Storie dalla storia degli Oscar: Hattie McDaniel
- Michele R.
Serra
Il 1940 è un anno bisestile, e la cerimonia degli Oscar si tiene la sera del 29
febbraio. Ma questo è un fatto strano fino a un certo punto.
Quello che è veramente strano è quello che succede intorno alla metà della
serata, quando Fay Bainter, una delle grandi star di quei tempi, presenta il
premio alla miglior attrice non protagonista.
Hattie McDaniel non è un’attrice qualsiasi,
anche se il suo nome non è certo famoso come quello di una Greta Garbo, o Bette
Davis, o Kathryn Hepburn. Hattie McDaniel non è un’attrice qualsiasi perché ha
recitato nel film più importante di quell’anno, che guarda caso è lo stesso che
ha staccato più biglietti nell’intera storia del cinema americano.
Hattie McDaniel interpreta Mami,
la cameriera della famiglia o’Hara in Via col vento. Il doppiaggio
italiano è particolarmente razzista se ascoltato oggi, ma anche nella versione
originale, anche senza quella parlata che agli spettatori del 2019 fa scendere
un brivido lungo la schiena, certo il personaggio non è tra i più progressisti
si fossero visti su uno schermo in quel periodo. Anzi. Eppure proprio per aver
interpretato il personaggio di una schiava, Hattie McDaniel divenne la prima
donna nera a vincere un Oscar, in tempi in cui non era solo l’Academy a
essere #sowhite, ma la società americana tutta.
Quando si alzò in piedi per raggiungere il palco, ricevere il premio e
tenere il suo discorso di ringraziamento, Hattie dovette fare più strada di
tutti gli altri premiati. Il suo tavolo non era vicino al palco come quelli
degli altri attori. Non era seduta in prima fila con Vivien Leigh, che pure
aveva lavorato fianco a fianco con lei nello stesso film. No, il suo tavolo era
in un angolo, dietro a tutti gli altri. Perché l’albergo che ospitava la
cerimonia degli Oscar, l’Ambassador, uno dei più opulenti della città, aveva
una regola ferrea: i neri non potevano stare coi bianchi. Anzi, a dirla tutta i
neri non potevano proprio entrare, tanto che il potentissimo produttore
di Via col vento David Selznick dovette chiedere un favore
personale al direttore, affinché Hattie potesse andare a ritirare il suo
premio.
Era la prima volta che le veniva concesso di ricevere un applauso,
pubblicamente, per la sua interpretazione. Non era stata invitata neppure alla
prima del film, ad Atlanta. Margaret Mitchell, l’autrice del romanzo da cui è
tratto il film, che invece era presente alla première, le scrisse
una lettera il giorno dopo, che si concludeva così:
“avrei voluto che fossi lì con noi, a prenderti gli applausi”.
Hattie McDaniel è rimasta legata al ruolo di una schiava, che non la rese
molto ben vista neanche dalle associazioni per i diritti dei neri che
faticosamente stavano iniziando a conquistare posizioni in quegli anni. Eppure,
senza essere una rivoluzionaria, aveva trovato un suo modo per farsi strada.
Grazie al suo lavoro di attrice comprò una casa in una zona residenziale di Los
Angeles, per vicini si ritrovò famiglie di borghesi bianchi che non la volevano
nel loro quartiere, tanto che le fecero causa. Lei vinse la causa e in quella
casa diede grandi feste piene di star, a partire dal suo amico Clark Gable.
Riuscì poi ad avere un programma radiofonico tutto suo, la prima speaker nera
della storia americana.
Insomma, potremmo dire che la sua strada è stata forse più simile a quella
di Jay-Z che
a quella di Martin Luther King. Però Hattie McDaniel non era certo una Mami.
Non sarà stata una rivoluzionaria, ma è stata senza dubbio una rivoluzione.
