lunedì 16 dicembre 2019

Hattie McDaniel vince l'Oscar



Storie dalla storia degli Oscar: Hattie McDaniel - Michele R. Serra

Il 1940 è un anno bisestile, e la cerimonia degli Oscar si tiene la sera del 29 febbraio. Ma questo è un fatto strano fino a un certo punto.
Quello che è veramente strano è quello che succede intorno alla metà della serata, quando Fay Bainter, una delle grandi star di quei tempi, presenta il premio alla miglior attrice non protagonista.
Hattie McDaniel non è un’attrice qualsiasi, anche se il suo nome non è certo famoso come quello di una Greta Garbo, o Bette Davis, o Kathryn Hepburn. Hattie McDaniel non è un’attrice qualsiasi perché ha recitato nel film più importante di quell’anno, che guarda caso è lo stesso che ha staccato più biglietti nell’intera storia del cinema americano.
Hattie McDaniel interpreta Mami, la cameriera della famiglia o’Hara in Via col vento. Il doppiaggio italiano è particolarmente razzista se ascoltato oggi, ma anche nella versione originale, anche senza quella parlata che agli spettatori del 2019 fa scendere un brivido lungo la schiena, certo il personaggio non è tra i più progressisti si fossero visti su uno schermo in quel periodo. Anzi. Eppure proprio per aver interpretato il personaggio di una schiava, Hattie McDaniel divenne la prima donna nera a vincere un Oscar, in tempi in cui non era solo l’Academy a essere #sowhite, ma la società americana tutta.
Quando si alzò in piedi per raggiungere il palco, ricevere il premio e tenere il suo discorso di ringraziamento, Hattie dovette fare più strada di tutti gli altri premiati. Il suo tavolo non era vicino al palco come quelli degli altri attori. Non era seduta in prima fila con Vivien Leigh, che pure aveva lavorato fianco a fianco con lei nello stesso film. No, il suo tavolo era in un angolo, dietro a tutti gli altri. Perché l’albergo che ospitava la cerimonia degli Oscar, l’Ambassador, uno dei più opulenti della città, aveva una regola ferrea: i neri non potevano stare coi bianchi. Anzi, a dirla tutta i neri non potevano proprio entrare, tanto che il potentissimo produttore di Via col vento David Selznick dovette chiedere un favore personale al direttore, affinché Hattie potesse andare a ritirare il suo premio.
Era la prima volta che le veniva concesso di ricevere un applauso, pubblicamente, per la sua interpretazione. Non era stata invitata neppure alla prima del film, ad Atlanta. Margaret Mitchell, l’autrice del romanzo da cui è tratto il film, che invece era presente alla première, le scrisse una lettera il giorno dopo, che si concludeva così:
“avrei voluto che fossi lì con noi, a prenderti gli applausi”.
Hattie McDaniel è rimasta legata al ruolo di una schiava, che non la rese molto ben vista neanche dalle associazioni per i diritti dei neri che faticosamente stavano iniziando a conquistare posizioni in quegli anni. Eppure, senza essere una rivoluzionaria, aveva trovato un suo modo per farsi strada. Grazie al suo lavoro di attrice comprò una casa in una zona residenziale di Los Angeles, per vicini si ritrovò famiglie di borghesi bianchi che non la volevano nel loro quartiere, tanto che le fecero causa. Lei vinse la causa e in quella casa diede grandi feste piene di star, a partire dal suo amico Clark Gable. Riuscì poi ad avere un programma radiofonico tutto suo, la prima speaker nera della storia americana.
Insomma, potremmo dire che la sua strada è stata forse più simile a quella di Jay-Z che a quella di Martin Luther King. Però Hattie McDaniel non era certo una Mami.
Non sarà stata una rivoluzionaria, ma è stata senza dubbio una rivoluzione.



