venerdì 26 aprile 2019

Cafarnao - Caos e miracoli - Nadine Labaki

Zain è un bambino di circa 12 anni e sta in uno dei tanti gironi dell'inferno che qualche miliardo di umani abita tutti i giorni.
Cerca, con difficoltà, di sopravvivere.
è uno sveglio, fugge di casa quando scopre che i genitori hanno venduto la sorellina di 11 anni, che morirà a breve.
si fa carico di Jonas, un bambino di origine etiope, che la mamma affida a Zain.
essere povero, migrante, bambino e femmina insieme è una croce pesantissima, in un mondo dove il potere è dei maschi e dei documenti.
un film per ricordare come va il mondo,
per noi che viviamo sicuri
nelle nostre tiepide case,
noi che troviamo tornando a sera
il cibo caldo e visi amici.


un film da non perdere, non te ne pentirai - Ismaele








Il film è stato anche criticato per il suo stile melodrammatico, un poverty porn che denuncia troppe ingiustizie tutte insieme: bambini senza identità, apolidi che non hanno accesso a nulla, domestiche straniere a cui le loro madame trattengono i documenti di identità. Come mostra il personaggio dell’etiope Rahil, la loro esistenza legale dipende dalla padrona, chiaro esempio di schiavitù moderna.
Questa critica è difficile da accettare davanti alla naturalezza e alla generosità del cast di bambini non professionisti che hanno interpretato loro stessi. Il film usa spesso toni documentaristici e descrizioni così viscerali da impedirci di girare la testa dall’altra parte.
Nadine Labaki aveva appena avuto la sua seconda figlia quando ha cominciato a girare. Come la domestica Rahil nel film, durante le riprese la regista allattava e così è riuscita a trasmettere l’empatia che si avverte in questo momento particolare: “Credo che una donna in questa situazione abbia recettori più attivi, assorbiamo di più, siamo più empatiche, non avrei mai potuto capire un bambino di un anno come Jonas, il bebè del film, se mentre giravamo non avessi avuto una figlia della stessa età”.
La questione generazionale nel mondo arabo è stata dibattuta a lungo durante le primavere arabe. Finalmente si affacciava un mondo giovane – la metà della popolazione araba ha meno di 25 anni – pronto a chiedere democrazia e giustizia.
Dopo il fallimento – almeno per ora – di queste giovani rivoluzioni, il tema è stato abbandonato. Cafarnao, come le recenti proteste globali per il clima o in Algeria, mette in primo piano una nuova generazione in rivolta, formata addirittura da bambini o adolescenti. Ma cosa hanno in comune il dodicenne senza documenti Zein e la svedese Greta? Accusano gli adulti con determinazione.

Commovente come Zain si prenda cura di Yonas, a testimonianza di come questo bimbo ormai agli adulti non creda nemmeno più e di come provi allora a farsi paladino e difensore di tutte le infanzie negate del mondo (la sorella, Yonas).
Quella casa di lamiera ti rimane addosso e la sequenza del ghiaccio e zucchero, l'unico cibo ormai rimasto, è un pugno.
Il film inizia a metter dentro altre cose, come il tema dei rifugiati, come il commercio di esseri umani, come le droghe.
Poi Zain non ce la fa più, dovrà dare un ultimo bacio e Jonas e lasciarlo ad un destino diverso (che Zain pensa migliore).
L'ultima parte è senza dubbio la più emozionante e quella dove tutti i semi messi dalla Labaki nella sceneggiatura danno i propri frutti.
Prima il ritorno a casa e la scoperta di quella terribile notizia sulla sorella (per me - e i motivi ve li ho detti sopra - scena più devastante del film).
Poi il carcere, poi la madre che va a trovare Zain in carcere e gli dice della nuova gravidanza ("mi fai piangere il cuore" le risponde lui, straziante).
E poi la telefonata dalla prigione, quella telefonata che porterà a galla cose terribili che la società forse faceva finta di ignorare.
E poi il momento finale del processo, forse la scena dove viene più fuori l'anima del film, ovvero l'accusa che fa Zain alla propria madre, quell'accusa che quel bimbo fa praticamente a tutti noi adulti, esseri capaci di mettere al mondo altri esseri senza che poi ci interessi amarli o dargli una vita dignitosa.
La macchina da presa va sull'avvocatessa, sulla Labaki, e i suoi occhi lucidi sono forse quegli occhi che l'hanno portata a voler realizzare questo film…

Il titolo si riferisce a un’antica città sul Mare di Galilea, il cui nome è sinonimo di anarchia e il disordine — proprio come l’esistenza di Zain. Il ragazzino viveva con i genitori, Souad (Kawthar Al Haddad) e Selim (Fadi Kamel Youssef) in un appartamento squallidissimo, dove lui e i fratelli venivano regolarmente usati per vendere droga. L’attività si converte alla tratta di esseri umani quando la coppia decide di vendere la sorella undicenne di Zain, (Sahar Cedra Izam), al loro padrone di casa Assadd (Nour el Husseini) per un paio di polli.
Con la videocamera che resta sempre all’altezza degli occhi di Zain, vediamo il ragazzo che si muove disperato per le strade del Libano. In un parco di divertimenti viene rapito da Rahil (Yordanos Shiferaw), una donna delle pulizie etiope senza documenti e una figlia piccola, Yonas (Boluwatife Treasure Bankole), che si prende una cotta per Zain. Quando Rahil scompare, Zain e Yonas sono lasciati a se stessi in un mondo in cui nessun bambino può sopravvivere da solo.
La tristezza di questa storia sarebbe insopportabile senza i flash di umorismo e le performance di un cast di non professionisti strepitosi. Cafarnao soffrirà di una struttura eccessivamente lunga e caotica, ma resta una vera e propria bomba emotiva.
da qui

Grande idea di sceneggiatura: aprire il film con il processo intentato da Zain contro i suoi genitori. Che quando il giudice gli chiede di spiegare di cosa li accusi lui risponde: di avermi messo al mondo (scena diventata subito celebre e commentata). Processo che fa da introduzione all’odissea in flashback di Zain, e da finale. Da Cannes non si è mai smesso di discutere – soprattutto sui magazine più radicali e chic – sulla moralità o immoralità di Capharnaüm, se sia o non sia disonesto sfruttamento a scopo di lacrime e spettacolo, bieco lenocinio, pornografia della sofferenza, cinema cinico del dolore e dei mali del mondo. E allora, viene da dire, Dickens? A me francamente lo sguardo di Nadine Labaki è parso assai rispettoso…

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