HATTIE MCDANIEL – LA STORIA DI “MAMI” - Virginio Zanolla
La
concezione che abbiamo degli attori cinematografici inclina sovente alla loro
mitologizzazione: fatto comprensibile, se non fosse che così facendo tendiamo a
scordarci dell’umanità delle loro nature, in quanto le loro vicende
esistenziali hanno spesso contemplato momenti di tristezza, umiliazione,
sconforto.
Ecco
l’esempio di un’attrice americana che, pur se nota al pubblico italiano (grazie
però a un solo film), nella sostanza ad esso risulta, paradossalmente, quasi
sconosciuta: Hattie McDaniel, la ‘Mami’ di “Via col vento”.
Nata nella
futura capitale mondiale dell’aeronautica, cioè a Wichita, in Kansas, il
10 giugno 1895, Hattie era l’ultima dei tredici figli di Henry, un
ex schiavo emancipato durante la guerra civile americana che combatté in un
reggimento formato da soldati di colore, e di Susan Holbert, una
cantante di musica religiosa.
Quand’ella
non contava ancora due anni, la sua famiglia si trasferì a Fort Collins, in
Colorado, quindi a Denver; qui Hattie si diplomò alla Denver East
High School, un’istituto fondato nel 1876 dove non guardavano al colore della
pelle, presso il quale studiarono, tra i molti, il jazzista Paul Whiteman,
Mamie Geneva Doud, futura signora Eisenhower, e altri attori come Douglas
Fairbanks, Harold Lloyd e Ward Bond.
Tra i suoi
fratelli, anche Sam ed Etta furono attori cinematografici, e Otis musicista.
Hattie esordì giovanissima in palcoscenico come cantante nei concerti gospel allestiti
dal padre col determinante apporto di quest’ultimo, ma nel 1916,
trentaquattrenne, Otis morì, e quegli spettacoli persero interesse: ella tornò
a esibirsi in pubblico solo nel 1920, quando entrò come vocalist nella band di
colore Melody Hounds fondata dal nero George Morrison, un
violinista e stimato insegnante di musica, grazie al quale nel ’24 cantò con
successo alla stazione KOA di Denver, prima artista nera ad esibirsi in una
trasmissione radiofonica.
Con Morrison
e i Melody Hounds tra il 1926 e il ’29 Hattie registrò anche sedici canzoni,
prima per l’etichetta Meritt di Kansas City, poi per la Okeh Records e
per la Paramount Records, entrambe di Chicago: le dieci pubblicate in dischi
forniscono un esauriente esempio della qualità della sua voce calda e potente.
Per lei,
come per moltissimi altri americani, i guai iniziarono il 29 ottobre del ’29,
col “martedì nero” che segnò il crollo della borsa di Wall Street:
trovatasi all’improvviso senza lavoro, per sbarcare il lunario Hattie dovette
adattarsi a svolgere le mansioni più umili. Dopo molto peregrinare trovò
un’occupazione come cameriera addetta alla pulizia dei bagni nel Club Madrid di
Milwaukee, nel Winsconsin: un ritrovo frequentato da una clientela piuttosto
eterogenea (tra cui, pare, Al Capone e altri gangsters), dove
giravano bevande alcoliche allora proibite, si giocava d’azzardo, e nel quale
si esibivano musicisti e cantanti; sicché presto Hattie, vincendo la resistenza
dei proprietari, i fratelli Pick, riuscì a proporsi sulla ribalta del suo
palcoscenico, riscuotendo ampi consensi, tanto che vi lavorò come cantante per
circa un anno.
Nel ’31
decise di raggiungere i fratelli Sam, Etta ed Orlena, che vivevano a Los
Angeles impegnati con varie mansioni del dorato mondo di Hollywood, ma non
ancora sul set. Farsi strada in quell’ambiente sofisticato per lei non fu
facile, tanto che nei primi tempi lavorò ancora come cameriera e fece anche la
cuoca.
