i doppi non possono stare sempre nell'ombra, loro sono le ombre, esistono al piano seminterrato, al buio.
e quando pensi che sia una cosa privata, ecco che scopri che tutti i doppi sono usciti allo scoperto, in un conflitto all'ultimo sangue.
le tute rosse dei doppi fanno pensare, tra l'altro, ai prigionieri di Guantanamo.
ci si può chiedere come mai in tutto il paese i doppi appaiano all'improvviso, forse non vogliono più subire, non si può essere ombre per sempre, vogliono sostituirsi ai loro originali.
loro sono come gli originali, solo meno fortunati.
e Us, il titolo, può essere letto come United States.
un film che merita - Ismaele
…Us è
probabilmente la prova definitiva che non esistono più storie di bianchi e
storie di neri, nemmeno quando il tema razziale è, come in questo caso, un filo
elettrico che scarica tensione dal principio alla fine. Ci sono i film che il
pubblico, di bianchi e di neri insieme, vuole andare a vedere e basta. È il
mondo dopo Black Panther? Chissà. Ma non è
un caso che i due protagonisti, la sensazionale Lupita Nyong’o e Winston Duke,
vengano proprio da quel colosso. Finalmente, sembra dirci Us, esistono solo storie di americani. Che poi facciano così
paura, è un altro ma uguale discorso.
… Quando i doppelgänger malvagi della
famiglia di Adelaide appaiono per la prima volta sul vialetto – avvolti
dall’oscurità mentre si tengono per mano – la visione è potente e sconcertante. Che si tratti del passamontagna / maschera calato in modo permanente sul volto del “gemello” di Jason o dello
sguardo senza vita del doppio silenzioso di Zora, queste creazioni si ergono a manifestazioni concrete, da
incubo e senz’anima, del Male che si cela in agguato appena sotto la nostra
superficie civilizzata. A questo punto di Noi, coi nostri eroi che fissano gli
‘impossibili’ Tetherednegli occhi,
sentiamo forte tutto il peso del sottotesto sociale agghiacciante di Jordan
Peele. Un duro attacco all’America. Quando una società soggioga ed emargina vaste aree della sua popolazione,
è destinata a divorare se stessa dall’interno. Le interrelazioni della civiltà si erodono e il potente si
trasforma in barbaro per proteggere il suo fragile artificio. È un tema che si
integra perfettamente con l’elegante premessa sui doppelgänger del regista,
promettendo approfondimenti pungenti mescolati a genuini brividi sanguinari…
… Proprio l’utilizzo della cultura pop e
dei suoi feticci rappresenta uno degli aspetti più affascinanti e stratificati
di Noi. Peele non è un regista citazionista, e non gli interessa
sfruttare un’immagine iconica per snaturarne il senso o riscriverlo in corso
d’opera: non era così nell’esordio, che guardava allo sci-fi sociale degli anni
Settanta, con la sua critica alla borghesia come qualcosa di innaturale, e lo è
ancor meno in questo caso. Ci si può lasciar abbindolare dalla presenza delle
t-shirt de Lo
squalo e dei Black
Flag, ma sarebbe un errore madornale: tutti gli elementi della cultura popolare
servono al regista newyorchese per ribadire l’essenza sistemica tanto della
Settima Arte quanto di ogni singolo aspetto della vita quotidiana, di quella
prassi costruita giorno dopo giorno. Se la già citata sequenza in macchina,
così come l’inquadratura a piombo, riportano alla mente Shining e quella in barca, con Gabe inguainato in una busta
della spazzatura e il suo doppio che lo sta portando al largo, guarda invece in
direzione di Funny Games di Michael Haneke, non si tratta di innamoramento
cinefilo. Peele utilizza i codici totemici del genere – scegliendo sempre
prospettive d’autore, un dettaglio da non sottostimare – perché solo attraverso
loro si rinnova il discorso sulla copia, sull’accettazione dell’ordine precostituito
e sul gioco (la corsa di Zora, la “magia” di Jason, le piroette
dell’ex ballerina Adelaide) che è l’asse portante di una narrazione divertita,
ricca di colpi di scena mai pretestuosi. Peele riesce nel difficile compito di
mettere in scena una durissima rappresentazione degli Stati Uniti e della loro
base ideologica costruendo allo stesso tempo un meccanismo spettacolare
perfettamente funzionante, raffinato e in grado di catturare lo sguardo.
Un’impresa quasi titanica, che riesce a scoperchiare una volta di più
l’ipocrisia di una società benpensante e falsamente progressista…
da qui
…basta tutto questo mosaico infinito di citazioni, unito all’ambizione di una critica sociale sulla natura dell’homo americanus, a far funzionare il film? Purtroppo no. Al netto dell’indiscutibile perizia tecnica e di una tensione qui e là resa in maniera efficace, la sceneggiatura risulta strumentale a questo ingombrante apparato di omaggi che rende Noi una piccola enciclopedia in sospeso tra l’Avantpop e lo Slipstream, ma senza il nerbo e il rigore che hanno caratterizzato (e talvolta continuano a farlo) il lavoro di Tarantino, dei Coen o di Edgar Wright. Mai abbastanza cupo, mai abbastanza ironico, Noi ci illude d’esser una creatura misteriosa e affascinante, oscura e magnetica, rivelandosi ben presto soltanto un giocattolone farraginoso e retorico.
Se nella prima parte, come accennato, Noi funziona molto bene, si perde poi nella spiegazione finale, superflua e lacunosa, con plot twist che strizza l’occhio tanto all’Invasione degli ultracorpi (ennesimo omaggio-citazione) quanto agli esiti della Clone Saga di Spider-man: chi sei tu? Chi sono io?
Come e più di Get Out, anche Noi dà il suo meglio nell’antefatto, nelle suggestioni e nella sospensione dell’attesa, ma si schianta quando dovrebbe decollare, inabissandosi in una narrazione che, paradossalmente, riesce a risultare troppo illustrativa quanto manchevole. Viene il dubbio che per ora Jordan Peele sia stato solo un grosso equivoco.
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