filme es, en
más de un sentido, un rescate emotivo.
Wood aclaró que sin Francisca Gavilán, la estupenda -y para
nosotros desconocida- actriz que hace de Parra, no habría película. De acuerdo.
Y no sólo por cómo encarna al personaje, o por cómo interpreta versiones
bellísimas de sus canciones, sino por su compleja e intensísima capacidad para
envolvernos en un universo íntimo y hacernos “sentir a” o “sentir como” Parra.
Una Parra ficcional: aclaración sin importancia…
…Como en Frida, naturaleza viva –una película que parecería haber
sido todo un referente–, la estructura de rompecabezas no es un capricho
formal, sino la manifestación de una imposibilidad: la de darles un sentido
unívoco a tantas Violetas. ¿Cómo es que la que fue una chica tímida,
acomplejada por sus pozos de viruela, en cuanto ve al suizo le echa el ojo y se
propone “meterlo en la cama y sacarle todo el jugo”? ¿Cómo la invitada a cantar
en la embajada termina su presentación sin la menor diplomacia, escupiéndole
“sordo de mierda” al embajador y, de paso, a todos los invitados? ¿Cómo puede
esa mujer enterarse que se le murió una beba y seguir de gira? ¿Cómo conciliar
el humanismo de “Gracias a la vida” con el protopunk de “Maldigo del alto
cielo”?
Lúcidamente, Violeta se fue a los cielos no pretende homogeneizar
ni conciliar nada. Por el contrario, pone al espectador frente a pedazos que no
encajan, o se despegan y se salen… da
qui
già qui avevo
apprezzato la grandezza di James Marsh, con questo film la mia stima resta
altissima.
è la storia di Philippe Petit
e della sua impresa, e si potrà vedere anche quello che dopo l'11 settembre
2001 è impossibile vedere.
la tensione nel documentario (ma
questa categoria per i film di Marsh è davvero riduttiva) è quella di un
thriller e questo film è grande cinema.
provare per credere, non ve ne
pentirete - Ismaele
qui il film completo
…Come sempre
succede per le opere d'arte, le risposte sono tanto evidenti, quanto
profondamente misteriose.
Lo stesso
presidente del World Trade Center, Guy Tozzoli, userà la traversata di
Philippe, come straordinario veicolo pubblicitario.
L'impresa finirà sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo, garantendo
ai nuovi grattacieli ed al funambolo francese gloria imperitura.
Eppure qualcosa si rompe definitivamente quella mattina del 7 agosto 1974: dopo
la sua impresa più grande, Petit chiude la sua esaltante stagione di acrobata
sul filo.
Persino i suoi rapporti con la fidanzata di allora e gli amici si deteriorano.
Quella straordinaria avventura è per tutti irripetibile: l'unicità del gesto e
la sua grandiosa e fortunata riuscita rimangono senza seguito.
Marsh ed i suoi personaggi raccontano, con sincera commozione e nostalgia, la
fine di quel momento di estasi collettiva: l'ossessione di Petit ha finito per
travolgere le vite di tutti.
Philippe si è sempre rifiutato di commercializzare le proprie imprese e
continua a vivere secondo l'idea che l'esistenza va vissuta on the
edge.
Marsh, intelligentemente, non allude mai all'11 settembre: per l'ora e mezza
del documentario, le torri sono ancora in piedi, solidissime, verticali, anzi
il film ci mostra le lunghe fasi della loro costruzione, che accompagnano la
nascita dell'ossessione di Petit. Man on wire deve
il suo titolo ad una frase, scritta nel rapporto di polizia del 1974.
Il film di Marsh non è solo un racconto di libertà, di sfida alla natura ed
alle leggi degli uomini, ma è un meraviglioso atto d'amore per quelle torri:
adorate, idolatrate, desiderate, sino alla prova più estrema.
Non c'è dubbio che il gesto bellissimo di Petit ha contribuito ad accrescerne
il mito ed a farle entrare nel cuore dei newyorkesi.
La bravura di Marsh è quella di ricreare la magia di quel folle miracolo,
attraverso le testimonianze umanissime dei partecipanti: la bellezza estetica
si unisce alla tensione drammatica ed alle emozione fortissime di quei 45
indimenticabili minuti, sospesi tra le nuvole.
…The magic works,
and incredibly the film re-creates that first courageous moment when Petit
commits to walking the wire strung between the towers. It's both frightening
and surprisingly poignant. And unexpectedly funny. Police naturally arrive to
cart Petit away, yet he taunts and teases . . . darting away when almost in
their grasp, and playing on the wire for 45 minutes—lying down, juggling, going
back and forth eight times. He's eventually charged with "disturbing the
peace," but the world could use a lot more events like this to shake it
from lethargy.
I entered the
local art house theater expecting to like Man on Wire but
I was completely surprised at just how moved I was by Marsh’s film. It grasps
just what it means to be human and to express it fully. For anyone with a
rebellious, artistic nature, this film is truly an inspiration and ranks among
the stronger films of 2008.
…Directed by James Marsh (Wisconsin
Death Trip; The King) this fascinating documentary captures the excitement and
danger of what has been described as ‘the most artistic crime of the century’.