Grazie a
Sam, che partecipava a un programma radiofonico della KNX, The Optimistic
Do-Nut Hour, poté prendervi anch’essa parte nel ruolo d’una cameriera
prepotente, ottenendo discreta popolarità ma un modestissimo corrispettivo
economico. Se il fisico esuberante le fu d’impaccio, contribuì però a
caratterizzarla, finché nel ’32 Hattie poté finalmente esordire nel cinema come
attrice, nel ruolo d’una cameriera, sul set del western L’occidente d’oro (The
Golden West) di David Howard.
Negli anni
che seguirono ebbe poi piccole parti, anche se a volte significative, perlopiù
nel ruolo di domestica, anche in pellicole di successo come la commedia
musicale Non sono un angelo (I’m No Angel,’33) di
Wesley Ruggles, che impose all’attenzione Mae West; la commedia Il
giudice (Judge Priest, ’34) di John Ford, dov’ebbe finalmente modo
di mettersi in luce cantando in duetto col protagonista Will Rogers, con cui
strinse una bella amicizia; Il piccolo colonnello (The
Little Colonel, ’35) di David Butler, altra commedia musicale con Shirley
Temple, Lionel Barrymore e Bill Robinson; l’avventuroso Sui mari
della Cina (China Seas, id.) di Tay Garnett, accanto a Jean
Harlow, Clark Gable e Wallace Beery; e il romantico Primo amore (Alice
Adams, id.) di George Stevens, con Katharine Hepburn e Fred McMurray, dove la
sua Malena Burns indispettì molti spettatori bianchi del Sud di vedute
razziste, perché con la sua simpatica petulanza ‘rubava le battute’ alla
protagonista.
In quegli
anni lavorò moltissimo anche in ruoli non accreditati: giacché se i film in cui
è presente col nome ammontano a circa trentacinque, il totale delle sue
partecipazioni supera il centinaio di titoli. Nel ’34 Hattie aderì all’appena
fondato Screen Actors Guild, il sindacato degli attori, ciò che le
conferì maggiore credito.
Tra le sue
interpretazioni di rilievo nella seconda metà degli anni Trenta sono da
ricordare almeno il ruolo di Queenie ne La canzone di Magnolia (Show
Boat, ’36) di James Whale, un musical dov’ebbe di nuovo occasione di cantare,
quello di Rosetta in Saratoga (id., ’35) di Jack Conway, in cui ritrovò la
Harlow, Gable e Lionel Barrymore, e quello di Hilda ne Il terzo
delitto (The Mad Miss Manton, ’38) di Leigh Jason, accanto a
Barbara Stanwyck ed Henry Fonda.
Ma la parte
dove il suo talento rifulse meglio fu quella della domestica Mami in Via
col vento (Gone with the Wind, ’39) di Victor Fleming, che le ha
assicurato l’immortalità cinematografica. Ottenere quel ruolo fu complicato.
Hattie si presentò al provino vestita proprio da domestica del Sud; avendo interpretato
fino allora perlopiù ruoli comici, era persuasa che sarebbe stata scartata:
venne invece prescelta; ma quando i giochi sembravano fatti, si mise di mezzo
addirittura la first lady Eleanor Roosevelt, che contattò il
produttore del film David Selznick per caldeggiare nella parte la scelta della
sua governante, Elizabeth McDuffie.
Se la parte
venne definitivamente assegnata ad Hattie fu per merito di Clark Gable,
che avendo già lavorato due volte con lei e stimandola molto, insisté con
Selznick affinché la scegliesse, e lo persuase. Questi non si pentì della
scelta, perché uno dei nove Oscar ottenuti dal film, quello
per la miglior attrice non protagonista, andò proprio ad Hattie, che fu la
prima attrice afroamericana della storia del cinema a ottenerlo: riconoscimento
di cui ella fu profondamente toccata.
Per lei le
cose non filarono del tutto lisce fin dalla sera della proiezione inaugurale
del film, avvenuta venerdì 15 dicembre ’39 al Loew’s Grand Theatre di Peachtree
Street ad Atlanta: giacché a causa delle assurde leggi sulla
segregazione razziale allora vigenti in Georgia, Selznick si vide costretto a
sconsigliarle di presenziare: alla notizia, Clark Gable, essendo molto amico di
Hattie (era infatti uno dei pochi bianchi sempre presente alle sue feste)
minacciò di non farsi vedere ad Atlanta neanche lui, e fu proprio lei a
pregarlo di recarcisi.