HATTIE MCDANIEL – LA STORIA DI “MAMI” - Virginio Zanolla
La concezione che abbiamo degli attori cinematografici inclina sovente alla loro mitologizzazione: fatto comprensibile, se non fosse che così facendo tendiamo a scordarci dell’umanità delle loro nature, in quanto le loro vicende esistenziali hanno spesso contemplato momenti di tristezza, umiliazione, sconforto.
Ecco l’esempio di un’attrice americana che, pur se nota al pubblico italiano (grazie però a un solo film), nella sostanza ad esso risulta, paradossalmente, quasi sconosciuta: Hattie McDaniel, la ‘Mami’ di “Via col vento”.
Nata nella futura capitale mondiale dell’aeronautica, cioè a Wichita, in Kansas, il 10 giugno 1895, Hattie era l’ultima dei tredici figli di Henry, un ex schiavo emancipato durante la guerra civile americana che combatté in un reggimento formato da soldati di colore, e di Susan Holbert, una cantante di musica religiosa.
Quand’ella non contava ancora due anni, la sua famiglia si trasferì a Fort Collins, in Colorado, quindi a Denver; qui Hattie si diplomò alla Denver East High School, un’istituto fondato nel 1876 dove non guardavano al colore della pelle, presso il quale studiarono, tra i molti, il jazzista Paul Whiteman, Mamie Geneva Doud, futura signora Eisenhower, e altri attori come Douglas Fairbanks, Harold Lloyd e Ward Bond.
Tra i suoi fratelli, anche Sam ed Etta furono attori cinematografici, e Otis musicista. Hattie esordì giovanissima in palcoscenico come cantante nei concerti gospel allestiti dal padre col determinante apporto di quest’ultimo, ma nel 1916, trentaquattrenne, Otis morì, e quegli spettacoli persero interesse: ella tornò a esibirsi in pubblico solo nel 1920, quando entrò come vocalist nella band di colore Melody Hounds fondata dal nero George Morrison, un violinista e stimato insegnante di musica, grazie al quale nel ’24 cantò con successo alla stazione KOA di Denver, prima artista nera ad esibirsi in una trasmissione radiofonica.
Con Morrison e i Melody Hounds tra il 1926 e il ’29 Hattie registrò anche sedici canzoni, prima per l’etichetta Meritt di Kansas City, poi per la Okeh Records e per la Paramount Records, entrambe di Chicago: le dieci pubblicate in dischi forniscono un esauriente esempio della qualità della sua voce calda e potente.
Per lei, come per moltissimi altri americani, i guai iniziarono il 29 ottobre del ’29, col “martedì nero” che segnò il crollo della borsa di Wall Street: trovatasi all’improvviso senza lavoro, per sbarcare il lunario Hattie dovette adattarsi a svolgere le mansioni più umili. Dopo molto peregrinare trovò un’occupazione come cameriera addetta alla pulizia dei bagni nel Club Madrid di Milwaukee, nel Winsconsin: un ritrovo frequentato da una clientela piuttosto eterogenea (tra cui, pare, Al Capone e altri gangsters), dove giravano bevande alcoliche allora proibite, si giocava d’azzardo, e nel quale si esibivano musicisti e cantanti; sicché presto Hattie, vincendo la resistenza dei proprietari, i fratelli Pick, riuscì a proporsi sulla ribalta del suo palcoscenico, riscuotendo ampi consensi, tanto che vi lavorò come cantante per circa un anno.
Nel ’31 decise di raggiungere i fratelli Sam, Etta ed Orlena, che vivevano a Los Angeles impegnati con varie mansioni del dorato mondo di Hollywood, ma non ancora sul set. Farsi strada in quell’ambiente sofisticato per lei non fu facile, tanto che nei primi tempi lavorò ancora come cameriera e fece anche la cuoca.
