lunedì 10 ottobre 2016

Quando hai 17 anni - André Téchiné

non succede niente di straordinario, solo scorre, davanti agli occhi di chi guarda, la vita.
André Téchiné, un vecchio giovanissimo, riesce a non essere retorico, noioso, falso, scandaloso.
il film è un miracolo di equilibrio fra la scuola, i ragazzi, l'amore, la famiglia, l'amicizia, la vita e la morte, niente è fuori luogo, neanche la missione di pace che lascia solo macerie, dappertutto.
Damien e Thomas sono bravissimi, come tutti d'altronde, anche questo sarà merito di André Téchiné, no?
il film è ambientato durante un anno scolastico, tre trimestri, come tre movimenti di una sonata davvero da ascoltare, e da vedere.
in poche sale, naturalmente, il che rende il film più prezioso, e la ricerca dello spettatore più difficile, ma non sarà deluso, anzi...
buona visione - Ismaele







Quand on a 17 ans è un film dolce, profondo, perfetto che parla di amore, famiglia e amicizia. Il resto sono dettagli. Da vedere, da consigliare, da applaudire.

Rinvigorito dall'aria di montagna e dalla scrittura di Céline Sciamma (Diamante nero), Téchiné si ritrova e ritrova il suo cinema. Elusa la spettacolarizzazione e i sentimenti rosa dei film commerciali, coglie di nuovo la chiarezza dell'essere, lasciando emergere tutto il disagio del movimento osservato, ripetuto, arrampicato sui rilievi della vita. Disagio agito da Corentin Fila e Kacey Mottet Klein, derivati dalla lirica di Arthur Rimbaud ("On n'est pas sérieux, quand on a dix-sept ans") e pieni di un'aggressività che si nutre della reciproca aggressività. Tra loro si accomoda la madre rigenerante e rigenerativa di Sandrine Kiberlain, compresa in uno dei suoi ruoli più belli, che accudisce e ascolta l'impetuosa inquietudine dei figli. Uno biologico, l'altro 'orfano' e riflesso speculare di suo figlio. Partecipanti liminali alla soglia di due piani esistenziali, ambigui, aperti a tutto e splendidamente indeterminati, Damien e Tom esistono in una zona fisica ed emotiva di passaggio, in uno stadio di vaghezza perenne. A settantatre anni Téchiné mette in scena l'età acerba, quella nuda, irrazionale, inconsequenziale, mossa dall'emozione del momento, variabile come le stagioni, presa a pugni, vestita di lividi, avida di vita.

 L’evoluzione della vicenda (dell’incontro tra i due ragazzi, una vera storia d’amore) è convincente e avvincente per il modo in cui vi si intrecciano personaggi e sfondo: l’una cosa non avrebbe respiro se non ci fosse l’altra. In una buona narrazione questo dovrebbe essere ovvio, ma succede molto più di rado di quanto non si pensi (e con un po’ di cattiveria si potrebbe dire che non succede mai nel cinema italiano “ufficiale”, sponsorizzato dal nostro sistema economico-politico-mediatico). Sta qui la maestria del regista, la sua originalità – di essere pienamente autore pur rinunciando alle esibizioni autoriali care alla tradizione critica da cui proviene, riconquistando per il tramite dei classici (un certo Renoir, per esempio) una scioltezza del racconto che è piena di sostanza…

Téchiné è essenziale, sta lì con il suo cinema che coniuga la delicatezza della mano alla salda nettezza del tratto. Non è inquieto come la Sciamma, ha una specie di nitore neoclassico che imprigiona le linee di tensione. Eppure, senza alcuna morbosità, incontra ogni vibrazione dei corpi, le lotte, gli sfioramenti, gli abbracci, gli amplessi. Ogni immagine ha una concretezza fisica, densa, ma chiara, pulita, definita. E tutto sembra pian piano tramutarsi in uno studio plastico sul movimento, in cui l’interiore si fa gesto e si mostra nell’esteriore. Con una energia pulsante che forza la retorica del linguaggio (come nel momento della cerimonia funebre). E nega, finalmente, ogni chiusura.