L’autrice di
Via col vento, Margaret Mitchell, poi le inviò un telegramma di
congratulazioni che diceva: “Vorrei avesse sentito gli applausi”. Per
rimediare allo sgarbo a cui era stato costretto, Selznick invitò Hattie al
debutto hollywoodiano del film, il 28 dicembre, e fece porre la sua immagine
bene in vista nelle locandine. Selznick mostrò coraggio anche la sera del 29
febbraio ’40, alla cerimonia di premiazione degli Oscar, avvenuta presso il
ristorante Coconut Grove dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, impuntandosi
affinché anch’ella fosse presente: del resto, sarebbe stato assurdo conferirle
un premio per poi non accettare che lo ricevesse pubblicamente.
Lei e il suo
cavaliere, però, assieme al suo manager, il bianco William Meiklejohn, vennero
fatti sedere a un tavolo separato, ben distante da quelli in cui trovavano
posto il regista, Vivien Leigh, Olivia de Havilland, Leslie Howard, Clark
Gable, Thomas Mitchell e gli altri protagonisti del film. Il breve discorso che
ella pronunciò per ringraziare del conferimento del premio fu giudicato il
migliore della serata. Circa il suo personaggio, disse alla stampa: “Ho
amato Mami. Penso d’averla compresa perché mia nonna lavorava in una
piantagione non diversa da Tara”.
Ma
l’eccellenza della sua interpretazione, che dispiacque ai bianchi razzisti del
Sud per le libertà che Mami si prendeva nel trattare con Rossella, provocò
acredine anche da parte dei neri impegnati nella lotta per il riconoscimento
dei loro diritti civili, i quali sostennero che l’attrice avesse accettato
passivamente il suo ruolo, conformandosi al cliché della domestica nera nelle
famiglie patriarcali del Sud, ciò che era manifestamente falso, e definendola
per questo “lo zio Tom dei bianchi”.
Sicché per
assurdo Hattie si vide criticata dai due opposti schieramenti. Ella si difese
replicando: “Perché dovrei sentirmi in colpa se interpretando una cameriera
guadagno 700 dollari alla settimana? Non l’avessi fatto, ne guadagnerei 7 a
settimana lavorando come una vera donna di servizio”.
Solo nel
1947 accettò di entrare nel NAGA (Negro Actors Guild of America), il sindacato
degli attori di colore. Dopo il conferimento dell’Oscar, Hattie proseguì la
carriera nel cinema, apparendo con ruoli di prestigio in film quali In
questa nostra vita (In This Our Life, ’42) di John Huston, accanto
a Bette Davis e Olivia de Havilland, nel musical Sotto le stelle di
Hollywood (Thank You Lucky stars, ’43) di David Butler, con
Humphrey Bogart e la Davis, fino a La signorina rompicollo (Mickey,
’48) di Ralph Murphy e Abbandonata in viaggio di nozze (Family
Honeymoon,’49) di Claude Binyon, due commedie che furono tra le sue ultime
interpretazioni.
Lavorò con
successo pure in radio e in televisione, e durante la seconda guerra mondiale
intrattenne con spettacoli le truppe di colore (giacché non le fu permesso
farlo per quelle di bianchi), e visitò spesso i soldati degenti negli
ospedali. Bette Davis, di cui era amica, fu l’unica attrice bianca
a esibirsi con lei; oltre che con lei e con Gable, Hattie ebbe rapporti
d’amicizia anche con Henry Fonda, Joan Crawford, Ronald
Reagan, Shirley Temple e Olivia de Havilland,
mentre con la grande attrice di prosa Tallulah Bankhead,
notoriamente lesbica, si dice abbia avuto una breve relazione.