Grazie a Sam, che partecipava a un programma radiofonico della KNX, The Optimistic Do-Nut Hour, poté prendervi anch’essa parte nel ruolo d’una cameriera prepotente, ottenendo discreta popolarità ma un modestissimo corrispettivo economico. Se il fisico esuberante le fu d’impaccio, contribuì però a caratterizzarla, finché nel ’32 Hattie poté finalmente esordire nel cinema come attrice, nel ruolo d’una cameriera, sul set del western L’occidente d’oro (The Golden West) di David Howard.
Negli anni che seguirono ebbe poi piccole parti, anche se a volte significative, perlopiù nel ruolo di domestica, anche in pellicole di successo come la commedia musicale Non sono un angelo (I’m No Angel,’33) di Wesley Ruggles, che impose all’attenzione Mae West; la commedia Il giudice (Judge Priest, ’34) di John Ford, dov’ebbe finalmente modo di mettersi in luce cantando in duetto col protagonista Will Rogers, con cui strinse una bella amicizia; Il piccolo colonnello (The Little Colonel, ’35) di David Butler, altra commedia musicale con Shirley Temple, Lionel Barrymore e Bill Robinson; l’avventuroso Sui mari della Cina (China Seas, id.) di Tay Garnett, accanto a Jean Harlow, Clark Gable e Wallace Beery; e il romantico Primo amore (Alice Adams, id.) di George Stevens, con Katharine Hepburn e Fred McMurray, dove la sua Malena Burns indispettì molti spettatori bianchi del Sud di vedute razziste, perché con la sua simpatica petulanza ‘rubava le battute’ alla protagonista.
In quegli anni lavorò moltissimo anche in ruoli non accreditati: giacché se i film in cui è presente col nome ammontano a circa trentacinque, il totale delle sue partecipazioni supera il centinaio di titoli. Nel ’34 Hattie aderì all’appena fondato Screen Actors Guild, il sindacato degli attori, ciò che le conferì maggiore credito.
Tra le sue interpretazioni di rilievo nella seconda metà degli anni Trenta sono da ricordare almeno il ruolo di Queenie ne La canzone di Magnolia (Show Boat, ’36) di James Whale, un musical dov’ebbe di nuovo occasione di cantare, quello di Rosetta in Saratoga (id., ’35) di Jack Conway, in cui ritrovò la Harlow, Gable e Lionel Barrymore, e quello di Hilda ne Il terzo delitto (The Mad Miss Manton, ’38) di Leigh Jason, accanto a Barbara Stanwyck ed Henry Fonda.
Ma la parte dove il suo talento rifulse meglio fu quella della domestica Mami in Via col vento (Gone with the Wind, ’39) di Victor Fleming, che le ha assicurato l’immortalità cinematografica. Ottenere quel ruolo fu complicato. Hattie si presentò al provino vestita proprio da domestica del Sud; avendo interpretato fino allora perlopiù ruoli comici, era persuasa che sarebbe stata scartata: venne invece prescelta; ma quando i giochi sembravano fatti, si mise di mezzo addirittura la first lady Eleanor Roosevelt, che contattò il produttore del film David Selznick per caldeggiare nella parte la scelta della sua governante, Elizabeth McDuffie.
Se la parte venne definitivamente assegnata ad Hattie fu per merito di Clark Gable, che avendo già lavorato due volte con lei e stimandola molto, insisté con Selznick affinché la scegliesse, e lo persuase. Questi non si pentì della scelta, perché uno dei nove Oscar ottenuti dal film, quello per la miglior attrice non protagonista, andò proprio ad Hattie, che fu la prima attrice afroamericana della storia del cinema a ottenerlo: riconoscimento di cui ella fu profondamente toccata.
