lunedì 8 aprile 2019

Noi – Jordan Peele

una famiglia felice della borghesia nera degli Usa è preda dei loro "doppi".
i doppi non possono stare sempre nell'ombra, loro sono le ombre, esistono al piano seminterrato, al buio.
e quando pensi che sia una cosa privata, ecco che scopri che tutti i doppi sono usciti allo scoperto, in un conflitto all'ultimo sangue.
le tute rosse dei doppi fanno pensare, tra l'altro, ai prigionieri di Guantanamo.
ci si può chiedere come mai in tutto il paese i doppi appaiano all'improvviso, forse non vogliono più subire, non si può essere ombre per sempre, vogliono sostituirsi ai loro originali.
loro sono come gli originali, solo meno fortunati.
e Us, il titolo, può essere letto come United  States.
un film che merita - Ismaele







Us è probabilmente la prova definitiva che non esistono più storie di bianchi e storie di neri, nemmeno quando il tema razziale è, come in questo caso, un filo elettrico che scarica tensione dal principio alla fine. Ci sono i film che il pubblico, di bianchi e di neri insieme, vuole andare a vedere e basta. È il mondo dopo Black Panther? Chissà. Ma non è un caso che i due protagonisti, la sensazionale Lupita Nyong’o e Winston Duke, vengano proprio da quel colosso. Finalmente, sembra dirci Us, esistono solo storie di americani. Che poi facciano così paura, è un altro ma uguale discorso.

Quando i doppelgänger malvagi della famiglia di Adelaide appaiono per la prima volta sul vialetto – avvolti dall’oscurità mentre si tengono per mano – la visione è potente e sconcertante. Che si tratti del passamontagna / maschera calato in modo permanente sul volto del “gemello” di Jason o dello sguardo senza vita del doppio silenzioso di Zora, queste creazioni si ergono a manifestazioni concrete, da incubo e senz’anima, del Male che si cela in agguato appena sotto la nostra superficie civilizzata. A questo punto di Noi, coi nostri eroi che fissano gli ‘impossibili’ Tetherednegli occhi, sentiamo forte tutto il peso del sottotesto sociale agghiacciante di Jordan Peele. Un duro attacco all’AmericaQuando una società soggioga ed emargina vaste aree della sua popolazione, è destinata a divorare se stessa dall’interno. Le interrelazioni della civiltà si erodono e il potente si trasforma in barbaro per proteggere il suo fragile artificio. È un tema che si integra perfettamente con l’elegante premessa sui doppelgänger del regista, promettendo approfondimenti pungenti mescolati a genuini brividi sanguinari…

Proprio l’utilizzo della cultura pop e dei suoi feticci rappresenta uno degli aspetti più affascinanti e stratificati di Noi. Peele non è un regista citazionista, e non gli interessa sfruttare un’immagine iconica per snaturarne il senso o riscriverlo in corso d’opera: non era così nell’esordio, che guardava allo sci-fi sociale degli anni Settanta, con la sua critica alla borghesia come qualcosa di innaturale, e lo è ancor meno in questo caso. Ci si può lasciar abbindolare dalla presenza delle t-shirt de Lo squalo e dei Black Flag, ma sarebbe un errore madornale: tutti gli elementi della cultura popolare servono al regista newyorchese per ribadire l’essenza sistemica tanto della Settima Arte quanto di ogni singolo aspetto della vita quotidiana, di quella prassi costruita giorno dopo giorno. Se la già citata sequenza in macchina, così come l’inquadratura a piombo, riportano alla mente Shining e quella in barca, con Gabe inguainato in una busta della spazzatura e il suo doppio che lo sta portando al largo, guarda invece in direzione di Funny Games di Michael Haneke, non si tratta di innamoramento cinefilo. Peele utilizza i codici totemici del genere – scegliendo sempre prospettive d’autore, un dettaglio da non sottostimare – perché solo attraverso loro si rinnova il discorso sulla copia, sull’accettazione dell’ordine precostituito e sul gioco (la corsa di Zora, la “magia” di Jason, le piroette dell’ex ballerina Adelaide) che è l’asse portante di una narrazione divertita, ricca di colpi di scena mai pretestuosi. Peele riesce nel difficile compito di mettere in scena una durissima rappresentazione degli Stati Uniti e della loro base ideologica costruendo allo stesso tempo un meccanismo spettacolare perfettamente funzionante, raffinato e in grado di catturare lo sguardo. Un’impresa quasi titanica, che riesce a scoperchiare una volta di più l’ipocrisia di una società benpensante e falsamente progressista…
da qui



basta tutto questo mosaico infinito di citazioni, unito all’ambizione di una critica sociale sulla natura dell’homo americanus, a far funzionare il film? Purtroppo no. Al netto dell’indiscutibile perizia tecnica e di una tensione qui e là resa in maniera efficace, la sceneggiatura risulta strumentale a questo ingombrante apparato di omaggi che rende Noi una piccola enciclopedia in sospeso tra l’Avantpop e lo Slipstream, ma senza il nerbo e il rigore che hanno caratterizzato (e talvolta continuano a farlo) il lavoro di Tarantino, dei Coen o di Edgar Wright. Mai abbastanza cupo, mai abbastanza ironico, Noi ci illude d’esser una creatura misteriosa e affascinante, oscura e magnetica, rivelandosi ben presto soltanto un giocattolone farraginoso e retorico.

Se nella prima parte, come accennato, Noi funziona molto bene, si perde poi nella spiegazione finale, superflua e lacunosa, con plot twist che strizza l’occhio tanto all’Invasione degli ultracorpi (ennesimo omaggio-citazione) quanto agli esiti della Clone Saga di Spider-man: chi sei tu? Chi sono io?  
Come e più di Get Out, anche Noi dà il suo meglio nell’antefatto, nelle suggestioni e nella sospensione dell’attesa, ma si schianta quando dovrebbe decollare, inabissandosi in una narrazione che, paradossalmente, riesce a risultare troppo illustrativa quanto manchevole. Viene il dubbio che per ora Jordan Peele sia stato solo un grosso equivoco.

Nessun commento:

Posta un commento