As Petit puts it himself, “What we did was a crime, but nobody gets hurt, which
is beautiful.” The thing that stands out the most might well be the fact that
nothing like this could ever really happen now, not only because of the events
of 9/11 (something the film does not touch on) but also the nature of the world
we live in now. As the arresting police officer says in archive footage, trying
to appear disapproving but unable to stop smiling, “What I just saw, I don’t
think anyone will ever see again in the whole world.”
Petit himself is the real star of the show here, surrounded by an eccentric
group of helpers and well wishers from France, Australia and America, I can
easily see why they felt obliged and even honored to help him with his life
dream, the end result of which is both nerve-wrecking and absolutely heart
renderingly beautiful. Petit is every bit the showman, talking a mile a minute
his sheer enthusiasm is enough to instantly endear him and to create sympathy
with his cause. Something akin to a surreal heist movie, this documentary
clocks in at around 90 minutes and is hugely entertaining.
…The installation of a wire between
the two towers was as complicated as a bank heist. He and his friends scouted
the terrain, obtained false ID cards, talked their way into a freight elevator
reaching to the top -- above the level of the finished floors. Incredibly, they
had to haul nearly a ton of equipment up there. You may have heard how they got
the wire across, and how they guy-wired it, but if you don't know, I won't tell
you.
They did it, anyway. Their plan
worked. And on the morning of that Aug. 7, Petit took the first crucial step
that shifted his weight from the building to the wire, and stood above a drop
of 1,350 feet. Many people know he crossed successfully. I had no idea he went
back and forth eight times, the police waiting on both sides. His friends shed
tears as they remember it happening. It was dangerous, foolhardy, glorious. His
assistants feared they could be arrested for trespassing, manslaughter or
assisting a suicide. Philippe Petit was arrested and eventually found guilty.
The charge: Disturbing the peace.
la cosa peggiore del film è il titolo italiano, tutto il resto fila che è una bellezza. protagonista il bravissimo Brendan Gleeson di "In Bruges", regista un Mc Donagh, ma non è lo stesso di "In Bruges". un film del quale non ti pentirai mai di averlo visto, promesso - Ismaele
…All builds up to a
shoot-out on a boat docked at an obscure pier. The framing and cinematography
here are unobtrusive but efficient. The drama builds remorselessly. Much is at
stake. I am exhausted by shootouts in which countless rounds are exchanged in displays
of special effects. But a scene like this, which depends on topography,
characters and logistics, can be a gift of the cinema. "The Guard" is
a pleasure. I can't tell if it's really (bleeping) dumb or really (bleeping)
smart, but it's pretty (bleeping) good.
…Après un générique de début façon western, face auquel on se dit que les
héros sont fatigués, le film embraye sur une complexe enquête mêlant trafic de
stupéfiants et divers règlements de compte entre gros bonnets. Sous ses allures
de film sympathique, qui rentre dans le lard des clichés (et des irlandais), se
cache cependant une véritable intrigue, qui une fois le twist final arrivé,
donne envie de revoir le film avec un œil neuf. « The guard » est
donc une formidable comédie policière, aussi référencée que bavarde, aussi
drôle qu'inquiétante, aussi faussement superficielle que le spectateur est
parfois facile à manipuler.
…Aunque el gusto por la espontaneidad origine en ocasiones
diálogos deslavazados y el ritmo se escape un tanto al dominio del director,John Michael McDonagh. Con todo, su debut en el cine no deja
de ser exitoso, y el resultado es un buen film de género, divertido, que merece
la pena ver en versión original por el juego de lenguas y estilos, desde inglés
con acento irlandés al americano, pasando por el gaélico y que crea un
personaje rompedor que daría, en mi opinión, para toda una eficaz serie
televisiva. La fotografía del paisaje entre abrupto y verde de la costa
irlandesa contribuye a orquestar esta singular comedia negra.
…Gli ingredienti
ci sono tutti per far sì che il film risulti un prodotto sfizioso ed
eccentrico: un protagonista originale in tutto e per tutto; tre cattivi
imprevedibili; una spalla che non ha una reale consapevolezza di ciò che
accade; nonché una location, quella dell'aspra e selvaggia Connemara, dai
tratti epici. The Guard (questo il titolo inglese) è dunque una black comedy a
cui non mancano elementi quali imprevedibilità, scenografie e costumi
provocatoriamente stilizzati che in qualche modo avvicinano l'opera
dell'esordiente John Michael McDonagh ai lavori di registi classici come John
Ford e Preston Sturges. Sicuramente gran parte della riuscita del film è dovuta
all'entusiasmante interpretazione di Brendan Gleeson, perfettamente calato nel
ruolo di un uomo caparbio ma cinico, ferocemente onesto nei confronti dei
propri ideali, ma allo stesso tempo tutt'altro che un accanito sostenitore
della legge, anzi spesso si trova ad infrangere le regole. Gerry Boyle è un
irlandese verace, pessimista ed idealista allo stesso tempo, i cui “unici”
punti deboli sono le sostanze illegali e le donne. Il film di McDonagh sa
dunque fondere un cupo umorismo con un'azione dal ritmo serrato in una
pellicola visivamente stilizzata ed allo stesso tempo poetica…
primo lungometraggio di Leos Carax, con il suo attore Denis Lavant.