Per lei le cose non filarono del tutto lisce fin dalla sera della proiezione inaugurale del film, avvenuta venerdì 15 dicembre ’39 al Loew’s Grand Theatre di Peachtree Street ad Atlanta: giacché a causa delle assurde leggi sulla segregazione razziale allora vigenti in Georgia, Selznick si vide costretto a sconsigliarle di presenziare: alla notizia, Clark Gable, essendo molto amico di Hattie (era infatti uno dei pochi bianchi sempre presente alle sue feste) minacciò di non farsi vedere ad Atlanta neanche lui, e fu proprio lei a pregarlo di recarcisi.
L’autrice di Via col vento, Margaret Mitchell, poi le inviò un telegramma di congratulazioni che diceva: “Vorrei avesse sentito gli applausi”. Per rimediare allo sgarbo a cui era stato costretto, Selznick invitò Hattie al debutto hollywoodiano del film, il 28 dicembre, e fece porre la sua immagine bene in vista nelle locandine. Selznick mostrò coraggio anche la sera del 29 febbraio ’40, alla cerimonia di premiazione degli Oscar, avvenuta presso il ristorante Coconut Grove dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, impuntandosi affinché anch’ella fosse presente: del resto, sarebbe stato assurdo conferirle un premio per poi non accettare che lo ricevesse pubblicamente.
Lei e il suo cavaliere, però, assieme al suo manager, il bianco William Meiklejohn, vennero fatti sedere a un tavolo separato, ben distante da quelli in cui trovavano posto il regista, Vivien Leigh, Olivia de Havilland, Leslie Howard, Clark Gable, Thomas Mitchell e gli altri protagonisti del film. Il breve discorso che ella pronunciò per ringraziare del conferimento del premio fu giudicato il migliore della serata. Circa il suo personaggio, disse alla stampa: “Ho amato Mami. Penso d’averla compresa perché mia nonna lavorava in una piantagione non diversa da Tara”.
Ma l’eccellenza della sua interpretazione, che dispiacque ai bianchi razzisti del Sud per le libertà che Mami si prendeva nel trattare con Rossella, provocò acredine anche da parte dei neri impegnati nella lotta per il riconoscimento dei loro diritti civili, i quali sostennero che l’attrice avesse accettato passivamente il suo ruolo, conformandosi al cliché della domestica nera nelle famiglie patriarcali del Sud, ciò che era manifestamente falso, e definendola per questo “lo zio Tom dei bianchi”.
Sicché per assurdo Hattie si vide criticata dai due opposti schieramenti. Ella si difese replicando: “Perché dovrei sentirmi in colpa se interpretando una cameriera guadagno 700 dollari alla settimana? Non l’avessi fatto, ne guadagnerei 7 a settimana lavorando come una vera donna di servizio”.
Solo nel 1947 accettò di entrare nel NAGA (Negro Actors Guild of America), il sindacato degli attori di colore. Dopo il conferimento dell’Oscar, Hattie proseguì la carriera nel cinema, apparendo con ruoli di prestigio in film quali In questa nostra vita (In This Our Life, ’42) di John Huston, accanto a Bette Davis e Olivia de Havilland, nel musical Sotto le stelle di Hollywood (Thank You Lucky stars, ’43) di David Butler, con Humphrey Bogart e la Davis, fino a La signorina rompicollo (Mickey, ’48) di Ralph Murphy e Abbandonata in viaggio di nozze (Family Honeymoon,’49) di Claude Binyon, due commedie che furono tra le sue ultime interpretazioni.
Lavorò con successo pure in radio e in televisione, e durante la seconda guerra mondiale intrattenne con spettacoli le truppe di colore (giacché non le fu permesso farlo per quelle di bianchi), e visitò spesso i soldati degenti negli ospedali. Bette Davis, di cui era amica, fu l’unica attrice bianca a esibirsi con lei; oltre che con lei e con Gable, Hattie ebbe rapporti d’amicizia anche con Henry Fonda, Joan Crawford, Ronald Reagan, Shirley Temple e Olivia de Havilland, mentre con la grande attrice di prosa Tallulah Bankhead, notoriamente lesbica, si dice abbia avuto una breve relazione.