Nella sua
vita si sposò quattro volte, ma non fu fortunata: il 19 gennaio 1911 a Denver
con Howard Hickman, che quattro anni dopo la lasciò vedova; nel ’22
con George Langford, che nel gennaio del ’25 morì per una ferita
d’arma da fuoco; il 21 marzo del ’41 a Tucson con l’agente immobiliare James
Lloyd Crawford, dal quale divorziò nel ’45; e l’11 giugno a Yuma col
decoratore d’interni Larry Williams, per divorziare cinque mesi
dopo. Non risulta abbia avuto figli.
Colpita da
un tumore al seno, Hattie McDaniel morì all’età di cinquantasette anni,
il 26 ottobre 1952, all’ospedale della Motion Picture House di
Woodland Hills presso Los Angeles. Il suo desiderio d’esser sepolta
all’Hollywood Forever Cemetery, dove si trovano le tombe dei più importanti
attori, per la segregazione razziale ancora imperante venne disatteso, sicché
fu inumata all’Angelus Rosedale Cemetery, dove la sua salma riposa tuttora.
da qui
Hattie McDaniel: la cruel historia de una actriz que
ganó un Oscar y desafió a la sociedad - EVA GÜIMIL
Protagonizó una de las películas más
famosas de la historia del cine, Lo que el viento se llevó,
pero le prohibieron asistir al estreno; se convirtió en la primera actriz negra
en ganar el Oscar, pero no pudo sentarse en la misma mesa que sus compañeros de
reparto; fue relegada a papeles de criada por los blancos y rechazada por los
negros, que no entendían que se plegase al estereotipo al que Hollywood había
reducido a su raza. Murió sin un dólar y su Oscar se lo llevó el viento, pero
siempre fue fiel a sí misma y su mejor frase no la escribió ningún guionista,
sino ella misma: “Prefiero interpretar a una criada por 700 dólares que ser una
por 7”. Se llamaba Hattie McDaniel y sus luces y sombras estarán para siempre
unidas a la historia del cine.
Hattie McDaniel
(Kansas, EE UU, 1893; Los Ángeles, EE UU, 1952) era la menor de los 13 hijos de
una pareja de esclavos liberados que había recalado en Kansas huyendo de la
pobreza más extrema. Más aficionada a seguir el ritmo del góspel que
interpretaba su madre en la iglesia que a los libros, no tardó en subirse al
escenario para colaborar en la paupérrima economía familiar. No tenía claro
cuál sería su futuro, pero sí sabía que no quería seguir el camino de la
servidumbre al que parecían condenadas las mujeres de su raza. Prefirió formar
junto a dos de sus hermanos un grupo de vodevil en el que su vis cómica no
tardó en destacar. "Ella fue radical en muchos aspectos", escribió su
biógrafa Jill Watts, en Hattie McDaniel: Black Ambition,
White Hollywood (ambición negra, Hollywood
blanco). “Actuaba con la cara pintada de blanco, algo que ninguna otra mujer
hacía entonces”, resumió Watts.
Cuando el crash del 29 se llevó todo por delante,
también acabó con su espectáculo y ella recaló en Millwakee. "Aterricé
allí rota", escribió en
1947 en The Hollywood Reporter. "Alguien me dijo que en el
hotel Suburban Inn de Sam Pick buscaban una asistente para el baño de mujeres.
Salí corriendo y cogí el trabajo. Una noche, cuando todos los artistas se
habían ido, el gerente pidió que algún voluntario se subiese al escenario, pedí
una canción a los músicos y comencé a cantar. No volví a trabajar en los baños.
Durante dos años protagonicé el espectáculo del local”.
Destacar en el negocio
del espectáculo en los albores de los años treinta y acabar en Hollywood era
una secuencia lógica y hacia allí se encaminó. Pero el Hollywood que se
encontró McDaniel no era un campo de rosas para los negros. El código Hays —un
sistema de autorregulación de los estudios para restablecer la buena imagen de
Hollywood tras el aluvión de escándalos de los años veinte— prohibía los
romances interraciales y no permitía que los negros accediesen a papeles violentos.