La tensione tra Damien e Thomas è una delle forze generatrici e distruttrici della nostra specie. Il cinema di Téchiné mette a nudo questa tensione sempre tenuta nascosta della nostra specie. Thomas è figlio adottivo, vive sulle montagne con la famiglia povera. Damien è figlio di un militare di rango, una madre premurosa (ottima Sandrine Kiberlain), contesto borghese. Téchiné fa dei Pirenei sullo sfondo un personaggio del film. Anzi, il suo accompagnatore. Per forzare il figlio a confrontarsi con la sua aggressività, e per aiutare il compagno di classe Thomas negli studi, risparmiandogli tre ore di viaggio al giorno, la madre invita Thomas a stare da loro per un po’. Damien e Thomas sotto lo stesso tetto. È ora che quella tensione svela sé stessa. In cosa consiste la felice bellezza di Quando hai 17 anni? Non essere solo il racconto di un coming out (o forse due), ma renderci testimoni della vita stessa.

L’adolescence
«Nelle azzurre sere d’estate, andrò per i sentieri, 
punzecchiato dal grano, a pestar l’erba tenera: 
trasognato sentirò la frescura sotto i piedi 
e lascerò che il vento mi bagni il capo nudo. 
Io non parlerò, non penserò più a nulla: 
ma l’amore infinito mi salirà nell’anima, 
e me ne andrò lontano, molto lontano come uno zingaro, 
nella Natura, lieto come con una donna»
Così scriveva Arthur Rimbaud in “Sensazione”, un componimento ben vivo in Quando hai 17 anni di André Téchiné…

…Se nel ’94 in Les roseaux sauvages il cineasta aveva realizzato un particolare affresco di quattro ragazzi nella provincia francese, in crescita, influenzati pure dalla conclusione della guerra di indipendenza in Algeria, in Quando hai 17 anni l’età acerba assume una rappresentazione al passo coi tempi con uno slancio, a nostro parere, ancora più universale. È intorno ai diciassette anni (anno più, anno meno) che si fanno i conti con la propria identità, dovendosi relazionare anche con presenze (apparentemente) ingombranti o assenze non facili da colmare, ma che sono previste dalle stagioni della vita. Lasciamo stare i cliché e le definizioni come film di formazione o coming of age, Quando hai 17 anni va oltre questo. Non perdetevi questo viaggio interiore in anni che hanno segnato ognuno di noi e che il regista di Niente baci sulla bocca (1991) fotografa e racconta senza fronzoli, ma senza dimenticare neanche la poesia.

"Quando hai 17 anni" diventa così un bildungsroman di rara sincerità e potenza emotiva e, allo stesso tempo, uno dei più toccanti e gentili racconti sull'amore omosessuale, tutto giocato sul filo sottile di una tensione sottesa e perturbante. Il regista riesce a cogliere con rigorosa puntualità ed empatica partecipazione ogni pulsione, ogni fremito, ogni emozione sottaciuta ma pronta a esplodere: la macchina da presa scruta febbrile i corpi acerbi e tesi dei giovani protagonisti, straordinariamente espressivi, pronta a registrare ogni segno di un sentimento che spaventa e commuove allo stesso tempo. A vegliare su di loro e sulla complessa, travagliata Marianne, molto più di un deus ex machina, c'è la natura aspra e indomita della Francia sud-occidentale, con le sue vette irte, i laghi ghiacciati e le sterminate distese di neve. Téchiné, autore puro, sa concedersi lunghi momenti descrittivi di una bellezza mai estetizzante per fotografare il lento, complicato, inevitabile disgelo di un paesaggio che, mai così efficacemente, diventa felice metafora della scoperta di un sentimento autentico.






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