Nella sua vita si sposò quattro volte, ma non fu fortunata: il 19 gennaio 1911 a Denver con Howard Hickman, che quattro anni dopo la lasciò vedova; nel ’22 con George Langford, che nel gennaio del ’25 morì per una ferita d’arma da fuoco; il 21 marzo del ’41 a Tucson con l’agente immobiliare James Lloyd Crawford, dal quale divorziò nel ’45; e l’11 giugno a Yuma col decoratore d’interni Larry Williams, per divorziare cinque mesi dopo. Non risulta abbia avuto figli.
Colpita da un tumore al seno, Hattie McDaniel morì all’età di cinquantasette anni, il 26 ottobre 1952, all’ospedale della Motion Picture House di Woodland Hills presso Los Angeles. Il suo desiderio d’esser sepolta all’Hollywood Forever Cemetery, dove si trovano le tombe dei più importanti attori, per la segregazione razziale ancora imperante venne disatteso, sicché fu inumata all’Angelus Rosedale Cemetery, dove la sua salma riposa tuttora.
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Hattie McDaniel: la cruel historia de una actriz que ganó un Oscar y desafió a la sociedad - EVA GÜIMIL
Protagonizó una de las películas más famosas de la historia del cine, Lo que el viento se llevó, pero le prohibieron asistir al estreno; se convirtió en la primera actriz negra en ganar el Oscar, pero no pudo sentarse en la misma mesa que sus compañeros de reparto; fue relegada a papeles de criada por los blancos y rechazada por los negros, que no entendían que se plegase al estereotipo al que Hollywood había reducido a su raza. Murió sin un dólar y su Oscar se lo llevó el viento, pero siempre fue fiel a sí misma y su mejor frase no la escribió ningún guionista, sino ella misma: “Prefiero interpretar a una criada por 700 dólares que ser una por 7”. Se llamaba Hattie McDaniel y sus luces y sombras estarán para siempre unidas a la historia del cine.
Hattie McDaniel (Kansas, EE UU, 1893; Los Ángeles, EE UU, 1952) era la menor de los 13 hijos de una pareja de esclavos liberados que había recalado en Kansas huyendo de la pobreza más extrema. Más aficionada a seguir el ritmo del góspel que interpretaba su madre en la iglesia que a los libros, no tardó en subirse al escenario para colaborar en la paupérrima economía familiar. No tenía claro cuál sería su futuro, pero sí sabía que no quería seguir el camino de la servidumbre al que parecían condenadas las mujeres de su raza. Prefirió formar junto a dos de sus hermanos un grupo de vodevil en el que su vis cómica no tardó en destacar. "Ella fue radical en muchos aspectos", escribió su biógrafa Jill Watts, en Hattie McDaniel: Black Ambition, White Hollywood (ambición negra, Hollywood blanco). “Actuaba con la cara pintada de blanco, algo que ninguna otra mujer hacía entonces”, resumió Watts.
Cuando el crash del 29 se llevó todo por delante, también acabó con su espectáculo y ella recaló en Millwakee. "Aterricé allí rota", escribió en 1947 en The Hollywood Reporter. "Alguien me dijo que en el hotel Suburban Inn de Sam Pick buscaban una asistente para el baño de mujeres. Salí corriendo y cogí el trabajo. Una noche, cuando todos los artistas se habían ido, el gerente pidió que algún voluntario se subiese al escenario, pedí una canción a los músicos y comencé a cantar. No volví a trabajar en los baños. Durante dos años protagonicé el espectáculo del local”.
Destacar en el negocio del espectáculo en los albores de los años treinta y acabar en Hollywood era una secuencia lógica y hacia allí se encaminó. Pero el Hollywood que se encontró McDaniel no era un campo de rosas para los negros. El código Hays —un sistema de autorregulación de los estudios para restablecer la buena imagen de Hollywood tras el aluvión de escándalos de los años veinte— prohibía los romances interraciales y no permitía que los negros accediesen a papeles violentos.