Los actores negros
ocupaban papeles irrelevantes y a menudo sin acreditar: eran chóferes,
camareros, turba y especialmente sirvientes. Hattie había huido del servicio en
la vida real, pero no podría hacerlo en la pantalla. No tardó en destacar. En
1934, el director John Ford le
echó el ojo y fomentó su estilo atrevido y sarcástico. Apareció en docenas de
películas con algunas de las estrellas más populares de Hollywood y exprimiendo
cada minuto en pantalla se convirtió en uno de los rostros más familiares del
país. Estaba cumpliendo un sueño poco probable para la hija de un esclavo.
El productor de Lo que el viento se llevó, David O. Selznick, le dio a
McDaniel el papel de Mammy a pesar de que no encarnaba los valores que se le suponían a una abnegada criada:
era sarcástica, altiva y la única que se atrevía a pararle los pies a la
indómita Escarlata (interpretada por Vivien Leigh). Eso sí, estaba enmarcada dentro
de ese cliché de sirviente que no tiene vida al margen de su amo.
El 15 de diciembre de
1939 alrededor de 300.000 personas acudieron a Atlanta para el estreno de la
película en el Loew's Grand Theatre. Durante tres días la ciudad se engalanó
para festejar el mayor acontecimiento de su historia. Las limusinas desfilaron
por la calle principal, se celebraron recepciones, ondearon miles de banderas
confederadas y hubo un baile de disfraces. Hattie McDaniel no recibió una
invitación. La ley Jim Crow, que imponía la
segregación de los negros en lugares públicos, seguía vigente en el sur.
Todavía faltaban 16 años para que a pocos kilómetros de allí, Rosa Parks se negase a ceder su asiento en el
autobús.
A pesar del desdén con el que fue
tratada, McDaniel hizo su papel a la perfección dentro y fuera de la pantalla.
"Me encantó Mammy", declaró al hablar con la prensa sobre el
personaje. "Creo que la entendí porque mi propia abuela trabajaba en una
plantación similar a Tara", añadió.
La opinión de la
comunidad negra se dividió al momento del lanzamiento y la película fue llamada
por algunos como "arma de terror contra la América negra" y un
insulto al público negro. Se realizaron manifestaciones en varias ciudades. No
todos se volcaron contra la interpretación de McDaniel: la crítica la colocó a
la altura de Vivien Leigh, y Los Angeles Times escribió
que su trabajo era "digno de los premios de la Academia", tal y como
recoge el libro Backwards and in Heels: The Past, Present And
Future Of Women Working In Film.
Cuando el 29 de febrero de 1940 Fay
Bainter leyó su nombre en la noche de los Oscar, 12 años después de su
creación, una mujer negra se subía al escenario por primera vez, y no era para
limpiarlo. La hija de dos antiguos esclavos, ataviada con un vestido turquesa y
con dos gardenias blancas por tocado pronunció su discurso con la voz
entrecortada: “Academia de Artes y Ciencias Cinematográficas, miembros de la
industria cinematográfica e invitados de honor: este es uno de los momentos más
felices de mi vida y quiero agradecer su amabilidad a cada uno de ustedes que
participó en seleccionarme para uno de sus premios. Me ha hecho sentir muy, muy
humilde; y siempre lo sostendré como un faro para cualquier cosa que pueda
hacer en el futuro. Sinceramente espero ser siempre un crédito para mi carrera
y para la industria cinematográfica. Mi corazón está demasiado lleno para
deciros cómo me siento, y puedo daros las gracias y que Dios os bendiga”.
Discurso de
agradecimiento de Hattie McDaniel en la noche en que se convirtió en la primera
mujer negra en ganar un Oscar.
Ella era la única mujer negra de la sala
y la primera afroamericana en asistir a los premios de la Academia como
invitada, no como sirvienta. Selznick había tenido que pedir un permiso
especial para que estuviese en el recinto, en una pequeña mesa al fondo,
alejada de las estrellas. Ni siquiera pudo posar con el resto del equipo de la
película: California también era un Estado segregado.
