Cerca, con difficoltà, di sopravvivere.
è uno sveglio, fugge di casa quando scopre che i genitori hanno venduto la sorellina di 11 anni, che morirà a breve.
si fa carico di Jonas, un bambino di origine etiope, che la mamma affida a Zain.
essere povero, migrante, bambino e femmina insieme è una croce pesantissima, in un mondo dove il potere è dei maschi e dei documenti.
un film per ricordare come va il mondo,
per noi che viviamo sicuri
nelle nostre tiepide case,
noi che troviamo tornando a sera
il cibo caldo e visi amici.
un film da non perdere, non te ne pentirai - Ismaele
…Il film è stato anche criticato per il suo stile
melodrammatico, un poverty porn che
denuncia troppe ingiustizie tutte insieme: bambini senza identità, apolidi che
non hanno accesso a nulla, domestiche straniere a cui le loro madame trattengono i documenti di identità. Come
mostra il personaggio dell’etiope Rahil, la loro esistenza legale dipende dalla
padrona, chiaro esempio di schiavitù moderna.
Questa critica è difficile da accettare
davanti alla naturalezza e alla generosità del cast di bambini non
professionisti che hanno interpretato loro stessi. Il film usa spesso toni
documentaristici e descrizioni così viscerali da impedirci di girare la testa
dall’altra parte.
Nadine Labaki aveva appena avuto la sua
seconda figlia quando ha cominciato a girare. Come la domestica Rahil nel film,
durante le riprese la regista allattava e così è riuscita a trasmettere
l’empatia che si avverte in questo momento particolare: “Credo che una donna in
questa situazione abbia recettori più attivi, assorbiamo di più, siamo più
empatiche, non avrei mai potuto capire un bambino di un anno come Jonas, il
bebè del film, se mentre giravamo non avessi avuto una figlia della stessa
età”.
La questione generazionale nel mondo arabo
è stata dibattuta a lungo durante le primavere arabe. Finalmente si affacciava
un mondo giovane – la metà della popolazione araba ha meno di 25 anni – pronto
a chiedere democrazia e giustizia.
Dopo il fallimento – almeno per ora – di
queste giovani rivoluzioni, il tema è stato abbandonato. Cafarnao, come le recenti proteste globali per il
clima o in Algeria, mette in primo piano una nuova generazione in rivolta,
formata addirittura da bambini o adolescenti. Ma cosa hanno in comune il
dodicenne senza documenti Zein e la svedese Greta? Accusano gli adulti con
determinazione.
…Commovente come Zain
si prenda cura di Yonas, a testimonianza di come questo bimbo ormai agli adulti
non creda nemmeno più e di come provi allora a farsi paladino e difensore di
tutte le infanzie negate del mondo (la sorella, Yonas).
Quella casa di lamiera ti rimane addosso e la sequenza del ghiaccio e
zucchero, l'unico cibo ormai rimasto, è un pugno.
Il film inizia a metter dentro altre cose, come il tema dei rifugiati, come
il commercio di esseri umani, come le droghe.
Poi Zain non ce la fa più, dovrà dare un ultimo bacio e Jonas e lasciarlo
ad un destino diverso (che Zain pensa migliore).
L'ultima parte è senza dubbio la più emozionante e quella dove tutti i semi
messi dalla Labaki nella sceneggiatura danno i propri frutti.
Prima il ritorno a casa e la scoperta di quella terribile notizia sulla
sorella (per me - e i motivi ve li ho detti sopra - scena più devastante del film).
Poi il carcere, poi la madre che va a trovare Zain in carcere e gli dice
della nuova gravidanza ("mi fai piangere il cuore" le risponde lui,
straziante).
E poi la telefonata dalla prigione, quella telefonata che porterà a galla
cose terribili che la società forse faceva finta di ignorare.
E poi il momento finale del processo, forse la scena dove viene più fuori
l'anima del film, ovvero l'accusa che fa Zain alla propria madre, quell'accusa
che quel bimbo fa praticamente a tutti noi adulti, esseri capaci di mettere al
mondo altri esseri senza che poi ci interessi amarli o dargli una vita
dignitosa.
La macchina da presa va sull'avvocatessa, sulla Labaki, e i suoi occhi
lucidi sono forse quegli occhi che l'hanno portata a voler realizzare questo
film…
…Il titolo si riferisce a un’antica città sul Mare di
Galilea, il cui nome è sinonimo di anarchia e il disordine — proprio come
l’esistenza di Zain. Il ragazzino viveva con i genitori, Souad (Kawthar Al
Haddad) e Selim (Fadi Kamel Youssef) in un appartamento squallidissimo, dove
lui e i fratelli venivano regolarmente usati per vendere droga. L’attività si
converte alla tratta di esseri umani quando la coppia decide di vendere la
sorella undicenne di Zain, (Sahar Cedra Izam), al loro padrone di casa Assadd (Nour
el Husseini) per un paio di polli.
Con la videocamera che resta sempre
all’altezza degli occhi di Zain, vediamo il ragazzo che si muove disperato per
le strade del Libano. In un parco di divertimenti viene rapito da Rahil
(Yordanos Shiferaw), una donna delle pulizie etiope senza documenti e una
figlia piccola, Yonas (Boluwatife Treasure Bankole), che si prende una cotta
per Zain. Quando Rahil scompare, Zain e Yonas sono lasciati a se stessi in un
mondo in cui nessun bambino può sopravvivere da solo.
La tristezza di questa storia sarebbe insopportabile senza i flash di umorismo e le performance di un cast di non professionisti strepitosi. Cafarnao soffrirà di una struttura eccessivamente lunga e caotica, ma resta una vera e propria bomba emotiva.
da qui
La tristezza di questa storia sarebbe insopportabile senza i flash di umorismo e le performance di un cast di non professionisti strepitosi. Cafarnao soffrirà di una struttura eccessivamente lunga e caotica, ma resta una vera e propria bomba emotiva.
da qui
…Grande idea di sceneggiatura: aprire il
film con il processo intentato da Zain contro i suoi genitori. Che quando il
giudice gli chiede di spiegare di cosa li accusi lui risponde: di avermi messo
al mondo (scena diventata subito celebre e commentata). Processo che fa da
introduzione all’odissea in flashback di Zain, e da finale. Da Cannes non si è
mai smesso di discutere – soprattutto sui magazine più radicali e chic – sulla
moralità o immoralità di Capharnaüm, se sia o non sia disonesto sfruttamento a scopo di lacrime
e spettacolo, bieco lenocinio, pornografia della sofferenza, cinema cinico del
dolore e dei mali del mondo. E allora, viene da dire, Dickens? A me francamente
lo sguardo di Nadine Labaki è parso assai rispettoso…
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