Los actores negros ocupaban papeles irrelevantes y a menudo sin acreditar: eran chóferes, camareros, turba y especialmente sirvientes. Hattie había huido del servicio en la vida real, pero no podría hacerlo en la pantalla. No tardó en destacar. En 1934, el director John Ford le echó el ojo y fomentó su estilo atrevido y sarcástico. Apareció en docenas de películas con algunas de las estrellas más populares de Hollywood y exprimiendo cada minuto en pantalla se convirtió en uno de los rostros más familiares del país. Estaba cumpliendo un sueño poco probable para la hija de un esclavo.
El productor de Lo que el viento se llevó, David O. Selznick, le dio a McDaniel el papel de Mammy a pesar de que no encarnaba los valores que se le suponían a una abnegada criada: era sarcástica, altiva y la única que se atrevía a pararle los pies a la indómita Escarlata (interpretada por Vivien Leigh). Eso sí, estaba enmarcada dentro de ese cliché de sirviente que no tiene vida al margen de su amo.
El 15 de diciembre de 1939 alrededor de 300.000 personas acudieron a Atlanta para el estreno de la película en el Loew's Grand Theatre. Durante tres días la ciudad se engalanó para festejar el mayor acontecimiento de su historia. Las limusinas desfilaron por la calle principal, se celebraron recepciones, ondearon miles de banderas confederadas y hubo un baile de disfraces. Hattie McDaniel no recibió una invitación. La ley Jim Crow, que imponía la segregación de los negros en lugares públicos, seguía vigente en el sur. Todavía faltaban 16 años para que a pocos kilómetros de allí, Rosa Parks se negase a ceder su asiento en el autobús. 
A pesar del desdén con el que fue tratada, McDaniel hizo su papel a la perfección dentro y fuera de la pantalla. "Me encantó Mammy", declaró al hablar con la prensa sobre el personaje. "Creo que la entendí porque mi propia abuela trabajaba en una plantación similar a Tara", añadió.
La opinión de la comunidad negra se dividió al momento del lanzamiento y la película fue llamada por algunos como "arma de terror contra la América negra" y un insulto al público negro. Se realizaron manifestaciones en varias ciudades. No todos se volcaron contra la interpretación de McDaniel: la crítica la colocó a la altura de Vivien Leigh, y Los Angeles Times escribió que su trabajo era "digno de los premios de la Academia", tal y como recoge el libro Backwards and in Heels: The Past, Present And Future Of Women Working In Film.
Cuando el 29 de febrero de 1940 Fay Bainter leyó su nombre en la noche de los Oscar, 12 años después de su creación, una mujer negra se subía al escenario por primera vez, y no era para limpiarlo. La hija de dos antiguos esclavos, ataviada con un vestido turquesa y con dos gardenias blancas por tocado pronunció su discurso con la voz entrecortada: “Academia de Artes y Ciencias Cinematográficas, miembros de la industria cinematográfica e invitados de honor: este es uno de los momentos más felices de mi vida y quiero agradecer su amabilidad a cada uno de ustedes que participó en seleccionarme para uno de sus premios. Me ha hecho sentir muy, muy humilde; y siempre lo sostendré como un faro para cualquier cosa que pueda hacer en el futuro. Sinceramente espero ser siempre un crédito para mi carrera y para la industria cinematográfica. Mi corazón está demasiado lleno para deciros cómo me siento, y puedo daros las gracias y que Dios os bendiga”.
Discurso de agradecimiento de Hattie McDaniel en la noche en que se convirtió en la primera mujer negra en ganar un Oscar.
Ella era la única mujer negra de la sala y la primera afroamericana en asistir a los premios de la Academia como invitada, no como sirvienta. Selznick había tenido que pedir un permiso especial para que estuviese en el recinto, en una pequeña mesa al fondo, alejada de las estrellas. Ni siquiera pudo posar con el resto del equipo de la película: California también era un Estado segregado.