La magnitud de su triunfo tardaría años
en revelarse. Hasta que casi un cuarto de siglo después el actor Sidney Poitier
recogiese su estatuilla por Los lirios del valle,
ningún otro intérprete negro volvió
a ser galardonado y ochenta años después, solo siete actrices negras se han
llevado a casa el premio: Whoopi Goldberg, Halle Berry, Viola Davis, Lupita,
Jennifer Hudson, Octavia Spencer y Mo’nique. Precisamente esta última subió al
escenario con un aspecto inspirado en el de McDaniel y la mencionó en su
discurso: “Quiero agradecer a Hattie McDaniel por soportar todo lo que tuvo que
soportar para que yo no tuviera que hacerlo".
Discurso de la actriz
Mo'nique al recoger el Óscar por 'Precious', una ocasión en la que recordó a
Hattie McDaniel.
La actriz no iba a contracorriente solamente
dentro de la industria. Su vida afectiva también era inusual. A pesar de sus
cuatro efímeros matrimonios, los mentideros de la meca del cine la incluyeron
en lo que se denominaba “círculos de costura”, una manera de llamar a
las lesbianas de Hollywood y a los que pertenecían leyendas como Joan Crawford,
Greta Garbo, Myrna Loy, Barbara Stanwyck o Marlene Dietrich. Según el biógrafo
Kenneth Anger, Hattie fue amante de Tallulah Bankhead, célebre por pasar por la
cama de la mitad de las actrices de Hollywood y por haber sido una de las
favoritas para interpretar a Escarlata. Nada de eso trascendió al gran público.
La industria generaba demasiado dinero y nadie estaba dispuesto a permitir que
sus estrellas desafiaran la moralidad imperante. Publicistas y productores
emparejaron a homosexuales y lesbianas formando matrimonios tan creíbles para
los espectadores como risibles intramuros.
El éxito de Lo que el viento se llevó hizo a McDaniel
tremendamente popular, pero también la encasilló. Tras la Segunda Guerra
Mundial empezaban a respirarse aires nuevos, pero ella siguió aferrada a los
papeles de criada y formó parte del reparto de la hoy denostadísima Canción del sur,
una mancha que Disney sigue intentando borrar de su historia.
Al final de su carrera volvió a la radio
y tuvo uno de esos pequeños triunfos que de nuevo sus compañeros no quisieron
ver: se hizo con el papel de Beulah, otra vez una criada estereotipada, pero le
había quitado el papel a un hombre blanco. Era la primera vez que una mujer
afroamericana protagonizaba un programa de radio y se llevaba por ello mil
dólares a la semana. Fue un éxito efímero, pues poco después de firmar el
contrato le detectaron un tumor en el pecho. Murió el 26 de octubre de 1952 con
57 años.
En su testamento pidió
dos cosas: ser enterrada en el cementerio Hollywood Forever y que su Oscar
fuera entregado a la Universidad de Howard. Y tras su fallecimiento recibió su
enésima bofetada: el cementerio no aceptaba a negros por muy famosos que
fuesen. Se la enterró en el camposanto de Angelus-Rosedale. A la
ceremonia enviaron flores muchas de las estrellas que trabajaron con ella, pero
solo James Cagney asistió
en persona.
Hoy nadie sabe qué pasó con su premio de
la Academia. Unos afirman que fue arrojado al río Potomac durante las revueltas
que se produjeron tras el asesinato de Martin Luther King Jr. en 1968. Otros,
con menos sentido de la épica, que simplemente está perdido en algún sótano,
pues debido a su forma de placa –hasta 1944 los actores secundarios no recibieron
estatuilla– es más difícil de identificar.
Paradójicamente, es lo más valioso que
tenía cuando falleció: tras toda una vida trabajando no le quedaba un céntimo
en el bolsillo. Gran parte de su pequeña fortuna se había ido en ayudar a sus
compañeros menos afortunados.
da qui
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