è un film in bianco e nero, che starebbe bene dentro un film muto, e però è
pieno di musica, e però potrebbe essere un film francese degli anni '60.
Carax non segue mode, fa i suoi film, forse per questo ne fa pochi,
e sono da prendere o lasciare .
io prendo - Ismaele
PS: dopo la fine del film mi è venuta in mente questa canzone.
… Boy Meets Girl (1984) è un'acclamata folgorazione. E una
dichiarazione d'intenti: ridurre la trama all'archetipo, per produrre un cinema
oltre i canoni (letterari) della narrazione. Così, dell'onda degli anni 60, e
soprattutto di Godard, Carax coglie l'assoluta contemporaneità del frammento:
la forma rappresentativa capace di restituire l'obnubilarsi dei nessi
causa/effetto, il vivere frantumato della postmodernità, la schizofrenia
dell'esperienza, la molteplicità caotica dei punti di vista, il proliferare dei
palcoscenici in cui recitare. L'identità è una crisi, il soggetto
dell'enunciazione stenta a definirsi, a manifestarsi: Boy Meets Girl s'apre
su una voce inclassificabile («Siamo qui, ancora soli. Tutto è così lento, così
pesante, così triste. Presto sarò vecchio e tutto finirà, finalmente»),
prosegue seguendo un personaggio femminile, in auto, mentre una voce canta alla
radio la gainsbourghiana Je suis venu te dire (que je m'en vais),
come se la donna alla guida necessitasse di una sfacciata colonna sonora per
telefonare all'uomo che sta abbandonando, prima di gettare nella Senna i suoi
quadri, chiedere a un giovane, immobile, che ore sono, mentre il rumore del
traffico nasconde la risposta, e infine perdere un foulard a scacchi mentre il
volto del suo amato compare in assolvenza e si dissolve, uscendo per sempre
dall'inquadratura. Il giovane, catatonico, si smuove, raccoglie il foulard. Una
voce lo chiama: «Thomas». E' Alex. Che lo raggiunge, s'incammina con lui lungo
la Senna, narra di una donna perduta, del tradimento del suo migliore amico. E
lo aggredisce: è Thomas, il suo miglior amico; è Thomas la passione di
Florence. Alex sottrae il foulard a scacchi (come a scacchi è la sua giacca)
stretto tra le mani del nemico inerme, se ne appropria come fosse un feticcio
riconquistato, lo eleva a (malinteso) unico ricordo del suo amore. «Questo è
quello che mi resta di Florence», dirà. Fugge…
… Boy Meets Girl è dunque manifesto del cinema bislacco di
Leos Carax, opera prima per lui seminale, punto di partenza per uno che forse è
stato troppo sottovalutato, ma che forse, a pensarci bene bene, il suo
non-successo se l’è cercato. E per questo è da stimare.
…Boy Meets Girl is an often intriguing, sometimes dream-like and, just
occasionally, blackly humorous drift through a cold landscape of youthful
angst. But the film's key asset has to be Denis Levant, without question one of
the most interesting faces in European cinema and a model here of buried
frustrations and uncertainty. It's his controlled but enigmatic performance and
the impulsive desires of his character that most clearly signal the direction
that Carax was to head with his next two films…
…The film centres around a romantic and
idealistic young man called Alex, a recurrent figure in the films of Leos
Carax, played in each case by the same actor - Denis Lavant. Alex has just
broken up with his girlfriend Florence, having discovered that she has been
cheating on him with his best friend Thomas. Having savoured every key moment
of their relationship – recording it on a map of Paris sketched out on his
bedroom wall – Alex likewise wants to nurse his heartbreak and mark it with
grand gestures. Having settled accounts with Thomas and chosen a suitably
memorable song by David Bowie to mark the occasion (‘When I Live My
Dream’), Alex takes to wandering through
Paris on a night of stifling heat in May. The Paris night seems to be filled
with lovers, meeting, breaking up and making-up. On his wander through the
streets Alex meets Mireille (Mireille Perrier), a young woman who has just
broken up with her boyfriend Bernard. Aware that she is going to a party, Alex
invites himself along and the world witnesses yet another boy meets girl
encounter…
…The film is visually reminiscent of the early French new wave in the
1960s; its beautiful, evocative black and white scenery coexists with the
energy and jumping camera work of the nouvelle vague. However, instead of
seeming retrospective, Carax uses the imagery, scenes and settings to show a
level of alienation and modernist abstraction made popular by authors such as
William Gibson many years later.
Indeed, the profound darkness and minimalism of the scenery (reminiscent in
some ways to cheeky old rascal, Ingmar Bergman) gives the characters an almost
limitless bottom line of emotional depth as they discuss their troubles.
Beautiful to watch and a good taster of raw Carax (which would later bloom
into his more highly acclaimed set pieces, Mauvais Song and Les Amants...) Boy
meets Girl posesses an added vibrancy and rough edge one could say is lacking
in his later films. Definitely well recommended.