La magnitud de su triunfo tardaría años en revelarse. Hasta que casi un cuarto de siglo después el actor Sidney Poitier recogiese su estatuilla por Los lirios del valle, ningún otro intérprete negro volvió a ser galardonado y ochenta años después, solo siete actrices negras se han llevado a casa el premio: Whoopi Goldberg, Halle Berry, Viola Davis, Lupita, Jennifer Hudson, Octavia Spencer y Mo’nique. Precisamente esta última subió al escenario con un aspecto inspirado en el de McDaniel y la mencionó en su discurso: “Quiero agradecer a Hattie McDaniel por soportar todo lo que tuvo que soportar para que yo no tuviera que hacerlo".
Discurso de la actriz Mo'nique al recoger el Óscar por 'Precious', una ocasión en la que recordó a Hattie McDaniel.
La actriz no iba a contracorriente solamente dentro de la industria. Su vida afectiva también era inusual. A pesar de sus cuatro efímeros matrimonios, los mentideros de la meca del cine la incluyeron en lo que se denominaba “círculos de costura”, una manera de llamar a las lesbianas de Hollywood y a los que pertenecían leyendas como Joan Crawford, Greta Garbo, Myrna Loy, Barbara Stanwyck o Marlene Dietrich. Según el biógrafo Kenneth Anger, Hattie fue amante de Tallulah Bankhead, célebre por pasar por la cama de la mitad de las actrices de Hollywood y por haber sido una de las favoritas para interpretar a Escarlata. Nada de eso trascendió al gran público. La industria generaba demasiado dinero y nadie estaba dispuesto a permitir que sus estrellas desafiaran la moralidad imperante. Publicistas y productores emparejaron a homosexuales y lesbianas formando matrimonios tan creíbles para los espectadores como risibles intramuros.
El éxito de Lo que el viento se llevó hizo a McDaniel tremendamente popular, pero también la encasilló. Tras la Segunda Guerra Mundial empezaban a respirarse aires nuevos, pero ella siguió aferrada a los papeles de criada y formó parte del reparto de la hoy denostadísima Canción del sur, una mancha que Disney sigue intentando borrar de su historia.
Al final de su carrera volvió a la radio y tuvo uno de esos pequeños triunfos que de nuevo sus compañeros no quisieron ver: se hizo con el papel de Beulah, otra vez una criada estereotipada, pero le había quitado el papel a un hombre blanco. Era la primera vez que una mujer afroamericana protagonizaba un programa de radio y se llevaba por ello mil dólares a la semana. Fue un éxito efímero, pues poco después de firmar el contrato le detectaron un tumor en el pecho. Murió el 26 de octubre de 1952 con 57 años.
En su testamento pidió dos cosas: ser enterrada en el cementerio Hollywood Forever y que su Oscar fuera entregado a la Universidad de Howard. Y tras su fallecimiento recibió su enésima bofetada: el cementerio no aceptaba a negros por muy famosos que fuesen. Se la enterró en el camposanto de Angelus-Rosedale. A  la ceremonia enviaron flores muchas de las estrellas que trabajaron con ella, pero solo James Cagney asistió en persona.
Hoy nadie sabe qué pasó con su premio de la Academia. Unos afirman que fue arrojado al río Potomac durante las revueltas que se produjeron tras el asesinato de Martin Luther King Jr. en 1968. Otros, con menos sentido de la épica, que simplemente está perdido en algún sótano, pues debido a su forma de placa –hasta 1944 los actores secundarios no recibieron estatuilla– es más difícil de identificar.
Paradójicamente, es lo más valioso que tenía cuando falleció: tras toda una vida trabajando no le quedaba un céntimo en el bolsillo. Gran parte de su pequeña fortuna se había ido en ayudar a sus compañeros menos afortunados.
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